Segni perché voglio allearmi col pds

«Questa volta andrò alle urne chiedendo alla Lega un patto con tanto di bolli e di ceralacca» Segni: perché voglio allearmi col pds «Questa Destra è un pericolo, ci porta al Sud America» LE STRATEGIE DI MARIOTTO POCHI giorni fa, all'aeroporto di Rio de Janeiro, Mario Segni e la moglie Vicky vengono avvicinati da un italiano che vive da lustri in Brasile: «Onorevole - gli fa il tizio - lo sa che qui ormai si parla di crisi in salsa italiana? Ha fatto scandalo che un impresario televisivo sia diventato in Italia presidente del Consiglio, perché qui, quando fu eletto Collor, voleva presentarsi alle elezioni anche Santos, proprietario della seconda rete televisiva brasiliana, ma la Corte Suprema lo bocciò senza scampo. Insomma, lo sa che il Sud America adesso è lì da voi?». «Naturalmente - racconta Segni, che anche fisicamente è un po' l'archetipo della moderazione - ho risposto al concittadino di non esagerare. Ma, appena rientrato in Italia, ho trovato le televisioni presidenziali brandite come un randello contro i nemici, ma anche gli amici e gli ex amici, con il presidente della Corte Costituzionale, Casavola, giustamente indignato per quanto ci costringono a vedere e a sentire tutte le sere via etere». Così, Mariotto l'amletico, stavolta ha buttato il teschio alle ortiche e non ha esitato a lanciare a D'Alema e a Buttigliene la sfida del patto dei democratici e dei veri liberali, di cui oggi ci illustra un calendario strettissimo, a prescindere dal destino e dalla durala del governo Dini: Costituente dell'area laico-cattolica entro marzo e Convenzione di tutte le forze democratiche e liberali, compreso naturalmente il pds, entro il prossimo aprile. Sarà vero? Lo provochiamo, come da contratto, il mallevadore della Convenzione di Centrosinistra: lei, onorevole Segni - gli buttiamo là ò un conservatore, magari illuminato, che viene da una famiglia agraria conservatrice; suo padre, grande proprietario terriero, non si rivolterà nella tomba, se lei andrà alle elezioni con gli ex comunisti, in un'unica lista e magari con uno stesso simbolo? «Guardi fa trattenendo la moderata indignazione -, mio padre, per ventanni, si è rifiutato di prendere la tessera del partito fascista, perché la cultura del liberalismo cattolico non poteva mischiarsi col fascismo. La destra di Fini e Berlusconi che oggi abbiamo di fronte, dimostra ad abundantiam che gli illiberali di destra possono essere pericolosi quanto e più di quelli di sinistra. L'asse Fini-Berlusconi s'inserisce in un pericoloso fenomeno mondiale, che vede una sua manifestazione nella nuova destra intollerante e razzista del partito repubblicano americano». E la sinistra, la sinistra ono- revole Segni? «E' sicuramente più europeista e democratica di una destra che non è né einaudiana, né tatcheriana, né giscardiana, e, va detto, neanche mussoliniana. E' una destra diversa: un po' statalista e un po' liberista, terribilmente confusa, ma molto antieuropea e nazionalista, perciò arretrata e provinciale, priva di senso dello Stato e con una forte carica d'intolleranza». Chi ne è il vero leader? Berlusconi o Fini? «Poco importa, perché, nel suo autoritarismo, 6 fortemente unita; non esiste oggi una destra cattiva e una buona, alla Giolitti. Berlusconi parla come Fini, anzi peggio, segue purtroppo il modello Previti. E questo è il punto. I veri moderati e i veri liberali non possono stare con questa destra illiberale, devono stare per forza dall'altra parte». Ma lei, come il pds, voterà il governo Dini, presidente designato a Scalfaro da Berlusconi e poi buttato a mare. «Sì, perché votare Dini, un governo che è ridicolo descrivere come di sinistra, è oggi un dovere verso l'Italia, non votarlo è un atto di totale irresponsabilità. Si deve evitare che la lira diventi carta straccia e che l'Italia venga additata come il Sud America d'Europa, quando il Sud America si dà garanzie da democrazia europea». Ma non sarà proprio per questo che Berlusconi è tanto irritato? Perché il voto al governo Dini può sdoganare i post-comunisti? «Il governo Dini, al momento dell'annuncio, ha fatto crescere i mercati e questo Berlusconi non poteva tollerarlo. Perciò ha deciso di affossarlo. Ma se il governo avrà la fiducia, come credo, sarà un test molto importante per il pds, che potrà dimostrare agli italiani il suo senso di responsabilità. Perché Dini dovrà fare una manovra dolorosa e impopolare, alla vigilia di una campagna elettorale, e dovrà completare la riforma del sistema pensionistico, oltre