«Così il partito di Carnevale aiutava i boss» di Giovanni BianconiFrancesco La Licata

^ «Nella prima sezione della Cassazione esisteva un'alleanza per aggiustare i processi» ^ «Nella prima sezione della Cassazione esisteva un'alleanza per aggiustare i processi» «Così il partito di Carnevale aiutava i boss» E Falcone disse: attenti, è pericoloso ROMA. Marzo 1992, ministero di Grazia e Giustizia, quarto piano, ufficio del giudice Giovanni Falcone. I collaboratori Liliana Ferrara, Giannicola Sinisi e Loris D'Ambrosio, riferiscono al direttore generale degli affari penali l'esito del «monitoraggio» sulle sentenze della prima sezione penale della Corte di Cassazione, quello disposto dal ministro Martelli in seguito ad alcuni verdetti, molto criticati, del giudice Corrado Carnevale. I tre spiegano a Falcone di aver rilevato che nei collegi giudicanti, i nomi di alcuni magistrati ricorrevano più di altri. In sostanza i processi di mafia - compresi quelli che si concludevano con annullamenti e scarcerazioni - venivano definiti quasi sempre dalle stesse persone. Ricorda Liliana Ferrara: «A quel punto Falcone ci fece un sorriso e disse: "Andiamo con calma perché sono cose delicate e potrebbero essere anche pericolose", facendo chiudere la porta di comunicazione con la segreteria». Aggiunge Giannicola Sinisi: «Il dott. Falcone, non appena gli comunicammo il motivo dell'incontro, chiuse la porta blindata della sua stanza e ci raccomandò prudenza dicendo che "su queste questioni si poteva anche morire"». I tre propongono a Falcone di fare anche una verifica sugli avvocati che difendevano più spesso gli imputati di mafia. «A quel punto - ricorda ancora la Ferrara - il dott. Falcone disse qualcosa del tipo: "Per sapere quali nomi? I soliti Angelucci e Aricò?". D'Ambrosio disse di ricordare un certo avvocato Aricò, che difendeva imputati di eversione di destra e di appartenenza alla cosiddetta banda della Magliana. Falcone disse: "Appunto", e consigliò di continuare la lettura all'ufficio del monitoraggio senza dire niente a nessuno, con la massima riservatezza». Le dichiarazioni degli ex collaboratori di Falcone sono agli atti del processo contro Giulio Andreotti e rappresentano, per l'accusa, una delle chiavi per aprire la porta di quel «partito della prima sezione della Cassazione» attraverso il quale si sarebbero realizzati gli «aggiustamenti» dei processi voluti dai mafiosi. E fanno intendere che Giovanni Falcone aveva da tempo intuito ciò che di lì a poco, dopo la sua morte, i pentiti avrebbero raccontato sul ruolo di avvocati e giudici. Sul «partito della prima sezione» c'è anche la testimonianza del procuratore generale della Cassazione Vittorio Sgroi: «Vero è che un "partito" del genere c'era, tant'è che, ad esempio, una lettera inviata al Csm a firma plurima ed un intervento televisivo del collega Pintus sembrarono ispirati più a un patriottismo di sezione che non ad un radicato convincimento. Altri, invece, lasciò la prima sezione, perchè non ne condivideva gli orientamenti che andavano consolidandosi, fino al punto da rendere prevedibile, su determinate questioni, la decisione che sarebbe stata adottata...». E l'attuale ministro dell'Interno, Antonio Brancaccio, ex presidente della Cassazione, ricorda ai magistrati palermitani: «La prima sezione si caratterizzava per un "orientamento tendenzialmente omogeneo, compatto". Qualcuno, che aveva un orientamento diverso insistentemente ebbe a chiedermi di cambiare sezione...». Il capo indiscusso di quel «partito», sostiene l'accusa, era Corrado Carnevale. Di lui Brancaccio - a sua volta definito da Carnevale in conversazioni private «un delinquente» e «'nu animale» - dice: «Disprezzava tutti, dimostrava alterigia nei confronti di tutti, per lui erano tutti quanti inetti ed incapaci». Eppure «esercitava un grande ascendente su quasi tutti i colleghi, grazie al fatto che in ogni camera di consiglio era sempre preparatissimo e molto persuasivo nelle sue argomentazioni». Ma come mai il primo maxiprocesso alle cosche non fu presieduto da Carnevale? 1 giudici di Palermo sono conviniti che «l'ammazzasentenze» avrebbe tentato di indirizzare l'operato della «sua» sezione anche senza presiederla. Carnevale, per quel procedimento, scelse come presidente il giudice Vincenzo Molinari. «Una designazione - commenta il procuratore Sgroi - che mi era sembrata singolare fin da subito, perché Carnevale non poteva non sapere che Molinari sarebbe stato collocato a riposo di lì a poco. Con il senno di poi, inol¬ tre, la designazione mi sembrò tanto più singolare se si considera che Molinari è calabrese. Feci questa riflessione subito dopo l'assassinio del collega Scopelliti». Il maxi processo, alla fine, fu affidato - su suggerimento del presidente Brancaccio - ad un altro magistrato, Arnaldo Valente, che confermò il «teorema Buscetta» e l'impianto accusatorio disegnato da Giovanni Falcone. Il «travaglio» della Cassazione, in vista del maxiprocesso, fu seguito quasi in diretta dai boss mafiosi, che nell'ultimo grado di giudizio riponevano tutte le loro speranze. «A Spoleto - ha rivelato il pentito Gaspare Mutolo - io parlai a lungo con Giuseppe Giacomo Gambuto, capo del mio mandamento, il quale mi riferì che tutto sarebbe andato male, al contrario di quello che si sapeva poco tempo prima. Infatti, secondo il Gambino, il presidente Carnevale, che costituiva per noi la massima garanzia, era stato costretto a rinunciare a presiedere il processo, sia perché attaccato (ad esempio dai familiari di Dalla Chiesa che avevano ritirato la costituzione di parte civile), sia, soprattutto, a causa delle pressioni del dott. Falcone che, con l'appoggio dell'on. Martelli, voleva salvare il "suo processo"». Le condanne ai mafiosi furono confermate. E il pentito Santino Di Matteo spiega: «Subito dopo la sentenza la macchina si ò messa in moto... Bisognava eliminare quei politici (Lima e Salvo) che non erano riusciti a procurarci un risultato positivo...». Il primo fu ucciso il 12 marzo 1992, Igna- zio Salvo il 17 settembre dello stesso anno. La mafia pensò ad un attentato ad Andreotti o ad uno dei suoi figli. Perché? Per il collaboratore Gioacchino La Barbera, testimone di tanti colloqui tra i super-latitanti Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella, la risposta è semplice: «11 sen. Andreotti aveva in sostanza usalo Cosa Nostra in passato, facendole anche dei favori, e ora invece adottava misure molto pesanti e contrarie agli interessi di Cosa Nostra... Dai discorsi latti in mia presenza era chiaro che Brusca e Bagarella consideravano Andreotti un "traditore", nel senso che "ci aveva girato le spalle"». Giovanni Bianconi Francesco La Licata ^ Il giudice Falcone: parlando di Carnevale lo defin

Luoghi citati: Falcone, Lima, Palermo, Roma, Spoleto