L'ALBERO SENZA PIÙ FRUTTI

IL CASO. Spietata analisi dello storico Furet sulla nascita del mito di Mosca L'ALBERO SENZA PIÙ' FRUTTI EA questione di tirare un bilancio, o di cercare di farlo, dalla fine storico-politica del comunismo degenerato nel totalitarismo e approdato ad una catastrofe economico-sociale e ad un fallimento ideologico non può che imporsi. Non si tratta di un'esigenza solo degli studiosi ma di tutti, poiché da quella fine dipende in misura essenziale come andremo avanti. Francois Furet mette al centro della sua riflessione due punti: il nodo delle differenze-analogie tra fascismo, nazismo e comunismo staliniano; quello del rapporto tra l'eredità della rivoluzione francese e l'eredità della rivoluzione d'ottobre. Circa il primo aspetto, egli fa emergere quanto ha intimamente legato, nelle ambizioni «salvifiche» e nelle tecniche del potere totalitario, i nemici fra loro mortali ma resi amici dal desiderio comune di distruggere libertà e democrazia. Quanto al secondo aspetto, attinente al confronto tra le eredità del 1789 e del 1917, Furet osserva che dal 1789 è nata tanta parte essenziale, duratura, feconda del mondo contemporaneo, laddove il crollo del comunismo lascia un albero disseccato, senza frutti. Credo che qui vi sia uno stimolo davvero nuovo alla discussione storica e politica (senza minimizzare l'importanza delle analogie-differenze tra i diversi totalitarismi, importantissima ma in qualche modo già «depositata»). Su questo punto, infatti, occorre scavare liberandosi più che mai, decisamente, dalla tesi che, per spiegare la degenerazione staliniana, aveva dato Trockij nel '36 sostenendo che la rivoluzione sovietica era andata incontro alla degenerazione poiché il progetto comunista era stato afferrato dall'isolamento di un Paese arretrato. L'arretratezza della società sovietica ha contato moltissimo nel generare un certo tipo di totalitarismo statalistico. Ma era già il progetto originario, con la sua utopia antipluralistica, con il suo sogno di una società «scientificamente pianificata», a collidere con la modernità. Detto questo, resta sempre aperto un altro gigantesco problema, pesante come un macigno. Vale a dire il perché della forza sconvolgente che la «grande illusione» ha avuto nel nostro secolo. Per trovare risposte, non serve pensare ad un gigantesco «errore» delle menti di milioni di uomini: è necessario analizzare e capire le contraddizioni di tutto un secolo. Massimo L. Salvadori

Persone citate: Francois Furet, Furet, Salvadori, Trockij