Asiago nasce una Pompei sui campi di guerra

Sulle tracce dei soldati di ogni nazione nel conflitto del 1915-18 Sette Comuni della Piana diventano un museo all'aperto: non solo natura ma anche letteratura e storia Asiago, nasce una Pompei sui campi di guerra NASIAGO ATURA, storia, letteratura si ritrovano sull'Altipiano dei Sette Comuni, o di Asia. 1 go, come in pochi altri luoghi montani, e c'è voluto che storici, naturalisti e turisti ci mettessero gli occhi e i piedi per dare a questa terra l'importanza che merita, tanto che oggi, giustamente, gli amministratori comunali di Asiago hanno dato incarico allo Studio Gregotti di Milano a predisporre un Piano regolatore generale che, oltre ovviamente al problema ambientale e abitativo dovrà affrontare anche il tema storico. Insomma paesaggio naturale, insediamenti umani, sviluppo futuro dovranno fare i conti con la storia e la letteratura. Si legge nella relazione del Piano: «Risorsa meno evidente di quella paesaggistica, anche perché oggi difficilmente accessibile, ma straordinaria per la sua unicità, è l'area che fu teatro degli scontri bellici della Grande Guerra». Più che le incisioni rupestri della Val d'Assa, le stazioni preistoriche, il villaggio retico del Bostel, i cippi di confine tra Repubblica di Venezia e il Principato di Trento sono evidenti e impressionanti i segni lasciati quassù dalla Grande Guerra, della quale quest'anno, per l'Italia, ricorre l'80°. Di tutto il «Fronte Ovest» che partiva dal Mare del Nord per arrivare ai Dardanelli, e del «Fronte Est» che partiva dal Baltico per arrivare al Mar Nero, in nessun luogo forse la guerra si è accanita per oltre quarantadue mesi come sull'Altipiano dove, in spazio relativamente ristretto, si sono affrontati non solo italiani e austroungarici delle varie etnie, ma anche, nel 1918, inglesi e francesi che vennero quassù «in fraternità d'armi» per dare una mano a sconfiggere gli imperiali. Le centinaia di migliaia di soldati che qui sono passati hanno lasciato, letteralmente, profonde tracce ma anche testimonianze letterarie e storiche che dureranno nel tempo, che saranno sempre ricordate e che, con il trascorrere degli anni sembrano riemergere con più forza. Come quei «diari» che vengono raccolti e custoditi dalla Fondazione di Pieve Santo Stefano. Quando, a cominciare dalla primavera del 1919, si diede mano a ricostruire i paesi rasi al suolo, a bonificare dai cadaveri e dagli ordigni bellici i campi e i pascoli, a ripulire per far ricrescere la foresta non c'era il tempo per ammirare tutto quello che l'ingegneria di guerra aveva fatto: strade, teleferiche, acquedotti, e poi ancora trincee, camminamenti, gallerie, osservatori. Erano milioni di metri cubi di roccia scavati, frantumati, spostati per creare postazioni di fucilieri, caverne per mitragliatrici, per sistemare migliaia di cannoni. In ogni stagione, con metri di neve o nelle aride estati o negli autunni piovosi, migliaia di migliaia di soldati di tanti Paesi d'Europa avevano fatto tutto questo, ma dalla fine del 1918 al 1923, nel ricostruire e nel bonificare, non restava il tempo per fare considerazioni: i genitori che aspettavano le nostre nascite volevano solo un tetto sopra il capo e riprendere a vivere nella loro terra dopo tanta morte. Dopo, quando vennero gli anni della crisi del Trenta, i residuati che la guerra aveva lasciato sulle montagne divennero «miniera» e i recuperanti, che già erano esperti di guerra, si misero a scavare e a raccogliere ogni cosa che era ghisa, rame, piombo, ferro, esplosivo, che poi diventava farina da polenta, pane, companatico per le famiglie. Anche se troppe volte esplosioni non volute causavano ancora morte, o corse verso gli ospedali della pianura dentro un'auto pubblica che segnava di sangue la polvere della strada. Metro dopo metro gallerie e trincee dell'una e dell'altra parte vennero ripercorse negli anni di questo secondo dopo guerra quando, ancora per una crisi, coloro che non potevano o non volevano emigrare si rimisero a scavare. Agli ex combattenti della Prima Guerra Mondiale si unirono così questi della Seconda; ma questa volta avevano uno strumento nuovo che, seppure costoso, dava risultati sorprendenti: erano i cercamine degli Alleati che venivano commerciati nei Campi Arar. Venne così alla luce quello che la guerra aveva nascosto nella profondità del suolo e per alcuni ci furono colpi di fortuna. Ma ancora queste montagne furono bagnate dal sangue della povera gente. Come gli anni