La Destra non ama più le élites di Pierluigi Battista

I conservatori abbandonano persino il mito dei «tecnici» La Destra non ama più le élites E la Sinistra non invoca più il «popolo» ■/«ALTRO RIBALTONE» ROMA ELL'INDECIFRABILE Paese di Ribaltopoli, dove la destra minaccia di sfiduciare la destra per non compiacere la sinistra e la sinistra regala la fiducia alla destra per cucinarsi ben bene la destra, insomma in questo bizzarro e imprevedibile Paese finisce che la sinistra rende palesi la sua insofferenza e il suo disprezzo per il «popolo» vociante e tumultuante mentre la destra, parola di Silvio Berlusconi, sente emanar dalle compite e competenti figure managerial-professorali l'odore di quel «misto pericoloso di aristocrazia e monarchia». Ribaltone storico. In principio era la Destra a temere l'avvento delle «masse», l'appressarsi del «grigio diluvio democratico», lo stringersi della «moltitudine» informe e minacciosa attorno alla cittadella presidiata dagli «spiriti magni». Era la Destra che si abbeverava ai testi di Mosca e Pareto alla ricerca di un principio che resti- tuisse alle élites un primato messo in discussione dalla travolgente avanzata del popolo, che si richiamava a Prezzolini e alla sua Voce per vedere rivendicati i diritti dell'aristocrazia dello spirito contro la marcia trionfale del volgo. Era la Destra che sognava il governo degli «ottimati». Che elogiava la virtù della «competenza» insidiata dal predominio del numero e della quantità messo in pratica dalla democrazia. Ma ora c'è stato il ribaltone. La «Destra» s'appella al popolo e a un'interpretazione integrale del principio della sovranità popolare e attacca l'«aristocrazia» (e addirittura la «monarchia», chissà se di diritto divino) per esprimere l'ostilità nei confronti dell'establishment, le oligarchie, i «poteri forti», forti sì, ma senza un mandato popolare. Sul Secolo d'Italia, il giornale del partito che nelle sue tesi congressuali accenna pure a Evola che di «aristocrazie» antidemocratiche se ne intendeva, Pietrangelo Buttafuoco sostiene che stringendo la mano ai ministri «tecnici» di Dini, il Presidente della Repubblica ha evitato di sentire la «puzza del consenso», «il tanfo, l'alito del gregge sfuggito al pastore» che invece trasudava dai ministri del Polo. Marcello Veneziani sul Giornale difende il «fetente popolaccio» dall'algida e spocchiosa «Questura degli Illuminati». Ribaltone. La sinistra mette in soffitta le «grandi masse popolari». Ora si rappresenta come la «parte più colta del Paese» (Reichlin), si scaglia contro il popolo che esprime solo una «domanda di padrone» (Scoppola), che rappresenta la «marea crescente del cattivo gusto e della volgarità» (Bocca). Tratta il volgo come «imbecilgente» (Dario Fo). Deplora la «plebe» ancorché «borghese» (Bertinotti) che scende in piazza per invocare Berlusconi. Sfoggia erudizione per opinare sulla validità della «ragione della maggioranza» (Canfora). Che si invaghisce intellettualmente per i «tecnici», per tutto ciò clic e vissuto come «super partes», «sganciato da appartenenze», di «alto profilo professionale» e dunque avverso alla «deriva» per forza di cose «plebiscitaria», alla «tentazione» immancabilmente «peronista», alla sindrome ovviamente «populista» di un potere «telecratico» che sta riducendo il popolo elettore a uno stadio di minorità puerile e dunque «pericolosa». Ribaltone. Ribaltone anche per chi è «sceso in campo» come imprenditore di successo immune dai vizi della politica e oggi difende la politica contro le «aristocrazie» che non vogliono bagnarsi alla fonte della politica democratica. Troppo. Anche per Ribaltopoli. Pierluigi Battista I conservatori abbandonano persino il mito dei «tecnici» A sinistra: Giuseppe Prezzolini fondatore e direttore della «Voce» A destra: Dario Fo

Luoghi citati: Italia, Mosca, Pareto, Roma