A nudo una generazione di Vip

A nudo una generazione di Vip Tutti gli studenti erano fotografati senza veli Uno scienziato cercava indizi sul carattere LA CLASSE DIRIGENTE SVESTITA A nudo una generazione di Vip Anche Hillary nell'archivio delle università Usa Vi L u NEW HAVEN N pomeriggio degli Anni 70, aggirandosi nei labirintici corridoi di un torre gotica di New Haven, un impiegato della Yale University spalancò la porta di una stanza che era stata chiusa per moltissimo tempo: lì, nel «Payne Whitney Gymnasium» scoprì qualcosa che lo scioccò e lo sconvolse. Lo scioccò perché ciò che vide era uno sterminato dossier di foto di nudi: migliaia e migliaia di ragazzi in posa, di fronte, di spalle e di fianco. Lo sconvolse perché, a un controllo più accurato, gli scatti si rivelarono le testimonianze di un bizzarro rituale che fa pensare a una specie di «piercing» di massa: da ogni corpo spuntavano file e file di punzoni e aghi. L'impiegato rimase disorientato e con lui il dinamico direttore dell'epoca, Frank Ryan. Ma dopo alcune ricerche, molto discrete, riuscì a scoprire di cosa si trattava e decise di far bruciare tutto. Fu un grande rogo - il «Falò dei Migliori e dei più Brillanti» - e con quella decisione ci si convinse di aver distrutto gli ultimi imbarazzanti indizi di una pratica molto diffusa, un tempo considerata scientifica e oggi sorprendente come un rito voodoo. Ma la convinzione si dimostrò sbagliata. Migliaia e migliaia di foto, scattate a Yale e in altre scuole d'elite degli Stati Uniti, sono sopravvissute. Quando ho cominciato questa ricerca dei «nudi in posa», non riuscivo a decidermi se considerarli uno scandalo tout-court o un esempio di follia accademica E adesso che li ho trovati e li ho visti, continuo a chiedermi se la reazione più appropriata sia uno scatto di indignazione o uno scatto di risa. Personalmente, ho posato nudo soltanto un paio di volte nella mia vita. La seconda volta fu per un film-documentario proiettato al Whitney Museum di New York. La prima volta fu invece per una ragione davvero strana, non solo per l'ambiente, che era quello sofisticato di un'università della «Ivy League», ma anche per gli aghi che mi erano stati applicati lungo il corpo. Un pomeriggio d'inverno a metà degli Anni 60, poco dopo il mio arrivo a New Haven (stavo per cominciare il mio primo anno di università a Yale), fui convocato in quel «tempio» di virtuosismi muscolari che è la palestra «Payne Whitney Gymnasium». Fui condotto in uno stanzone senza finestre e lì un gruppetto di uomini in camice bianco mi ordinarono di spogliarmi. Poi appoggiarono una serie di spilloni lungo la mia spina dorsale. Devo dire subito che non si trattò di «piercing», cioè di una perforazione della pelle, ma devo anche aggiungere che a essere violata fu la mia dignità, mentre quegli aghi da 12 centimetri l'uno venivano attaccati con pezzi di nastro adesivo lungo la mia schiena. Mi sistemarono contro una parete e una luce accecante mi illuminò a giorno. Contemporaneamente, una macchina fotografica catturava la mia immagine. Non ebbi neanche modo di sollevare obiezioni. Mi dissero solo che i «nudi in posa» erano una pratica standard a cui si dovevano sottoporre tutti gli studenti del primo anno. E aggiunsero che i ragazzi che mostravano posture anomale erano invitati a frequentare corsi correttivi. Anche 30 anni fa, mi parve un'iniziativa strana. Eppure, ben presto, mi resi conto che si trattava di una pratica molto diffusa in tutte le università più prestigiose d'America, quelle della «Ivy League» appunto. George Bush, George Pataki, Brandon Tartikoff e Bob Woodward furono sottoposti a questi test a Yale, Meryl Streep a Vassar, Wendy Wasserstein a Mount Holyoke, Hillary Rodham e Diane Sawyer a Wellesley. A tutti - vale a dire ai rappresentanti della futura élite degli Stati Uniti - fu chiesto di posare. E, sebbene