Ore 20,25, giura il Lamberto I

Ore 20,25, giura il Lamberto I Ore 20,25, giura il Lamberto I E Scalfaro ai tecno-ministri: «Grazie molte» LA CERIMONIA AL QUIRINALE GROMA IURANO nel cuore della sera, di fretta, che non c'è tempo da perdere. Venti e venticinque. Dini alza la mano destra, poi la abbassa per stringere quella di Scalfaro. Ride. E' fatta: da questo preciso istante Silvio Berlusconi è presidente del Milan ma non più del Consiglio. L'alone del potere entra nel salone del Quirinale e viene a posarsi su questo banchiere toscano, addolcendogli addirittura i tratti. Lamberto Dini guarda Scalfaro, le luci, i corazzieri, i tecno-ministri, e intanto la sua bocca si allarga in misura insospettabile, disegnandogli in volto una mezzaluna di felicità. Scalfaro, lui ride di meno. Non ha l'aria severa e vagamente a disagio di quando giurarono i Berluscones e il dottor Silvio, appena incoronato, davanti ai fotografi ignorò la mano tesa del capo dello Stato per abbracciare, ebbene sì, Umberto Bossi. Ma non è neppure lo Scalfaro che nel '92 posava come un preside allegro fra i ministri di Amato, o quello che l'anno successivo prendeva sottobraccio Ciampi e Ronchey. Nella notte del giuramento, appare un Presidente preoccupato e stanco, persino un po' ieratico nella sua solitudine, impegnato a nascondere la tensione dietro la maschera naturale della cortesia. Le altre volte, stringendo la mano a un neo-ministro diceva «Auguri». Stasera ripete a tutti: «Grazie molte», come se aver accettato la poltrona, in queste circostanze, sia davvero un gesto coraggioso. Cosa si risponde a un presidente della Repubblica che mentre ti incorona, ti dice «grazie»? I tecno-ministri sorridono sorpresi, qualcuno - come chiunque di noi al suo posto azzarda un «si figuri». E' un governo snello, venti poltrone in sala, ma una è vuota. Resterà lì, rossa e nuda sotto i riflettori, finché un gigantesco commesso vestito di nero con una mano sola la afferrerà per un bracciolo, facendola sparire. Doveva occuparla Antonio Marcano, l'economista di Forza Italia che Dini voleva mettere ai Traspor¬ ti. Si è chiamato fuori come Rasi, l'esperto economico di Alleranza Nazionale. Lo hanno atteso fino alle otto e un quarto, quando si era sparsa la voce che ci avesse ripensato. Poi, invece di Marzano è entrato il commesso e la sedia più berlusco- niana del governo se n' è volata via. I diciannove tecno-superstiti sedevano tranquilli, in attesa. Senza quell'atmosfera da party d'alto bordo che sempre si respira in questi casi, con ministri-amici che si abbracciano o passeggiano a gruppetti sui tappeti. Stavolta ogni ministro che entrava nel salone andava a sedersi al posto assegnato e non si schiodava più di lì, parlando solo col vicino di destra. Casomai, se non arrecava troppo disturbo, anche con quello di sinistra. Le facce, quasi tutte sconosciute alla «ggente» e poco telegeniche, come per reazione al defunto governo del look. La rottura col passato, in questo senso, è traumatica. Giorgio Salvini (Università), ha persino la cravatta un po storta, por non parlare di un paio d'altri con la giacca troppo aderente. O degli occhiali modello televisore di Alberto Ciò, il prodiano che ol- tre all'Industria si è preso anche il Commercio Estero lasciato vacante dal tecnofiniano Rasi. Unica eccezione, scontata, Susanna Agnelli, che ha dovuto offrire il petto alle sventagliato dei fotografi, primo ministro degli Esteri della repubblica in tailleur nero, camicia turchese e vezzoso bastone da passeggio con pomo bianco. «Non so se mi posso ancora considerare un politico», replica sorridendo al cronista che l'aveva stuzzicata con un «ma lei è l'unico politico di questo governo». Al suo fianco Franco Frattini, che a trentott'anni è già un grand-commis, unico giovanotto di un governo pieno di pensionati illustri: come il magistrato a riposo Antonio Brancaccio, che al giuramento fa risuonare alto il suo «lealmende», annunciandoci che dopo la parentesi di Maroni c'è di nuovo una voce del Sud al ministero degli Interni. La cerimonia scorre rapidissima: questi tecnici vanno subito a! sodo e poi mica tremano per tre righe da leggere, scritte tra l'altro in stampatello. L'unico squarcio di umanità lo offre ancora Dini: quando giura il prediletto Rainer Masera (Bilancio), il neopresidente del Consiglio gli strizza l'occhio. Tocca al generale Cordone. Brusio in sala. Come sarà mai il primo generale che conquista la Difesa? L'eccitazione è tale che qualcuno si aspetta che tirerà fuori una sciabola. E invece, no, col suo combinato cravatta e foulard rosso, Corcione è il più elegante e timido dei neo-ministri. Assolutamente non marziale: mentre giura piega addirittura una gamba. Si capisce che è un militare quando finalmente gli esce il vocione piemontese: le tre «e» di «lealmente» gli durano in bocca una vita. Massimo GrameElini

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