E'IL ROMANZO L'ANTIPOLITICA

E'IL ROMANZO L'ANTIPOLITICA E'IL ROMANZO L'ANTIPOLITICA Gli insegnamenti di Kundera INTANTO qualche parola sul mistero del titolo: ne I testamenti traditi di Milan Kundera (Adelphi, pp. 279, L. 32.000), il riferimento è al tradimento compiuto da Max Brod nei confronti del testamento di Kafka che, morendo, aveva manifestato ih una lettera all'amico la volontà che i suoi romanzi non sopravvivessero, incaricandolo di provvedervi. Il rimprovero che Kundera rivolge a Brod non è tanto di avere trasgredito l'ingiunzione di Kafka quanto di avere dato del suo tradimento motivazioni che rivelano la mancanza di ogni sentimento alto della morte che, per chi sa rispettarla, non è la fine di una vita ma l'inizio di un rapporto più intenso. Più in generale Kundera pronuncia una convinta disistima nei confronti dell'intellettuale Brod, che considera un lettore mediocre, incapace di cogliere il segreto della «densa» arte di Kafka. Insomma lo accusa di essere un pessimo critico. E i critici (a cominciare da Sainte-Beuve) sono la bestia nera di Kundera. Quella loro pretesa di rendere tutto chiaro, semplificando il senso delle parole degli scrittori e impoverendone (vergognosamente) le intenzioni (e | dunque «Kitschizzandoli»), lo fa andare su tutte le furie. E 10 induce a scrivere che «l'interpretazione Kitschizzante non è la tara peculiare» (non dipende dall'insipienza) di questo o quel critico o professore «ma è una tentazione venuta dall'inconscio collettivo, una ingiunzione del suggeritore metafisico, una esigenza sociale permanente, una forza che non investe solo l'arte, ma in primo luogo la realtà stessa. Essa opera in senso contrario Milan Kundera a Flaubert, Joyce o Kafka, gettando sull'attimo presente il velo dei luoghi comuni affinché 11 volto del reale scompaia. Perché tu non sappia mai ciò che hai vissuto». Ho riportato per intero questa lunga citazione, oltre e più che per richiamare l'attenzione sull'atteggiamento di Kundera nei confronti della critica letteraria, cosi spesso raffazzonata e presuntuosa, anche per dare subito un'idea della ricchezza di pensiero dello scrittore boemo, della sottigliezza delle sue intuizioni e la straordinarietà dei suoi assunti. Non esagero dicendo che Testamenti traditi è il libro piii piacevole, più nutriente e più appassion'inte che ho letto nell'ultimo anno. Eppure è solo un libro di riflessione sul romanzo, sulla poesia, sulla musica: insomma sull'arte che, quando è oggetto di meditazione da parte di una testa pensante, diventa anche occasione di riflessione sugli uomini, sulla vita, sulla storia. Sono tanti i temi che il libro affronta e gli spunti critici e di pensiero che offre. Qui mi limiterò a sceglierne qualcuno. Kundera è uno scrittore di romanzi ma ha debuttato come poeta: quando e perche rinuncia alla poesia per il romanzo? Quando scopre che la poesia, come enfasi lirica, può fare a meno di distinguere e si offre al rischio di celebrare (di liricizzare) anche il Terrore (vedi Majakovskij). Così Kundera si convince che è solo il romanzo, con la sua laicità, che può garantirlo contro gli inganni della politica. E il romanzo che ama (e cui cerca di aderire) ò quello che nasce col grande Rabelais: il romanzo attraversato da un capo all'altro dall'humour (la cui virtù è «di rendere ambiguo tutto ciò che tocca»), indiffe rente al giudizio morale, deciso a «sdivinizzare il mondo», nemico dell'Io (e dei suoi pavoneggiamenti). Questo è il romanzo di Rabelais e di Cervantes, libero, affidato alla forza dell'improvvisazione, incurante della verosi- miglianza, in ascolto solo dell'estro della fantasia. Certo, col passare dei secoli, per un complesso di motivi legati all'emergere di nuove condizioni storico-sociali, il romanzo approdò al racconto del quotidiano e si impose il rispetto della verosimiglianza: a questo punto Dostoevskij e Balzac si trovarono alle prese con la necessità di arginare e regolare il fin troppo libero e fluente flusso della narrazione, raccogliendolo e organizzandolo in una struttura ordinatrice (in una «composizione»). Finché - e siamo al secolo che sta per terminare - il romanzo ha avuto un altro scatto di crescita: in uno slancio di impazienza e di nuova genialità, ha deciso di combinare Rabelais con Balzac, realizzando la conciliazione di improvvisazione e composizione, libertà e ordine, immaginazione e ragione, lucidità e furore; e in questa impresa a vincere sono stati James Joyce, Herman Brodi, Robert Musil e, soprattutto, Gombrowicz. In particolare di quest'ultimo autore, Kundera, dopo aver elogiato la spregiudicatezza, il coraggio nel «respingere il principio stesso di un'arte impegnata» e, nel contempo, nell'«opporsi alla polacchità nel senso di scrollarsi di *| dosso il suo gra¬ voso retaggio romantico», aggiunge: ma soprattutto il suo merito è di «avere rifiutato il modernismo occidentale degli Anni Sessanta, che egli ritiene sterile, sleale nei confronti della realtà, impotente nell'arte del romanzo, accademico, snobistico e dedito unicamente alla sua autoteorizzazione». Parole, queste ultime, dure, di cui noi, che in quegli anni abbiamo vissuto, apprezziamo il senso e non sottovalutiamo il rimprovero che contengono. E di molti altri insegnamenti di Kundera intendiamo tener conto: per esempio dell'incitamento a una scrittura rapida, che va direttamente al cuore delle cose. Qui sorprendiamo lo scrittore boemo farsi generoso di elogi nei confronti del pensiero asistematico di Nietzsche, che procede per aforismi illuminati, contrapposto a quello di Hegel che non rinuncia a fare posto a «ogni particolare, ogni snodo, centimetro per centimetro, sicché l'Estetica finisce con l'apparire come il frutto della collaborazione fra un'aquila e centinaia di eroici ragni, che con le loro tele ne hanno coperto gli angoli più riposti». Ancora condividiamo il suo (di Kundera) convincimento che la Storia-storia e la storia del romanzo corrono su due linee parallele, che devono tenersi a giusta distanza e mai interferire tra loro: così che non si può giudicare uno scrittore se non per i suoi meriti o demeriti di scrittore, facendo tacere ogni giudizio sulle sue scelte e comportamenti politici. Qui il riferimento è a Ezra Pound e a Celine e alla parte sbagliata in cui militarono, tuttavia di Celine Kundera, mentre riconosce gli errori, non rinuncia ad affermare che «proprio in virtù di quegli errori i romanzi di Celine contengono un sapere esistenziale che, a saperlo intendere, potrebbe renderci più adulti. Perché in questo consiste il potere della cultura: nel riscattare l'errore, transustanziandolo in saggezza esistenziale». Potremmo andare avanti; ma qui ci fermiano ripetendo che questo libro è un'inesauribile miniera di riflessione e di giudizi autorevoli, con l'aspetto di verità. Noi ci siamo limitati a pescare, qui e lì, nel campo della riflessione sulla letteratura (anzi sul romanzo moderno); il libro contiene un altro campo: quello sulla musica contemporanea. Anche qui, per chi vi vorrà attingere, si annuncia un raccolto ricco e nutriente. Angelo Guglielmi