CORAGGIO DA MAORI

CORAGGIO DA MAORI CORAGGIO DA MAORI Il neozelandese Alan Duff racconta Usuo romanzo-film Un popolo di guerrieri ribelli nei ghetti metropolitani gliosa Beth, la moglie-coraggio, vuole sfuggire al degrado urbano costruendo un nuovo futuro. Alan Duff, 44 anni, miscela di nobile sangue maori e pallidi immigrati bianchi, un fisico compatto «alla Rocky Marciano», è un talento naturale di scrittura. Nel suo curriculum non ci sono l'università, gli studi regolari, ma la vita vera, un apprendistato da giovane delinquente, i campi di rugby (prima è stato giocatore, poi allenatore). «C'è una scheggia di me in ogni personaggio della storia», dice laconico dalla sua casa di Auckland. Ha pensato a questo romanzo quando aveva 20 anni, l'ha pubblicato quando ne aveva circa 40. Vent'anni a scrivere, ruminare, «perché dovevo crescere». «Ho presentato il manoscritto a una piccola casa editrice di Auckland, la Tandem Press, e l'hanno accolto subito con entusiasmo». Poi un formidabile successo: 70 mila copie vendute (più di Grisham) in un Paese di neanche 3 milioni e mez¬ po, è infarinato da qualche venale imprecisione: per esempio il protagonista Jake, sulla quarta di copertina è ribattezzato Jack. La storia, con piccoli ritocchi, è stata trasformata in film-cult da Lee Tamahori, ex assistente di Oshima. Ha raccolto favori a Venezia, un premio al Festival di Montreal, e si trova in testa alle classifiche di Nuova Zelanda e Australia. Erano guenieri travasa con ritmo l'antica cultura maori nei moderni suburbi. Parla di botte, sbronze, violenze coniugali. Mette insieme bevute, cicche e «kina», le uova di mare viola e vischiose dal gusto dolcissimo. Il padre, l'ubriacone Jake, è uno che sa farsi rispettare; picchia la sua donna e vive di sussidi governativi. Intorno, i figli, che se ne infischiano di studiare la storia degli inglesi, subiscono il fascino delle gang urbane, sfiorano galere e riformatori. Una figlia fragile si suicida per l'onta di una violenza sessuale forse subita dal genitore. L'orgo¬ UAUCKLAND NA volta erano guerrieri. Passavano il tempo a combattersi con gioiosa ferocia. Tribù contro tribù. Quando gli uomini bianchi, i pakeha, si affacciarono sulle spiagge furono fatti a pezzi anche loro in allegria. Poi arrivò la civiltà: i villaggi (i «pa»), lasciarono lo spazio alle città, le case comuni col tetto spiovente diventarono scatole di cemento date in affitto dal governo a prezzi irrisori. I duelli mortali col nemico si trasformarono in scazzottate al pub, il coraggio di guardare in faccia la morte si perse in un mare di birra. Questa è la storia dei maori, ieri e oggi. Al loro fiero lignaggio, e alle loro odierne decadenze è dedicato il romanzo di Alan Duff, Erano guerrieri (Frassinella pp. 249, L. 24.500, traduzione di Tullio Dobner). Il volume italiano, purtrop¬ zo di abitanti (con una pubblicità alimentata - come scrive il Publishers weekly - grazie anche alla «rissosa polemicità» dell'autore). «Ho scritto questo libro perché sulla mia gente si dicevano un mucchio di falsità sulle quali non ero d'accordo», dice Duff, primo romanziere maori di successo. Erano guenieri è un viaggio nell'ordinario malessere sottoproletario di Pine Block, dove la disoccupazione colpisce soprattutto gli antichi proprietari dell'isola. I maori di Duff sopportano il dolore con il falso coraggio della birra. Si descrivono come timidi, svogliati, «inclini a violare la legge», mettono volentieri in comune le cose, appena si sbronzano diventano poeti e cantanti. Ma se qualcuno cade nella tentazione di una lettura folk-lamentosa, Duff insorge. Con orgoglio. «Maori discriminati? Non più di qualsiasi minoranza, in qualunque altro stato del mondo». Il violento protagonista Jake si nutre di insoddisfazione. Ma nes¬ or suna generalizzazione. «Credo esista almeno un Jake in ogni piccolo Paese del mondo, probabilmente migliaia anche in Italia. Tra i maori ci sono quelli che vivono del sussidio di disoccupazione come nel romanzo, ma anche chirurghi, avvocati, giocatori di rugby». Gli antichi sacerdoti facevano la storia leggendo tacche su un bastone. Un uomo era la sua genealogia. Quelle radici sono importanti ancora oggi. «Noi siamo ciò che siamo solo per via del nostro passato, non dobbiamo mai dimenticarlo, altrimenti il futuro sarà perduto. Le nostre malattie del presente derivano proprio dall'oblio della storia». Ma cosa si cela dietro le nebbie del tempo, in un popolo che ha sempre affidato la propria anima solo ai racconti orali? Soprattutto l'orgoglio e il piacere di combattere. Si dice che i guerrieri venissero di notte, silenziosi, a confortare i nemici bianchi feriti, ad abbeverarli e curarli, solo per provare il gusto di combat¬ che nel cuore della tifosissima Vigano, che confessa di non andare più allo stadio da dieci anni ina di rimpiangere gli anni in cui si stava, grandi e piccini, tutti in armonia sulle gradinate, si cantava a squarciagola «Riderà» di Little Tony, e i giocatori si chiamavano Eusebio o Jair. E nessuno pisciava addosso, non si scappava per le cariche, non «c'era il delirio di onnipotenza sul prato coperto di soldi». Qual ò il segreto di quest'altra faccia, magica e insostituibile, dell'agone? Chissà,

Luoghi citati: Australia, Italia, Montreal, Nuova Zelanda, Venezia