Tutto il potere alla burocrazia di Filippo Ceccarelli

Tutto il potere alla burocrazia Tutto il potere alla burocrazia Così i sottosegretari conquistano il Palazzo TRENTAQUATTRO «COLONNELLI» LROMA A lista, la lista, mannaggia alla lista dei sottosegretari che è sempre incompleta, o sbagliata, o chissà che... E a pochi minuti dal giuramento, quando i viceministri, sempre un po' a disagio nei loro abiti scuri, stanno entrando nella sala delle Repubbliche Marinare, ecco, all'ultimo momento pallidi funzionari di Palazzo Chigi requisiscono la lista che hanno appena distribuito perche non c'è Gerelli, non c'è Zanetti, Agricoltura è ripetuta due volte, mentre all'Industria sono previsti due posti, ma le caselle sono bianche. Che succede? «Non tenetene conto». Ah, la lista. E ancora una volta le incertezze della lista hanno uno strano effetto sulle sedie, col risultato che proprio quando Dini è già lì con il suo sorriso di circostanza e il capocerimoniere della presidenza del Consiglio sta per dare inizio al rito - «Prego di alzarsi in piedi» - c'è chi continua a scavalcare i cordoni con queste sedie in braccio e l'aria interrogativa di chi non sa dove metterle. Tanto tuonò, comunque, che furono nominati i sottosegretari. Tecnici, però, stavolta: mai successo. Così, intorno alle 11, si sono presentati a Palazzo Chigi e nessuno li riconosceva. «Ho un appuntamento con il dottor Cardia» è stata, alla fine, la frase convenzionale per essere ammessi - si fa per dire - nel Palazzo. In effetti è quasi tutta gente che nel Palazzo, forse proprio perche non impegnata direttamente nella sarabanda politica, ci sta benissimo fin dalla più tenera età. Tecnici? Sì, tecnici. Basta intendersi sulla parola, che, occorre riconoscere, è un po' povera. Perché mai come in questa lista dei sottosegretari (che sono 34 contro i 69, record, del settimo governo Andreotti) si notano stratificazioni geologiche, notevoli frammentazioni partitiche e interpartitiche e un risultato finale forse ancora più degno d'attenzione. Spicca, per dire, con la sua aria prefettizia ancien regime, il partito di Scalfaro, partito fatto da uomini come Luigi Rossi, già braccio destro del compianto capo della Ps Parisi e ben insediato, adesso, al Viminale. Così come si intuisce un'equilibrata presenza di vecchio e nuovo, di pre e post, di partitocrazia e antipartitocrazia. Per cui tecnica, ma prima ancora repubblicana, è senz'altro la professoressa Etel (di cui ora, grazie alla lista, si conosce il vero nome: Eteldedra) Serravalle. Così come medico, certo, e figlio di medici, è quel professor Condorelli che fu responsabile, addirittura, della de di Gava, Scotti e Pomicino. Mentre sul fronte opposto, diciamo dei rinnovatori, oltre all'avvocato Stella Richter, che nel 1992 si presentò alle elezioni con la lista-Giannini, c'è senza dubbio il giurista e professor Carlo Chimenti, conosciuto anche come capo di gabinetto del ministro Barile e autore di un libro, «Il governo dei professori)), sulla stagione Ciampi. Eppure mai come stavolta tutto si tiene. E in ultima analisi il mastice di questa lista eminentemente «tecnica» finisce per essere l'esclusione di qualsiasi cosa, di qualsiasi idea, di qualsiasi persona abbia o addirittura abbia avuto a che fare con la Fininvest, con la televisione, con la pubblicità. Con il risultato che ottiene la sua più clamorosa rivincita quel partito della continuità del potere che per sua stessa natura è preberlusconiano. Un potere primario, perciò, riservato, specialistico, internazionale e quindi a suo modo oligarchico (sarebbe interessante poter valutare il peso della massoneria). Un potere abituato a guardare dall'alto le smanie e a volte pure le miserie e l'ignoranza dei politici. L'ex segretario della Camera Marra, per dire, garante di lusso del consociativismo; il professor Stefano Silvestri, anima dell'Iai e sommo sacerdote di strategie geo-politiche; il presidente del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione Luciano Corradini, che da sempre ne sa più di ogni ministro; il professor Prestamburgo, dietro cui c'è un apparato come quello della Coldiretti; Mario D'Urso che dopo tante avventurose delusioni elettorali arriva direttamente al governo come rappresentan¬ te di una finanza cosmopolita di successo («E' membro di numerose associazioni sportive: tennis, vola, nuoto, scacchi - lo presentava ieri YAdnKronos un po' in tutto il mondo»). Insomma, si sente, in questa lista di apparenti sconosciuti, la forza delle burocrazie che rimangono là dove sono sempre state (vedi gli ambasciatori che ritornano alla Farnesina da padroni), delle Partecipazioni Statali, del denaro, delle Accademie. Un potere che sa bene che il giuramento dei sottosegretari è una cerimonia di serie B. E che la stessa figura del sottosegretario, con quell'implicito «vorrei ma non posso», quel sogno da peones, evoca un ruolo gregario e uno status precario. Chi, del resto, se non un sottosegretario aveva chiesto un metodo di calcolo ponderale per la distribuzione del potere? Ed era nato il manuale Cencelli. Anche per questo, ieri, veniva quasi il groppo in gola a osservare questi tecnici così insidiosamente neutrali e pensare al giuramento di quegli altri «astutissimi» sottosegretari della politica-politica. Azzarà, Murmura, Picano, Madaudo, Susi, Pavan, Ricciuti, Ciocia: un mesto appello di uomini spazzati via. I tecnici, in fondo, rompono una tradizione, ma soprattutto un'immaginazione. Filippo Ceccarelli

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