la maggior parte delle università e dei «college» cercasse in ogni modo di farla apparire una procedura di routine, la sua evidente stranezza finì per generare uno strascico di interrogativi e di pettegolezzi. In effetti, c'erano molte storie piccanti che circolavano a Yale negli Anni 60. La più comune sosteneva che qualcuno si fosse introdotto nel laboratorio fotografico di Poughkeepsie, nello Stato di New York, avesse rubato i negativi e che questi fossero stati messi in vendita al mercato nero delle università. Ma è stata Naomi Wolf, laureata a Yale e autrice nel '92 del saggio «The Beauty Myth», a rompere il vaso di Pandora del grande scandalo dei «nudi in posa». In questo libro e poi in un articolo apparso sul «New York Times» ha attaccato duramente un altro ex allievo di Yale, Dick Cavett, per la battuta che fece durante la cerimonia di consegna della lauree del 1984. Secondo la Wolf, Cavett afferrò il microfono e raccontò un aneddoto imbarazzante. «Quando ero studente a metà degli Anni 50 - disse - nel campus di Yale non erano ammesse ragazze. Loro andavano in un altro "college", a Vassar. E lì, tutte le studentesse venivano fotografate nude per controllarne la postura. Un giorno, alcune foto vennero rubate e messe clandestinamente in vendita. Ma non trovarono compratori». Fino a quando, mesi dopo, un professore di storia di Yale, George Hersey, scrisse una lettera al «New York Times», spiegando che le foto erano state scattate per ragioni antropologiche: «La scuola scientifica prevalente dell'epoca - guidata dal professor E. A. Hootn diHarvard e dal professor W. H. Sheldon della Columbia - sosteneva che il corpo di un individuo, se misurato e analizzato, poteva rivelare molti indizi sulla sua intelligenza, sul suo temperamento, sulla sua moralità e anche sulle sue possibilità di affermazione sociale. Ispiratore di questa dottrina fu il fondatore del darwinismo sociale Francis Galton, che, tra l'altro, propose di creare un archivio di tutta la popolazione britannica». A quel punto, Hersey evocò addirittura lo spettro del Terzo Reich. «1 nazisti raccolsero archivi molto simili non solo per moli- vi razziali ma anche per stabilire l'esistenza di diverse categorie caratteriali. Anni dopo, gli studiosi americani pensarono di creare un archivio fotografico che consentisse di studiare la configurazione fisica di ogni studente universitario, il cosiddetto "somatotipo", e di confrontarla, in tempi successivi, con la sua vita futura. Il fatto che le foto non siano avvicinabili in nulla a esibizioni pornografiche conferma la loro natura esclusivamente scientifica». Ciò che Hersey stava suggerendo era che intere generazioni dell'elite americana erano state schedate come cavie in un vastissimo esperimento eugenetico, condotto in segreto da un gruppo selezionato di scienziati. Decisi di andare a trovare il professor Hersey, a New Haven. Mi mostrò le bozze di un libro che stava preparando sull'«estetica del razzismo» e a colpirmi fu un passaggio: «Fin dall'inizio, lo scopo di questi "nudi in posa" era eugenetico. I dati accumulati, infatti, avrebbero aperto la strada all'idea di controllare e di limitare la riproduzione degli individui inferiori». Ma qual era il vero rapporto tra teorici come Hooton (citato nel libro), Sheldon, vale a dire il professore che scattò decine di migliaia di foto nelle università della «Ivy League», e le università stesso? Hersey mi spiegò che il «tesoro» delle foto di Sheldon esisteva ancora e mi diede il numero teleionico di un certo Ellery Lanier, che - mi disse - era stato amico intimo di Sheldon, cioè della «ménte» che concepì i «nudi in posa». Lanier mi spiegò di aver conosciuto Sheldon alla fine degli Anni 40 alla Columbia University. Nel '51 - raccontò - «Life» pubblicò una storia di copertina sulla sua teoria dei «somatotipi». La versione popolare