D'Alema soldi Coop? In non li ho mai visti di Giovanni Bianconi

Il segretario della Quercia e Occhetto sono stati interrogati nella procura bunker di Roma Il segretario della Quercia e Occhetto sono stati interrogati nella procura bunker di Roma D'Alenici: soldi Coop? In non li ho mai visti ROMA. Fa fatica, Massimo D'Alema, a fendere il muro di fotografi, giornalisti e telecamere che gli sbarra la strada quando esce dal «bunker» della Procura. «Se mi fate male vi denuncio», dice scherzando, ma senza sorridere, il segretario del pds indagato per violazione della legge sul finanziamento dei partiti e concorso in falso in bilancio. Poi, senza scherzare, annuncia: «Credo di aver fornito ai magistrati tutti i chiarimenti che erano necessari; non ci sono state altre contestazioni oltre a quelle derivate dalle dichiarazioni di Tagliavini, ma ho anche dato chiarimenti generali sul tipo di rapporti tra partiti di sinistra e cooperative». Per tre ore e mezzo D'Alema ha risposto alle domande dei sostituti procuratori Gianfranco Mantelli e Maria Teresa Saragnano. Ed anche, fuori dall'ufficio dei giudici, a quelle dei carabinieri che volevano anticipazioni sul nuovo ministro dell'Interno. Nel pomeriggio è toccato al suo predecessore, Achille Occhetto, ma i due, che non si vedono e non si parlano da tempo, non si sono nemmeno incrociati. Occhetto, dopo il faccia a faccia coi magistrati, fa la parte dell'intellettuale scoso per qualche ora dalla sua torre d'avorio: «E' stato un incontro molto interessante, dove ho potuto affrontare argomenti da cui verrà fuori un bel capitolo per un prossimo libro». Ma per adesso si tratta di scrivere atti giudiziari, e i due leaders politici devono difendersi da un'accusa che nasce da 370 milioni «in nero» versati dalla cooperativa emiliana «Unieco», tra il 1990 e il 1991, nelle casse del pds. Di quei soldi, hanno detto D'Alema e Occhetto, loro non sapevano niente. Eppure l'ex-presidente della cooperativa Nino Tagliavini (che Occhetto dice di non aver mai sentito nominare prima che i giornali ne parlassero) ha detto ai giudici che l'ex-tesoricre del partito Stefanini, morto qualche settimana fa, glieli chiese anche a nome dei vertici politici del pds. «Non c'ora motivo che spendesse i nostri nomi ha detto D'Alema, all'epoca dei fatti coordinatore della segreteria, ai due pubblici ministeri perché Stefanini faceva parte della segreteria, e rappresentava lui stesso i vortici politici». D'Alema ha anche negato di aver detto, ad una riunione tra esponenti del pds e delle «cooperative rosse» del febbraio '91 sui problemi dell'alta velocità, che le coop dovevano contribuire ai finanziamenti del partito. E' Tagliavini a sostenerlo, ma D'Alema ribatte che il suo ruolo fu solo quello di mediatore noi contrasti tra l'anima «ambientalista» del pds e la spinta «industriale» delle coop sui piani per la realizzazione dell'alta velocità. Alle domande sui rapporti tra cooperative e partito il segretario della Quercia ha risposto che, per quanto ne sa lui, non è vero che i funzionari delle coop sono funzionari di partito; e che lui, in quanto coordinatore di segreteria, non aveva rapporti diretti con le imprese che storicamente facevano capo al pei. L'interrogatorio ha anche rispolverato alcuni punti della famosa denuncia di Craxi che aveva dato il via, oltre un anno fa, all'inchiesta romana sulle presunte «tangenti rosse». Dell'Unipol compagnia di assicurazioni legata al movimento dello cooperative, sulla quale sono gravati i sospetti di finanziamenti illeciti dietro il pagamento di alcuni premi - D'Alema ha detto di sapere solo che è la quinta società assi- curativa italiana. Niente sa, invece, della Pas, la società che che gestiva gli spazi pubblicitari nelle feste nazionali dell'Unità. Stessa cosa per la vicenda del palazzo di via Serchio, dalla quale nacque quel debito da un miliardo per far fronte al quale fu necessario il finanziamento occulto dei 370 milioni: D'Alema, come pure Occhetto, ha spiegato di avere semplicemente avallato il piano di risanamento e snellimento della struttura del partito che prevedeva anche la vendita di alcuni palazzi, della cui realizzazione si occupò il solo Stefanini. «I vertici del partito - ha commentato l'avvocato Guido Calvi, che insieme al collega Giuseppe Giampaolo difende D'Alema e Occhetto - non erano a conoscenza delle decisioni specifiche prese a livello economico dagli amministratori. La verità è che della denuncia di Craxi non esiste più nulla. Alla luce degli interrogatori odierni, mi appresto a chiedere l'immediata archiviazione dell'inchiesta». Giovanni Bianconi

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