«Patto giudici-periti per aiutare i boss» di Fulvio Milone
Fra gli arrestati, due magistrati e due docenti: «Aggiustavano i processi prendendo soldi dalla camorra» «Patto giudici-periti per aiutare i boss» Fra gli arrestati, due magistrati e due docenti: «Aggiustavano i processi prendendo soldi dalla camorra» Sei in manette a Napoli SALERNO DAL NOSTRO INVIATO Non solo giudici, ma anche cattedratici alla corte del re camorrista. La lunga storia delle toghe sporche che affollavano il vecchio palazzo di giustizia di Napoli si arricchisce di un nuovo capitolo con finale a sorpresa. I giudici di Salerno che da mesi indagano sui loro colleghi corrotti sono infatti convinti che sul libro paga del padrino Carmine Alfieri c'erano anche due uomini di scienza: il torinese Aurelio Ghio e il romano Luigi Macchiarelli, fino all'altro ieri considerati delle autorità indiscusse nel campo delle perizie balistiche e dattiloscopiche. Perizie truccate, sostiene l'accusa. Sono stati ammanettati ieri dagli uomini della Direzione investigativa di Napoli con accuse infamanti: Ghio, 70 anni, appassionato e studioso di armi da fuoco, deve rispondere di associazione a delinquere di stampo mafioso, corruzione e traffico d'armi. Meno grave il reato contestato a Macchiarelli, 70 anni, direttore dell'Istituto di medicina legale e delle assicurazioni dell'Università La Sapienza di Roma: accusato solo di corruzione, ha ottenuto gli arresti domiciliari. In prigione per concorso in associazione a delinquere e corruzione sono finite altre quattro persone: i magistrati Ciro Demma e Antonio Esti, rispettivamente consiglieri di Corte d'Appello ad Ancona e Bologna e già coinvolti mesi fa nell'inchiesta, l'avvocato napoletano Antonio Buonanno e Ferdinando Cesarano, ex luogotenente di Alfieri che è stato raggiunto dalla nuova ordinanza nel carcere dove sta già scontando una condanna. Sono due i latitanti: Mario Fabbrocino e Gennaro Brasiello, camorristi di rango. I giudici di Salerno hanno inoltre emesso cinque avvisi di garanzia per concorso in associazione a delinquere: nell'elenco figurerebbe anche l'avvocato torinese Graziano Masselli, che ieri si è visto piombare in casa gli agenti della Dia per una perquisizione. Giudici e periti avrebbero aiutato Alfieri e i suoi a soffocare la giustizia a Napoli con una fitta ragnatela di corruzioni e ricatti. L'inchiesta salernitana che fino ad ora ha portato all'arresto di sette magistrati è nata grazie alle confessioni di quattro camorristi pentiti: Pasquale Galasso, lo stesso Alfieri, Domenico Cuomo e Costantino Raiola. Hanno raccontato tutto sui rapporti fra l'organizzazione criminale e le toghe di Castelcapuano. La Dia ha indagato a lungo, e alla fine ha trovato molte conferme alle accuse. Il primo episodio che vede coinvolti il giudice Demma, l'avvocato Buonanno e i due superperiti risale a cinque anni fa, quando venne celebrato il processo d'appello ai camorristi del clan Alfieri accusati della strage di Torre Annunziata: otto persone falciate nell'agosto dell'84 dai mitra d. un commando arrivato in pullman sul luogo dell'eccidio. In primo grado tutti gli imputati erano stati condannati all'ergastolo. In appello, però, la sentenza fu ribaltata in modo clamoroso: assoluzione per tutti su richiesta dello stesso rap¬ presentante della pubblica accusa, Ciro Demma. Che cosa era accaduto? Ad incastrare i camorristi, o meglio uno di loro, Gennaro Brasiello, era stata un'impronta digitale trovata sul bus: era praticamente identica a quelle dell'imputato. Ma al processo in secondo grado lo scenario cambiò. Secondo i giudici di Salerno, l'asso nella manica di Brasiello era Aurelio Ghio. Ingaggiato come perito di parte, lo studioso torinese sostenne che l'impronta trovata sull'autobus dei sicari non aveva i 17 «punti di contatto» necessari per identificarla con quella del presunto assassino. A questo punto occorreva affrontare il secondo problema: addomesticare un'altra perizia, ben più autorevole e decisiva. Quella dell'esperto nominato dal tribunale, il professore Luigi Macchiarelli, un cattedratico apparentemente al di sopra di ogni sospetto. Ghio sarebbe riuscito ad avvicinarlo e a convincerlo a truccare anche lui le carte a favore di Brasiello. CoI me? Con un bel po' di soldi, ol- tre cento milioni provenienti dalle casse della camorra. Qualche pentito avrebbe inoltre parlato di un viaggio dei due esperti negli Stati Uniti a spese della malavita. Il finale della storia è noto: gli imputati furono assolti su richiesta dello stesso Demma che al processo, invece di battersi per la condanna, scagionò i camorristi in cambio di una manciata di milioni versati dall'avvocato Buonanno. Ma Ghio interpreta anche un altro ruolo nell'inchiesta sulle toghe sporche: quello di armiere della mala. Avrebbe consegnato più d'una pistola «pulita» a Ferdinando Cesarano, uno dei collaboratori più stretti di Carmine Alfieri. Grazie all'avvocato Buonanno e ai giudici Demma ed Esti, ritenuto «totalmente disponibile nei confronti di Alfieri», la camorra avrebbe addomesticato molti altri processi. Come quello celebrato negli Anni 80 contro il narcotrafficante Mario Fabbrocino, arrestato in Grecia a bordo di un panfilo imbottito di droga: Demma si adoperò per depistare le indagini. Lo stesso magistrato, inoltre, avrebbe fatto di tutto per aggiustare un processo per estorsione contro Pasquale Galasso, il vice di Alfieri. Fulvio Milone Da sinistra, i magistrati di corte d'appello Ciro Demma e Antonio Esti
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