Lo accusò di aver sollecitato gli Alleati a colpire Roma di Oreste Del Buono

Lo accusò di aver sollecitato gli Alleati a colpire Roma Lo accusò di aver sollecitato gli Alleati a colpire Roma ni, come si è servito di Fanfani per liquidare Pella. La crisi si chiama De Gasperi, il quale non poteva tollerare l'esistenza di un governo funzionante tipo quello di Pella perché egli desidera al contrario "dimostrare" al Paese che senza De Gasperi non si riesce a governare. E che, per avere De Gasperi, bisogna riconquistarlo con nuove elezioni che diano a De Gasperi e alla De i voti del 18 aprile 1948. De Gasperi lavora bene: l'allontanamento di Pella costituisce un doppio affare. Primo: si liquida il pericolo del governo funzionante e, perciò, del deprecato "ordine" che non permetterebbe nuove elezioni. Secondo: privata del suo strenuo e formidabile difensore, la Lira incomincerà ad andare alla malora e la situazione economica che ne deriverà aumenterà fatalmente l'agognato disordine. De Gasperi lavora bene: i monarchici che grazie all'irreprensibile contegno tenuto con Pella guadagnano terreno, sono ora costretti a negare la fiducia a Fanfani. Si può quindi accusarli di sabotare il governo, di "fare il gioco degli altri". De Gasperi lavora bene: l'abbiamo visto durante la campagna elettorale. E da allora abbiamo cominciato ad accorgerci quale fosse il vero De Gasperi...». Arrivato a questo punto, Giovanni Guareschi concludeva che Alcide De Gasperi era il vero pericolo pubblico proprio perché troppa gente non lo giudicava un pericolo e che, quindi, era ora che qualcuno aprisse gli occhi alla gente. Se altri non si facevano avanti, toccava a lui, al direttore di «Candido», pubblicare un documento che gli era arrivato dalla Svizzera con fior di certificati notarili e perizie calligrafiche di autenticità. Un messaggio datato Roma 19 gennaio 1944 su carta recante lo stemma vaticano e la scritta «Segreteria di Stato di Sua Santità», indirizzato all'egregio tenente colonnello A.D. Bonham Carter - Peninsular Base Section - Salerno, che diceva testualmente: «Egregio Signor Colonnello non avendo ricevuto alcun riscontro in merito alla mia ultima del 12 gennaio '44, mi permetto di trascriverle interamente il contenuto della precedente, rimasta fino ad oggi senza esito. Tramite un corriere P.O. affidiamo la presente contenente la nostra più ampia assicurazione che quanto S.E. il generale Alexander desidera venga effettuato, come azione collaterale da parte dei nostri gruppi Patrioti, sarà scrupolosamente attuato. Ci è purtuttavia doloroso, ma necessario, insistere nuovamente affinchè la popolazione romana si decida a insorgere al nostro fianco, che non devono essere risparmiate azioni di bombardamento nella zona periferica della città nonché sugli obiettivi militari segnalati. Questa azione, che a cuore stretto invochiamo, è la sola che potrà infrangere l'ultima resistenza morale del popolo romano, se particolarmente verrà preso quale obbiettivo l'acquedotto, punto nevralgico vitale. Ci urge inoltre, e nel più breve tempo possibile, il già citato rifornimento, essendo giunti allo stremo. La preghiamo pertanto nel più breve tempo possibile di assicurarci di tutto, e di credere nella nostra immutabile fede nella lotta contro il comune nemico nazifascista». La lettera era firmata «Degasperi» tutto attaccato, come Alcide De Gasperi ancora firmava allora, quando era rifugiato in Vaticano. Era un documento terribile a sostegno dell'accusa che Giovannino Guareschi rivolgeva ad Alcide De Gasperi di essere un politicante spietato, un uomo che non si fermava davanti a nessuno e a nulla. La lettera era stata fornita al «Candido» con altri documenti dall'ex ufficiale della Rsi Enrico De Toma che sosteneva di essere stato incaricato negli ultimi giorni della guerra civile di portare in Svizzera una parte dei- l'archivio di Mussolini per renderlo noto cinque anni dopo la conclusione delle ostilità. Giovannino Guareschi