a fissare le regole per una civile campagna elettorale, nel rispetto di tutte le posizioni da parte del mass media. Per questo Berlusconi e Fini vogliono affossare il governo, perché dimo¬ strerà con i fatti che il senso di responsabilità non è a destra, ma è al centro e nel pds». Ma lei è proprio sicuro che l'equivoco del post-comunismo sia sciolto? «Una coalizione come quella che propongo ha bisogno della forte presenza di forze non pidiessine, per un ancoraggio stabile alla modernità: cattolici, laici, socialisti. Queste forze contribuiranno a sciogliere quanto di residuale c'è eventualmente nella sinistra». In che percentuale è superata la cappa post-comunista? «Direi almeno per i tre quarti, ma c'è ancora bisogno di una salutare ventata liberista, che sciolga i lacci ancora non sciolti. Ora è possibile, perché il pendolo della storia sta tornando indietro: non c'è più il liberismo totalizzante della Thatcher, che ne faceva quasi una religione, perché si è capito che, per la prima volta negli ultimi duecento anni, l'Europa ha questo problema: la ripresa economica non garantisce nuova occupazione. Questo fenomeno non si affronta, figurarsi, con la demagogia berlusconiana del milione di posti di lavoro, accompagnata di fatto da una politica antiquata e antimoderna, ma coniugando europeismo e impegno dello Stato verso l'occupazione, come propone Delors». C'è pronto un Delors italiano? «Tracciamo la strada, mettiamo i picchetti, poi lo troveremo». Non si propone lei come Delors nostrano a D'Alema e Buttiglione? «Stia certo che il problema non è questo, chi mi conosce lo sa. Io cerco di lavorare per il Paese, non sono mica Berlusconi». E Dini può essere il Balladur d'Italia? «No, può svolgere magari un ruolo di transizione importante, ma non è il Balladur italiano, perché non ha dietro un forte movimento liberista e europeista». Insomma, lei dice che a questo punto il pds ha capito che una linea alla Delors è il massimo di sinistra consentito e serve ad affrontare il problema del lavoro? «Non ne dubito, perché questa sarà la bandiera della nostra coalizione. Certo, bisognerà scontare qualche resistenza interna, la sinistra italiana viene da lontano, ma questa è la politica». Ma insomma, secondo lei, il pds è più pronto del ppi alla nuova coalizione antidestra? «Non esageriamo, ma certo, per quanto riguarda, ad esempio, i temi istituzionali tra alcuni popolari c'è una pericolosa nostalgia proporzionale che non vedo tra i pidiessini. Senza considerare che nel ppi c'è un settore abbastanza ampio, rappresentato da Formigoni, che si considera già un pezzo dello schieramento di destra. Posizione legittima, per carità, ma che, da parte di Buttiglione, richiede chiarimenti netti». Buttiglione esita, non rischia di perdere il treno, com'è capitato anche a lei in passato? «I fatti e il vento della storia sono talmente forti che batteranno le tentazioni di Buttiglione, il quale sarà costretto a salire sul treno. Ma sappia che non c'è neanche un minuto da perdere. Guardi giù per la strada, Forza Italia sta già distribuendo i volantini della campagna elettorale. Ogni ritardo di Buttiglione sarà come fare deliziosi cadeaux agli avversari. Senza considerare che, più Buttiglione tarda a scegliere, più crescono i rischi di una frattura grave nel ppi». Va bene, lei ha scelto il campo, ma farete in tempo a compattarvi per le elezioni? «La destra, diciamolo, è più avanti di noi, ma, se c'è la volontà, possiamo essere pronti anche per giugno. In marzo faremo una Costituente dell'area cattolica e laica. In aprile una grande Convenzione di tutta la coalizione che si presenterà alle prossime elezioni, la Coalizione dei democratici e dei veri liberali». Avete una sigla e un simbolo? «Non ancora, ma se c'è l'intento di battere una destra antistorica, non tarderemo a trovarli». E la Lega? «E' un problema più grave rispetto a quello del ppi. Anche lì c'è una frattura. Ma noi dobbiamo offrire agli italiani un patto di legislatura, ben chiaro e solido. Stavolta alla Lega chiederò bolli e ceralacche». Vabbè, la vediamo determinato: ma perché la sua Convenzione col pds non l'ha fatta l'anno scorso? «Non ce l'avrei fatta. Il berlusconismo ha spiegato coi fatti alla sinistra che l'alternativa vincente è il moderno liberismo e a noi che, purtroppo, in Italia una destra giolittiana non c'è e non ci sarà». E Buttiglione? «Deve capire che Kohl e la Cdu stanno in Germania e non in Italia». Perciò? «Perciò al centro e a sinistra è arrivata l'ora del Big Bang». Alberto Staterà