Diciamo basta ai vati del nulla

Diciamo basta ai vati del nulla Diciamo basta ai vati del nulla Non sanno più comunicare EIAMO convinti di ciò che scriveva Eliot, «che la musica della poesia non esiste indipendentemente dal significato: altrimenti potrebbe esservi una poesia di grande bellezza musicale ma priva di senso, come a me non è mai accaduto di leggere». Ci interessa, quindi, una poesia che «vada verso la prosa», nel senso che non punti solo a enunciare sconnessi picchi di più o meno luninose metaforicità o a dimostrare l'impronunciabihtà del mondo, ma vada verso il mondo, ne sia una delle espressioni più significative: parli della vita e del soggetto che la vive e quindi la esprima a partire dalle proprie esperienze, non disincarnandosi in astratte «correlazioni oggettive», siano esse mistiche o linguistiche. Non ne possiamo più del Nulla e dei suoi sacerdoti: sul finire del secolo bisogna ripensare la poesia e la sua storia. Ungaretti, per esempio, da tempo non è più «al centro della nostra geografia poetica novecentesca», scrive Berardinelli, e ha ragione. E si capisce bene cosa vuole dire quando parla dei lattai, di Virgilio e, soprattutto, di Orazio. Un poeta che ha avuto un'influenza enorme sulla storia della letteratura, poi cancellato dal titanismo romantico e dall'estremismo surrealista. Ma Orazio torna «nel Novecento con la poesia discorsiva, razionalistica degli Anni Trenta». Chi sono, insomma, gli eredi di Orazio? Cioè della latinità, cioè della nostra tradizione? Sono Gozzano, Saba, Brecht, Penna, Wystan H. Auden, Pasolini, l'ultimo Montale, il primo Pagliarani e, per calare di generazione, Patrizia Cavalli e Renzo Paris. A debolezza, l'opacità comunicativa, l'oscurità o, più precisamente, l'inconsistenza semantica di molta poesia di oggi deriva

Persone citate: Berardinelli, Brecht, Montale, Pagliarani, Pasolini, Patrizia Cavalli, Penna, Renzo Paris, Ungaretti, Wystan H. Auden