si riteneva sicuro della buona fede di chi senza chiedere alcuna ricompensa gli aveva consegnato quelle carte e quei responsi di notai e periti calligrafi svizzeri e milanesi, ma, soprattutto, non riusciva a non credere a un Alcide De Gasperi talmente in grado di legittimare i suoi sospetti. «E' la politica che si è trasformata in guerra civile: e quando si è in guerra non si va tanto per il sottile. Guerra civile, insistiamo, perché a De Gasperi interessava di battere non i tedeschi ma i fascisti. Tanto è vero che, mentre De Gasperi mai e poi mai si è detto antitedesco, ancor oggi si proclama orgogliosamente antifascista. Comunque, pure ammettendo che ci sia in Italia an sacco di gente disposta a fare non una colpa bensì un merito di quanto scriveva all'inglese il De Gasperi "resistente", a noi pare che la lettera riprodotta possa servire a schiarire le idee sul De Gasperi politicante. Freddo, spietato, privo di ogni scrupolo, feroce, se occorre, De Gasperi è in questo particolare momento l'uomo più pericoloso che l'Italia si possa trovare alle costole. Egli ha iniziato la sua "strafe-expedition": ha eliminato Pella, è pronto a chiedere il bombardamento a tappeto della Lira e dell'economia nazionale, è pronto a tutto pur di ritorna- re..,». Alcide De Gasperi diffidò dal pubblicare il documento a pubblicazione già avvenuta sul numero 4 di «Candido» e dichiarò all'Ansa che, comunque, il falso documento era arrivato al «periodico di Milano» con anni di ritardo, dato che già nell'ottobre 1952 erano stati effettuati più volte e da più parti tentativi di ricatto nei confronti suoi e dei suoi collaboratori sulla base di quella presunta lettera. Ma, sicuro com'era della sua causa, aveva sempre respinto qualsiasi tentativo del genere. Alcide De Gasperi aggiunse che poiché, contrariamente a quanto sarebbe stato lecito pensare, dopo molti tentativi al venditore del falso era riuscito trovare acquirenti, lui era pronto a fornire l'occasione ai suoi diffamatori di assumere tutte le loro responsabilità. Giovannino Guareschi ebbe da eccepire che, se davvero innocente, Alcide De Gasperi non avesse denunciato gli autori del ricatto, e pubblicò nel numero 5 di «Candido» un altro documento, ovvero una lettera autografa a qualche destinatario della Resistenza in cui Alcide De Gasperi pareva confermare in tutto e per tutto la lettera precedente: «Carissimo, spero di ottenere da Salerno il colpo di grazia. Avre- .1 sinistra: Alcide De. Gasperi Sopra: Giovannino Guareschi, che lo attaccò sul <• ( 'andido» Lo statista de non si commosse: «Le carceri dello Stato democratico meglio di quelle fasciste» te presto gli aiuti chiesti. Coraggio, avanti sempre per la Santa Battaglia, auguri, buon lavoro e fede. 26 gennaio '44». L'autenticità del documento era garantita dai soliti attestati notarili e perizie calligrafiche. Ma ormai Giovannino Guareschi non poteva aspettarsi altro che una querela da Alcide De Gasperi. Nello stesso numero di «Candido» Giovannino Guareschi pubblicò una lettera del suo editore, che non dava adito a dubbi: «Caro Guareschi, con vivo disappunto ho visto riprodotto su "Candido" un documento che un comunicato Ansa dichiara essere apocrifo. Debbo dolermi con Lei di avei proceduto a mia insaputa alla pubblicazione di tale documento e, a prescindere dalla veridicità, di non avermi consultato sull'opportunità della sua pubblicazione. In tale circostanza, e per la prima volta nella mia vita di editore, intendo ben scindere le mie dalle Sue responsabilità. La prego di rendere pubblica attraverso "Candido" questa mia lettera. Cordiali saluti. Angelo Rizzoli». Sempre su quel numero di «Candido», il direttore responsabile rivendicò tutta la sua responsabilità: «Sono perfettamente d'accordo con l'Editore. Tanto d'accordo che io, appunto per avere completamente la responsabilità della pubblicazione, non solo ho atteso che l'Editore si trovasse a trecento chilometri da Milano, ma ho passato il