delle guerre si allontanavano, giustamente l'economia e il lavoro in pace davano i loro frutti e la natura, seppur lentamente e con fatica, ricopriva di erba e di arbusti le ferite. Ormai sono migliaia le persone, e non solo italiani, che dalla primavera all'autunno salgono sull'Altipiano per seguire un tratto di trincea, per entrare con una torcia in qualche galleria, e muovere con la scarpa il terreno per raccogliere il frammento di una testimonianza. Osservando e studiando il territorio per la stesura del Piano i tecnici dello Studio Gregotti hanno subito capito l'importanza dei segni lasciati dalla Grande Guerra, di questa importanza anche gli amministratori comunali erano convinti e così, nei sopralluoghi, più che pensare a impianti di risalita e a piste di discesa si ritenne importante dare giusto valore a questo vasto «museo all'aperto». Il Piano propone l'idea di un grande «Museo della Guerra». Un «museo territoriale» i cui confini coincidono con il teatro reale degli avvenimenti bellici e la cui eccezionalità è fuori discussione. Si pensa di usare come punto di partenza la vecchia caserma difensiva di Monte Interrotto. Venne costruita dopo la Terza Guerra d'Indipendenza, quando il Veneto venne annesso all'Italia; vi aveva sede, a turno, una compagnia d'alpini del battaglione Bassano del 6° Reggimento, a guardia dei vicini confini con il Trentino. Durante la Grande Guerra il caratteristico fortilizio che domina la conca di Asiago, divenne osservatorio sia per l'uno che per l'altro esercito, che si spostavano sulla linea del fronte. Da lassù, luogo facilmente raggiungibile e da dove si gode un vasto panorama, si possono intuire e «leggere sul terreno» le grandi battaglie, in special modo la «Strafexpodition» del 1916 e la «Battaglia dei tre monti» del 1918. In questo vecchio e suggestivo rudere si prevedono dei locali dove allestire con pannelli, grafici e brevi scritte la storia che si svolse in questi luoghi tra il 24 maggio 1915 e il 4 novembre 1918, come premessa a quanto si potrà incontrare lungo dei percorsi opportunamente indicati, da farsi a piedi, o in bicicletta da montagna, o con automezzi fuoristrada di pubblico servizio. Si incontreranno i cimiteri austroungarici del Monte Moschiach, le trincee e la «Mina» di Monte Zebio, i camminamenti, i caposaldi, le opere immani scavate lungo la linea austriaca fin sulla vetta dell'Ortigara e le contrapposte altrettanto immani scavate dagli italiani fin sullo sperone del Campanaro che precipita in Val Sugana. Su, nella parte più aspra e deserta dell'Altipiano, ai piedi di Cima XII, ci sono ancora le mura in pietra viva delle «case» dove gli austriaci trovarono rifugio durante il durissimo inverno del 1916-17, e a Campo Gallina si intravedono le strutture di quella che l'architetto Cagnardi ha definito «la Pompei della Grande Guerra». Volendo si potrebbe anche fare un «Itinerario Lussu» seguendo mulattiere e trincee descritte in Un anno sull'Altipiano. Ma anche un itinerario «Carlo Emilio Gadda» e in base agli schizzi fatti dal Nostro nel Giornale di guerra localizzare il ricovero e le postazioni delle sue «macchine». Sull'Ortigara in «Itinerario Paolo Monelli» seguendo il combattimento descritto in Scwpe al sole. Da parte austriaca un «Itinerario Fritz Weber» sulle tracce di quando scrive in Tappe della disfatta. Nella cartografia del Piano e in una eventuale pubblicazione indicare anche i monumenti, le lapidi, le iscrizioni (ce ne sono in italiano, tedesco, inglese, serbo-croato, cecoslovacco). Notevole e degno di attenzione per il suo valore artistico il monumento a Roberto Sarfatti (che una leggenda dice figlio di Mussolini) caduto sul Col d'Ecchele, opera di Giuseppe Terragni. A fare questo non occorrerebbero grandi mezzi finanziari e, dato che si tratta di un fronte di guerra che interessò l'Europa, anche la Comunità potrebbe intervenire, E perché no? - anche reparti del Genio italiani e austriaci in sei-vizio di leva; e il volontariato (gli alpini in congedo hanno dimostrato di saper farei. Diventerebbe per tutti una grande lezione di storia, un esempio di volontà di pace, una unione che andrebbe oltre ogni nazionalismo: una fraternità concreta sulle testimonianze fisiche della Grande Guerra. Mario Rigoni Stern Da Gadda a Lussu gli itinerari per rivivere la grande tragedia Sulle tracce dei soldati di ogni nazione nel conflitto del 1915-18 Lo studio Gregotti sta preparando il progetto globale La Piana di Asiago dove si combatté per molti mesi