delle teorie di Sheldon sosteneva che gli esseri umani si dividessero in tre tipi fondamentali: «esomorfi», «endomorfi» e «mesomorfi», ma, in realtà, era tutto più complesso. Sosteneva che ogni individuo possedesse gradazioni differenti di quei tre tipi caratteriali. Analizzando i corpi e stabilendo una serie di proporzioni in base alle foto dei «nudi in posa», Sheldon era convinto di poter assegnare a ogni persona un numero a tre cifre che misurasse le tre componenti che lui riteneva genetiche e che, secondo lui, costituivano le determinanti del carattere. In al¬ tre parole, il fisico equivaleva al destino. Tra gli Anni 40 e gli Anni 50, lo «sheldonismo» raggiunse l'apice della popolarità e della rispettabilità scientifica. D'altra parte, molte - come Harvard - avevano già una tradizione di «feto da posa» degli studenti, ma era stato al Wellesley College del Massachusetts che le ricerche sulla «correttezza della po: stura» si erano affermate sin dagli Anni 20 come una disciplina a sé. Quello che Sheldon fece, quindi, fu di appropriarsi di un «rituale» già esistente e di adeguarlo alle proprie ricerche. Lanier mi spiegò anche la causa della sua caduta, legata al tentativo - rimasto incompiuto - di compilare un «Atlante delle Donne». Voleva infatti affiancarlo al suo famoso «Atlante degli Uomini» (fatto ad Harvard), ma Sheldon incappò in un disastroso incidente. Accadde che nel settembre 1950 il professore e il suo «team» sbarcarono a Seattle, alla Washington University, dove cominciarono a scattare nudi di ragazze per l'atlante. Ma qualcosa andò storto: una delle ragazze raccontò ai genitori quanto le era successo e il giorno seguente una folla di avvocati e professori indignati penetrarono nel laboratorio di Sheldon, sequestrarono le foto e le bruciarono. Altre migliaia finirono in cenere negli Anni 60 e 70, a Harvard, a Vassar e a Yale, quando queste università decretarono la fine della pratica dei «nudi in posa». Ma altre migliaia ancora sono scampate alle fiamme, foto che Sheldon aveva immagazzinato nel proprio archivio personale. E di questo cosa ne è slato? Lanier disse di non averne idea. Mi rivolsi allora a un altro signore, Roland Elderkin. Lui, che era stato il suo assistente e il suo fotografo, mi rivelò: «Sono io che ho messo insieme quell'archivio». Mi raccontò che nell'87 i curatori del «National Anthropological Archives» del «National Museum of Naturai History» di Washington avevano acquistato lutto ciò che restava del lavoro di Sheldon (morto 10 anni prima), custodito fino ad allora a Boston. I curatori si resero subito conto di aver messo le mani su un materiale potenzialmente esplosivo. E, infatti, non mi è stato facile avere accesso alle foto. Alla line, quando ho potuto vederle e scorrerle, ho cercato di osservare i volti. Ne è valsa la pena, perché ho scoperto ben presto che c'era una differenza fondamentale tra i ragazzi e le ragazze. Perlopiù, gli uomini apparivano diffidenti. Ma i visi delle donne erano tutta un'altra storia. Mi ha sorpreso scoprire come apparissero imbarazzate e tristi, quasi che la procedura a cui venivano sottoposte le facesse soffrire fisicamente. Sulle facce di alcune ho visto i segni di una smorfia. Smorfie di imbarazzo e l'orse anche di rabbia. Ron Rosenbaum Copyright «The New York Timese per l'Italia «La Stampa» Durò fino al '68 Ora tornano i dossier si» ■ v, mm 1 Le fotografìe riprendevano gli studenti di fronte, di spalle e di fianco. Da molti corpi spuntavano file e file di punzoni e aghi che servivano per verificarne le posture La pratica era diffusa in tutte le università più prestigiose d'America Tutta l'attuale élite degli Stati Uniti compresi Hillary Clinton e George Bush dovettero posare senza veli Quest'ultimo era studente a Yale Ancora altri «nudi in posa» La stranezza di questa procedura finì per generare polemiche e pettegolezzi