Il pg Catalani getta la spugna? di Susanna Marzolla

Il giudice, sotto inchiesta del Csm, potrebbe anticipare il trasferimento d'ufficio Il giudice, sotto inchiesta del Csm, potrebbe anticipare il trasferimento d'ufficio Il pg Catalani getta la spugna? «Sono voci che non confermo e non smentisco» MILANO. In procura, a Milano, nessuno vuole fare commenti anche se qualche battuta ironica sfugge; «Chi di ispezione ferisce...». Eh, già: adesso nel mirino del Consiglio superiore della magistratura c'è finito lui, Giulio Catelani, procuratore generale. Magistrato che aveva dimostrato di sapersi ben muovere tra le stanze del potere, e che adesso invece è inciampato in una specie di «doppio gioco». Da un lato, infatti, avrebbe sollecitato l'ispezione ministeriale e dall'altro ha pubblicamente negato questo suo ruolo. Una vicenda di cui si deve occupare la prima commissione del Csm, quella competente per i trasferimenti d'ufficio. Catelani finirà con il dover lasciare Milano o, addirittura, lui stosso e pronto a dimettersi? Questa la voce che circolava ieri e che il procuratore non ha voluto commentare, trincerandosi dietro il classico: «Non confermo e non smentisco». Piccolo passo indietro. Al Csm, dopo tutte le polemiche scoppiate sulle ispezioni condotte a Milano (ma anche a Palermo), si è avviata un'indagine - affidata alla commissione riforma - sui metodi di queste stesse ispezioni. Vengono ascoltati il procuratore capo di Milano Francesco Saverio Borrelli e i suoi sostituti del pool «Mani Pulite» (erano loro al centro delle ispezioni). Vengono sentiti anche gli ispettori, in particolare Ugo Dinacci, il capo del servizio, e Vincenzo Nardi responsabile delle indagini. Sono loro due a dire chiaro e tondo al Csm quello che peraltro già l'ex ministro Alfredo Biondi aveva dichiarato ai giornali. Che cioè l'ispezione era stata sollecitata dal procuratore generale Catelani. Fin qui, nulla da dire: il magistrato aveva tutto il diritto di rivolgersi al ministero. Ma Catelani ha detto l'esatto contrario, che cioè non c'entrava nulla con l'iniziativa: lo ha fatto intervistato dai giornalisti e lo ha fatto, soprattutto, in una lettera ufficiale spedita a Borrelli. A questo punto la commissione riforma del Csm ha inviato gli atti ai colleghi della prima commissione. «Un atto dovuto da parte nostra - spiegano -, occorre verificare se queste contraddizioni esistono e, nel caso, perché Catelani abbia mentito». Se la «doppiezza» venisse confermata potrebbe scattare il trasferimento. A meno che Catelani stesso non prevenga possibili provvedimenti con le sue dimissioni. E' cosi? «Non smentisco e non dico nulla; ne riparliamo lunedì». Risponde così da Firenze dove era andato per un dibattito. In cui si è affrontato anche il tema delle ispezioni: «Accertamenti di cui nessuno si deve scandalizzare», ha detto Catelani; senza però voler fare alcun riferimento al suo caso personale. «Lasciate pure girare le notizie - ha ribadito, confermando di non voler rispondere - e poi il modo migliore per saperlo non è chiedere a me, ma verificare se in un certo ufficio è arrivato un certo scritto». Vuol forse dire che ha spedito un fax di dimissioni? Per risposta, una risata. Se Catelani era a Firenze; poco distante (a Pisa) c'era un componente del pool, Gherardo Colombo. Chiamato ad un convegno sulle stragi, a parlare dei possibili «depistaggi» di un'inchiesta. E uno dei modi di «depistare», secondo il magistrato, è quello di trasferire le indagini «con perdita di conoscenze e di tempo». Ricorda due casi «personali»: l'inchiesta sulla P2 e quella sui fondi neri dell'Iri, passate da Milano a Firenze. «Già nel 1981 - dice - ci imbattemmo nel conto Protezione ma a Roma la vicenda venne archiviata. Invece se si fosse indagato su quel conto si sarebbero risparmiati al Paese dieci anni di tangenti». Quasi lo stesso coi fondi Iri: «Nessuno venne condannato, ma tra gli indagati dei processi di oggi abbiamo ritrovato chi c'era anche allora». Un «depistaggio» anche il trasferimento del processo sulla Finanza a Brescia? Colombo a questo non risponde: «Parlo solo del passato». Susanna Marzolla E da Pisa Colombo rivela: Tangentopoli si poteva scoprire fin dall'81, se Roma non avesse archiviato l'inchiesta sul Conto Protezione Il procuratore generale di Milano, Giulio Catelani