L'ITALIA UNTA E GRASSA STRANIERA A SAPEGNO
6.. 6.. CLONDRA OME Bobbio c Leone Ginzburg, Carlo Dionisotti è fra coloro che non conobbero Gobetti, ma naturalmente lo scelsero, lo elessero a modello, forse prima ancora di averne accostate le opere. Perché le affinità elettive innanzitutto si «sentono», poi si dimostrano. Il trait d'union fra l'autore di Geografìa e storia della letteratura italiana e il direttore di La Rivoluzione Liberale è Natalino Sapegno. Dionisotti ne ripercorre la vicenda in Dalla Torino di Gobetti alla cattedra romana (Bollati Boringhieri, pp. 88, L. 12.000), con un'appendice di scritti, quattro articoli e una conferenza. Entrambi torinesi di nascita (ma Natalino è del 1901, al pari di Gobetti, Carlo del 1908); storici della letteratura italiana (Carlo diventa assistente di Natalino, a Roma, nel 1944, succedendo a Mario Alicata, «passato ad altri compiti, maggiori e piti urgenti, nella organizzazione del partito comunista»); «piemontesi spiernontizzati», una vocazione, una necessità, il tema di una lontana, indimenticata lezione di Dionisotti. Capofila del drappello subalpino che varcò i confini regionali fu Vittorio Alfieri: una «vita» fra Firenze e la Russia, Parigi e i londinesi «intoppi amorosi». La capitale inglese è la seconda città di Carlo Dionisotti, chiamato a insegnare (correva il 1949) nel Bedford College. «Alfieri, certo, ma lungo il sentiero della sprovincializzazione lo anticipò Alberto Ridicati di Passerano» av¬ ELLE prime due pagine la tragedia si ò già consumata. La madre morta di malattia e di dolore. Finiti i soldi, le grandi fortune, le case, lo scempio di vendette e di colpe che in pochi anni hanno divorato anche il padre. La figlia ventitreenne lascia la «casa dalle cento porte» tra i pini, gli ulivi e le siepi di gelsomino della riviera e torna nella Milano dove è vissuta bambina. Vi approda sola, in un piccolo albergo nel cuore della città dove ottantotto anni prima il Grande Ernesto - Ernesto Broda - aveva cominciato la sua avventura. Nella valigia ha messo una tovaglia di lino con le cifre di famiglia e qualche posata d'argento. Reliquie di una dinastia non di principi ma di industriali. Ida, che a Milano si salverà abbracciando la psicoanalisi, da parte di padre è infatti erede di quelle famiglie; lombarde che a cavallo del secolo hanno costruito un pezzo d'Italia. I Broda, primi mitici fabbricanti italiani eh locomotive, armi e proiettili, i Cantoni, i De Angeli, i Prua, con i loro tessuti stampati, fondatori di imperi nati dal nulla. Mentre la madri; di origine greca ha avuto accanto a sé zii armatori, milionari cosmopoliti, un padre costruttore di ponti amico di Freud, una madre vissuta nella Trieste; decadente e mitteleuropea. Scintillio di balli e ricevimenti, confusione di lingue che a un certo punto si incrociano con l'operosa e illuminata imprenditorialità lombarda. Già giunta a quell'apice di ricchezza e raffinatezza che prelude al declino. Il libro di Cristina Frua De Angeli, Ma chi è questa bella Principessa, intreccia storie e personaggi antichi alla vicenda personale della protagonista. Diario autobiografico di un percorso maturato in anni di analisi e insieme cronaca di avi mai conosciuti e di parenti prossimi raccontati sul filo della memoria. Una narrazione liberatoria, più che letteraria, che alterna la prosa «lirica» e criptica in voga tra certi seguaci di Lacan, e il racconto nitido tratto da documenti d'epoca e finanche scritti personali ricercati con passione. Sono le parti più belle. Le lettere che Carlo Frua, nato nel 1810, primario pediatra all'o¬
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