materiale in tipogra¬ fia con enorme ritardo alle ore 24 di martedì, dopo avere ordinato ai compagni di redazione di andarsene a dormire perché non avevo più bisogno di loro. Appunto per avere da solo ogni responsabilità del mio gesto, e per non dover, domani, dividere l'onore d'aver mostrato il vero volto di un uomo politico che, per la sua speciale forma mentis, io ritengo oggi dannoso al nostro Paese...». Sullo scontro tra Guareschi e De Gasperi è stato scritto molto, persino troppo. Eppure a raccontare il processo in sé e per sé basterebbero poche righe. Giovannino Guareschi era accusato di diffamazione per aver pubblicato su «Candido» un articolo lesivo della reputazione dell'onorevole Alcide De Gasperi, basandosi su un documento che l'ex presidente del Consiglio dichiarò in tribunale falso. E il tribunale decise che bastava tale dichiarazione giurata da parte di un uomo come Alcide De Gasperi e che sarebbe stata inutile la perizia chimica e grafica dei documenti chiesta dalla difesa e anche l'audizione di testimoni come Enrico De Toma e altri. L'avvocato Lener si sfilò la toga e abbandonò il dibattimento per mancato e negato completamento della prova. Il processo, insomma, era quasi finito prima di cominciare. Dopo dieci minuti in camera di consiglio il tribunale condannò Giovannino Guareschi a un anno di reclusione. Giovannino Guareschi scrisse ai suoi avvocati Michele Lener e Vincenzo Porzio: «Comprendo le vostre amichevoli insistenze circa l'opportunità di richiedere giudizio d'appello: ma non posso recedere dalla mia decisione. Decisione meditata, non frutto di risentimenti o di spirito insofferente. Vi invito quindi a non presentare dichiarazione d'appèllo a mio nome, pregandovi di intendere a questi soli effetti - che prescindono dalla mia fiducia e dalla mia stima la presente come revoca di mandato». Quando riferirono all'ex presidente del Consiglio Alcide De Gasperi che Giovannino Guareschi, non ricorrendo in appello e non godendo più della condizionale, sarebbe finito subito in carcere, il «trentino prestato all'Italia», come da sua definizione e suo vanto, sorrise: «Sono stato anch'io in galera, ci può andare anche Guareschi. Le carceri dello Stato democratico sono migliori che nei periodi di dittatura». Giovannino Guareschi assentì per scritto: «Il Signor De Gasperi ha ragione: se in galera c'è stato lui, ci può stare anche Guareschi. Con questa unica variante: a differenza di quanto fece De Gasperi "temporibus illis" Guareschi non inoltrerà nessuna domanda di grazia al Capo del governo, e così resterà in carcere, puntualmente, per tutto il tempo stabilito dalla Giustizia. Sempreché, naturalmente, i "miglioramenti" apportati dalla democrazia alle carceri dello Stato - vedi Ucciardone (avvelenamento di Pisciotta) - non intervengano a ridurgli, d'autorità, la pena detentiva...». Erano tempi in cui i giornalisti non godevano di particolare indulgenza a destra come a sinistra. Pochi mesi prima i critici cinematografici Renzo Renzi e Guido Aristarco erano stati arrestati per «vilipendio delle Forze Armate» per aver pubblicato su «Cinema Nuovo» un soggetto cinematografico sulla guerra in Grecia. Il 26 maggio 1954 Giovannino Guareschi si costituì al carcere di San Francesco di Parma. Alcide De Gasperi non riuscì a tornare al potere e morì il 18 agosto 1954. Nel corso del processo a Enrico De Toma e Ubaldo Camnasio per falsificazione di documenti e truffa, il collegio dei periti della difesa scoprì differenze addirittura macroscopiche tra gli originali consegnati al tribunale di Milano nell'aprile 1954 e quelli allegati agli atti. Il processo a De Toma e Camnasio si concluse con l'assoluzione dei due imputati dalla accusa di falso, per amnistia, essendosi i fatti verificati prima del 1953, e con l'assoluzione di entrambi dall'accusa di truffa per insufficienza di prove. Venne ordinata la distruzione degli scritti incriminati. Lasciamo perdere la domanda: quali? Oreste del Buono