Bossi chi non vota sì è fuori dalla lega

Ma i «ribelli» replicano: per adesso restiamo nel Movimento, non accettiamo i diktat Ma i «ribelli» replicano: per adesso restiamo nel Movimento, non accettiamo i diktat Bossi: chi non vota sì è fuori dalla lega E' l'ultimo avviso ai dissidenti ROMA. Il dissidente si fa prudente. Biagio Dell'Uomo, senatore di Ferrara, dentista con la passione del bridge e del golf, apre la porta dell'Assemblea Dissidente Permanente e guarda fuori: caspita quanti giornalisti e tv. Non fa a tempo a chiudere e zac!, la domanda: uscite o non uscite dalla Lega? «Beh, insomma, adesso avrete un nostro documento». Uscite sì o uscite no? «Beh, insomma...». Insomma «il documento è interlocutorio». Ancora? Ancora. Come spiegherà alle sei di pomeriggio Mauro Polli, deputato della Valdossola, «ci rivediamo lunedì sera. E adesso leggo il comunicato...». Robusto quanto un corazziere, Polli si piazza davanti alle telecamere a gambe larghe. Il comunicato suona come una dichiarazione di guerra «al segretario federalo Bossi Umberto». I dissidenti «rivendicano la piena autonomia di scelta nel momento della votazione per il nuovo governo». Bossi ha detto che chi non vota per Dini è fuori dalla Lega? Non importa, ruggisce Polli, «i veri leghisti siamo noi, noi siamo la Lega e dalla Lega devono uscire Bossi e i suoi dissidenti!». Bossi, a sera, ribadisce il concetto e picchia: «La Lega non ò un carro per portar persone che hanno scambiato la politica per gli interessi!». Proprio ieri l'Assemblea Dissidente Permanente ha compiuto un mese. In trenta giorni («Siamo in 80, quasi 100!», Marcello Staglieno, ora nel gruppo misto) hanno perso Roberto Maroni, sono rimasti in 30 e ancora non si capiscono differenze e intenzioni. C'è chi si sente già fuori e però aspetta l'espulsione, come Polli e Luigi Negri ex segretario di Lombardia. C'è chi, Stefano Aimone Prina, architetto di Biella, ha passato una brutta notte e si è svegliato convinto: «Ragazzi, io non abbandonerò mai la Lega, neppure se mi spingono fuori con un rullo compressore». E'chi, come l'avvocato veronese Danilo Montanari, ieri ha scelto il ccd. Ora che se n'è andato Montanari ammette: «Io sono rimasto fino a questo momento perché ho tentato di tirarli dalla mia parte. Vedo che sono intenzionati a costituire un gruppo parlamentare tutto loro, ma non so se avranno i numeri». Sincero o malizioso, Montanari scopre un nervo delicato. Al Senato i dissidenti sarebbero 10, e quindi il gruppo lo potrebbero battezzare. Alla Camera, invece, ce ne vogliono almeno 20. Quanti deputati hanno firmato il documento che inizia con «Noi sottoscritti»? Polli non risponde, Negri neppure. Meno di 20. I «sottoscritti» si sono firmati «i dissidenti» e basta, senza un cognome. Dovrebbero essere 10 senatori e 17 deputati. Dovrebbero, perché Aimone Prina si è chiamato quasi fuori, Montanari se n'è già andato e il senatore Mario Rosso, avvocato della Cisl di Cuneo, alle 16 di ieri davanti al Senato confida: «Io vado a iscrivermi al gruppo misto e aspetto che arrivino gli altri. Basta con questa minestra delle riunioni». Chi resta, chi ancora è rimasto, è alle prese con il solito dilemma: e mo' che si fa? C'è tempo fino a mercoledì, quando Dini arriverà al voto. Quando le telecamere se ne vanno, Polli si scopre: «Il voto a Dini? Ma noi voteremo come deciderà il Polo!». Ovviamente Polli sa che la Lega ha deciso, chi non vota è fuori. Ma anche qui è pronta la replica: «I veri leghisti siamo noi!». E allora tocca a Franca Valenti, bionda biologa milanese, scoprirsi del tutto: «Noi voleremo come ci pare, in piena autonomia, e sarà lui, Bossi, a buttarci fuori!». Segue Negri: «Non accettiamo i diktat di Bossi». E poi Emanuele Basile, avvocato di Lodi e presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere: «Questo diktat è antidemo¬ cratico, dispotico e mortificante!». A sentire i dissidenti, tutto è pronto per l'addio. «Ma fino a martedì - conferma Giuseppe Rossetto, milanese, manager di tv private - non esce nessuno». Perché sul voto al governo Dini l'Assemblea Dissidente prima si dividerà e poi si scioglierà. O con Dini e Bossi, o contro Dini e con il Polo. Meglio se determinanti. E arrivati a questo punto ognuno dà i numeri che vuole. «Saremo tutti compatti», giura Negri. «Vedremo, ci sarà libertà di coscienza», lo corregge Marcello Lazzati, avvocato di Legnano con l'incubo delle elezioni e della Lega che scompare. Vedranno. E fino a martedì prudenza. Prudenza? La raccomandino a Bossi, se qualcuno di loro lo sente. «Dissidenti? C'è un dis. Vuol dire un disvalore. La Lega fa e ha fatto delle scelte, vota il governo e chi non lo vota è fuori. Punto», li brutalizza mentre se ne va al Funari News. «Vadano, vadano pure nel Polo che non esiste più. Vadano con il Partito Unico Fascista di Berlusconi, dove non esiste nulla di democratico e la magistratura dovrebbe cominciare a metter mano!». Con o senza i dissidenti, Bossi è sempre sul sicuro, o almeno così dice: «Il governo Dini passa, e una volta in funzione resterà in carica abbastanza a lungo». La prudenza, per Bossi, non esiste. Giovanni Cerniti Documento contro il Senatur: «Rivendichiamo la piena autonomia al momento delle decisioni» Il segretario della Lega Umberto Bossi Roberto Maroni, ex ministro leghista dell'Interno

Luoghi citati: Biella, Cuneo, Ferrara, Legnano, Lodi, Lombardia, Roma