BENEDUCE, BANCHIERE CHE REMAVA CONTRO di Mario Salvatorelli

BENEDUCE, BANCHIERE CHE REMAVA CONTRO BENEDUCE, BANCHIERE CHE REMAVA CONTRO UANDO in Italia si usava «il Voi o, meglio ancora, l'italianissimo Tu» come «raccomandava» uno spot radiofonico e murale del governo (nulla di nuovo sotto il sole, solo mezzi tecnici), il 24 aprile 1940, Alberto Beneduce, appena dimessosi (o dimesso), dalle sue numerose presidenze, scriveva al Duce del fascismo: «Vogliate consentirmi di affermare che a questo alto fine (il supremo interesse dello Stato, che mi sono sforzato di tutelare gelosamente in ogni mio compito), mi onoro di aver dedicato ogni mia energia, così nella creazione dell'Istituto nazionale delle assicurazioni... come nell'osservare fedelmente la consegna, da Voi datami nell'affidarmi la presidenza dell'Iri, di collaborare alla ricostruzione dell'economia italiana». E' sufficiente questa lettera per affermare che Beneduce sia stato un fervente fascista? Non si trattava, piuttosto, della rottura improvvisa del rapporto di fiducia che legava il capo del fascismo all'ex professore di economia dell'università di Genova? Beneduce, infatti, si era già rivelato un demiurgo (nel senso di «divino organizzatore») della finanza pubblica fin dal 1919, quando aveva fondato il Crediop-Consorzio di credito per le opere pubbliche, e poi, con più evidenza (oggi si direbbe: più «platealmente») nel 1923, quando difese con forza l'opportunità della scelta pubblica, contro una soluzione di compromesso pubblico-privato, con il primo ministro delle Finanze del governo Mussolini, Alberto De' Stefani. Non è più logico pensare che, invece, con l'unificazione di quelle presidenze nel governatore della Banca d'Italia, Vincenzo Azzolini, si voleva raccogliere in un'unica mano la finanza pubblica, in vista dell'ormai «inevitabile» entrata in guerra del Paese, che avvenne il 10 giugno 1940? Senza tener conto, infine (spiegazione meno politica, ma più drammatica), che la sua uscita di scena sia d'attribuire ai primi sintomi della malattia che l'avrebbe rapito nel 1944. Siamo partiti da quella lettera perché questa Storia del Crediop di P. F. Asso e M. De Cecco, che esce per celebrare il 75° anno dell'Istituto di credito, è anche (e, forse, soprattutto, per l'interesse che suscita nei lettori, oggi) la storia di Alberto Beneduce, la cui numerosa prole (dal Crediop stesso all'Ina, dall'Iri all'Imi, dall'Icipu-Istituto di credito per le imprese di pubblica utilità all'Imi-Istituto mobiliare italiano) ha dimostrato opportunità e solidità di fondo. Infatti, i figli di Beneduce sono protagonisti, a sessanta-settant'anni e più dalla nascita, anche se qualcuno è malconcio, di quella privatizza- zione dello Stato imprenditore che si sta portando avanti faticosamente, due passi avanti e uno indietro, in una battaglia tra i fautori del privato e i difensori del pubblico, che evoca lo scontro tra Greci e Troiani sul cadavere di Patroclo. Perché quelle, pur robuste, creature di Beneduce avevano i pregi e i difetti del capitalismo italiano, pubblico e privato. Tra i pregi eccelle la capacità di progettazione, realizzazione, innovazione, assai veloci, per «catturare il massimo di occasioni di profitto offerte da congiunture irripetibili, come la prima guerra mondiale» (e, aggiungeremmo, anche la seconda guerra mondiale, con il «miracolo economico italiano»). Tra i difetti: il rifiuto assoluto «di qualsiasi programmazione, di ricerca della stabilità e dell'equilibrio finanziario, anche quando questo significhi la rinuncia a cospicue economie di scala (leggi: riduzioni di spese per fusioni di servizi generali, impianti di produzione e reti di distribuzione, n.d.r.), e lo sfiorare continuamente il disastro». Beneduce, in un certo senso «ha remato contro» questo difetto, con i suoi istituti pubblici di credito abbinati e al servizio delle industrie di Stato, anche per finanziare a favore dell'Opera nazionale combattenti, da lui ideata, l'opera di bonifica delle paludi pontine, anche per rilanciare le società elettriche, primo, incerto passo, verso la nazionalizzazione e l'Enel. Oggi, purtroppo, manca un Beneduce, mentre affollano la scena pubblica molti personaggi che s'ispirano o sembrano ispirarsi alla seconda parte soltanto del suo cognome. Un piccolo episodio per dimostrare quanto siano cambiati i tempi, e non in meglio (e, sotto questo aspetto, anche quelli di allora): come attestato di stima, all'atto del suo ritiro dalla vita pubblica, il suo successore, Vittorio Azzolini, donò ad Alberto Beneduce la Lancia Artena che aveva avuto in uso quand'era presidente. Mario Salvatorelli P. F. Asso e M. De Cecco Storia del Crediop Laterza pp. 644, L 70.000

Luoghi citati: Genova, Italia