Quasi una rissa per l'addio di Silvio

Quasi una rissa per l'addio di Silvio Quasi una rissa per l'addio di Silvio Bagno di folla all'uscita da Palazzo Chigi Dini soddisfatto dopo il «chiarimento» IL PASSAGGIO DELLE CONSEGNE ROMA. Sono quasi le dieci e l'atmosfera nel cortile di palazzo Chigi si carica di tensione. Tutto è pronto per il passaggio delle consegne tra Silvio Berlusconi e Lamberto Dini ma dopo le accuse di tradimento e contro-tradimento volate in questi giorni si teme che il rituale abbia sviluppi del tutto irrituali. Invece, dopo un conciliabolo di tre quarti d'ora tra i due, la tensione si allenta. E con un effetto teatrale a sorpresa, la rissa finisce per scoppiare appena fuori dal palazzo. Dini varca il portone di Palazzo Chigi con qualche minuto di anticipo e con un sorriso, dicono alcuni, «stampato sul viso». Con passo svelto, senza indugiare, passa in rassegna il picchetto d'onore della Scuola allievi dell'Arma dei carabinieri accompagnato dal generale Giannattasio, consigliere militare della presidenza del Consiglio, e sale su. Tre quarti d'ora più tardi il generale Giannattasio ripercor- re il tappeto rosso in senso inverso. Questa volta al suo fianco c'è Berlusconi. Porta un doppio-petto scuro e cravatta blu a pois. Offre un sorriso di circostanza al picchetto e cammina ancora più velocemente di Dini, con l'aria di voler concludere ai più presto una cerimonia sgradevole ma necessaria. Invece la cerimonia ha una coda inaspettata. Appena al di là del portone di Palazzo Chigi un centinaio di supporter urlano «Silvio! Silvio!», esortandolo a «non mollare». La tentazione di un rapido bagno di folla dopo tutti questi mesi di vita blindata diventa irresistibile. Così Berlusconi fa cenno alla macchina di aspettare ed esce in piazza a respirare un po'. Niente da fare. Microfoni, registratori, telecamere: in pochi secondi gli si crea una tale ressa intorno che arrivato all'angolo con via del Corso, dopo aver percorso una cinquantina di metri, fa chiamare l'auto, si scusa, saluta é scivola via. Ma la piccola folla non si placa e torna verso il portone di Palazzo Chigi. Tra i sostenitori della vecchia maggioranza si distingue l'onorevole Domenico Gramazio (An), che cerca di chiudere il portone del palazzo per manifestare «il lutto per la fine del governo Berlusconi». Ma le guardie non apprezzano lo humour di Gramazio. Insulti, spintoni e qualche colpo basso: alla fine due agenti di polizia rimangono contusi e vengono portati in ospedale per essere medicati. La folla finalmerte si disperde con i cronisti ancora a chiedersi cosa mai si saranno detti Berlusconi e Dini in quell'incontro di tre quarti d'ora nella sala al piano nobile. Incontro «cordiale», preciseranno poi le agenzie di stampa, ma non certo amichevole. Soltanto in serata i due riveleranno che il «tradimento» è diventato «chiarimento»: Berlusconi appoggerà il governo in cambio di un impegno di Dini a rimettere il mandato per andare alle urne prima dell'estate. Dopo il colloquio Dini si reca nello studio lasciato libero da Berlusconi e si mette al lavoro. Non deve neppure pensare al trasloco: continuerà a vivere a piazza Fontanella Borghese, in affitto dalla Banca d'Italia, nell'ampio appartamento all'ultimo piano corredato con l'oramai celebre Jacuzzi en plein air. Il trasloco è invece un cruccio e non da poco per il premier uscente, che a Palazzo Chigi si era trasferito, spendendo un paio di miliardi per risistemare l'arredo. L'enorme specchiera, la scrivania Ottocento in noce massiccio, il gran tavolo di mogano, i quadri, l'argenteria: tutto sarà portato via. A meno che, dicono i maligni, le assicurazioni date da Dini a Berlusconi sulla durata del nuovo governo siano tali da far pensare che tutto sommato, beh, insomma, per il trasloco si può anche aspettare... Andrea di Robilant Silvio Berlusconi si volta indietro lasciando il cortile di Palazzo Chigi

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