O.J., primo round alla difesa

Mossa a sorpresa dei difensori alla prima udienza del processo contro l'ex star accusata di omicidio Mossa a sorpresa dei difensori alla prima udienza del processo contro l'ex star accusata di omicidio 0. Jv primo round alla difesa Los Angeles, spunta un nuovo teste-chiave LOS ANGELES NOSTRO SERVIZIO Dopo sette mesi ricchi di spettacolari fughe in auto, contraddittorie testimonianze, dotte schermaglie legali, controversi test del Dna, guanti insanguinati e continui colpi di scena che hanno riempito decine di migliaia di articoli di giornale in ogni angolo del globo, ieri il «processo del secolo» ha finalmente avuto inizio. Se questo ò un grande show, e non solo un processo per stabilire se O.J. Simpson è un eroe dello sport o un brutale assassino, ieri è stata la giornata dell'attesissima prima, quando il giudice Lance Ito ha letto le istruzioni alla giuria e l'accusa e la difesa si sono preparate a presentare le loro argomentazioni ai 12 giurati sulle cui spalle posa il destino dell'ex campione del football. Tra giornalisti, operatori televisivi e assistenti, al Criminal Court Building di Los Angeles c'erano quasi un migliaio di rappresentanti dei media. Collegato da 800 nuove linee telefoniche e circondato da un centinaio di chilometri di cavi della televisione, il palazzo e stato ribattezzato «Camp O.J.» e per i giornali e le tv americane sarà, nei prossimi mesi, il centro del mondo. Perché il caso Simpson, ormai, ha acquistato una tale rilevanza che è diventato uno specchio nel quale il Paese può guardarsi e osservare un po' di tutto: dalla violenza do- mestica al conflitto razziale, dalle ingiustizie del sistema di giustizia all'ossessione dei media e del pubblico con chi è ricco e famoso come O.J., tutto adesso sembra passare da questa anonima aula al nono piano del tribunale di Los Angeles. Ma torniamo alla giornata di ieri. Il programma indicava che si sarebbe iniziato con le istruzioni del giudice Ito alla giuria. Ma Robert Shapiro, Johnnie Cochran e gli altri costosissimi avvocati del team di difesa di Simpson hanno cambiato la sequenza degli even¬ ti sostenendo che Mark Furham, il detective della polizia di Los Angeles già accusato di nutrire sentimenti razzisti, non ha mai rivelato il fatto che Rosa Lopez, una domestica di Simpson, gli avrebbe detto che alle 22.15 di quel 12 giugno, quando l'ex atleta si sarebbe recato a bordo della sua Ford Bronco bianca al condominio della ex moglie Nicole per assassinarla, l'auto era in realtà parcheggiata fuori dalla sua villa. La difesa ha anche presentato all'ultimo momento una lista di 34 testimoni e un videonastro che l'accusa non ha avuto il tempo di esaminare. Costretto a decidere sull'ammissibilità di queste prove, il giudice ha dovuto far slittare al pomeriggio le istruzioni alla giuria, quando ha comunicato ai 12 giurati e ai loro supplenti che devono stabilire la colpevolezza dell'imputato «al di là di ogni ragionevole dubbio». Ha anche ricordato ai giurati che se l'evidenza punterà ragionevolmente verso due possibili verdetti, devono operare per l'innocenza. Indirettamente, il giudice ha finito insomma per ricordare a milioni di telespettatori che pensavano che la fuga nella «freeway», le macchie di sangue rinvenute nella Ford Bronco e la faccia contrita di O.J. erano abbastanza per pensarlo l'ovvio assassino che l'accusa ha davanti una battaglia molto difficile. Marcia Clark, Christopher Darden e colleghi devono riuscire nell'impresa di trasformare in brutale e freddo assassino un individuo che per molti è un eroe. Ma c'è di più. Questo è un crimine senza arma del delitto e senza testimoni. Certo, c'è quella spettacolare fuga e c'è quella lettera suicida senza il suicidio che avevano tutta l'aria di un'ammissione di colpevolezza. C'è il guanto rilevato sulla scena del delitto che fa il paio con quello trovato nella villa di Simpson. E c'è quel fragile alibi secondo cui, mentre Nicole Simpson e Ronald Goldman venivano assassinati, Simpson stava riposando: peccato che lo chauffeur che doveva condurlo all'aeroporto sostiene di avere suonato il campanello invano e di avere visto nel giardino un nero come O.J. e con la sua stessa corporatura. Poi, ci sono i test del Dna e i ripetuti episodi di violenza domestica che hanno portato Darden, l'avvocato nero dell'accusa che da piccolo voleva indossare la maglia 32 come quella di O.J., a sostenere: «Questo è un delitto che ha avuto inizio 17 anni fa». Ma l'accusa intende giocare le proprie carte con freddezza e determinazione, sottolineando i tanti buchi dell'inchiesta. Come fa un uomo a uccidere a coltellate due adulti in un condominio, senza che nessun vicino senta urla e lamenti? E se dietro ci fosse la mafia colombiana? E se fosse stata una questione di droga? O un regolamento di conti nei confronti di Goldman? Teorie che difficilmente stanno in piedi, ma non importa. Basta che uno solo dei giurati abbia un dubbio e O.J., con l'estate prossima, si ritrova pieno di debiti con i suoi avvocati, ma libero di tornare nella sua lussuosa «mansion» di Brentwood. E potrà ripresentarsi al mondo non solo come un eroe, ma come una vittima. Lorenzo Sòria O. J. Simpson durante il processo

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