«Noi, pastori al tempo dell'Aids» di Aldo Cazzullo

«Noi, pastori al tempo dell'Aids» «Noi, pastori al tempo dell'Aids» Tonini e Quadri: la risposta è nel Vangelo IL MESTIERE URO, il mestiere di vescovo nel terzo millennio della Chiesa. Ai tempi dell'Aids, dei bimbi in provetta, delle coppie gay. Negli anni della crisi: dei senzatetto che occupano le case, degli extracomunitari che spacciano, dei disoccupati che gli sparano. Come conciliano i vescovi italiani la dottrina cattolica, i dettami della gerarchia, con le esigenze che salgono dalla diocesi, dalla società? Come rispondono a chi gli chiede: perché devo rischiare l'Aids pur di non usare il preservativo? Cosa suggeriscono a chi gli confessa: sono cattolico e omosessuale? «Non è vero che le domande dei fedeli e le questioni poste dal progresso siano in contraddizione con la fede e con la Chiesa sostiene il cardinale Ersilio Tonini, per vent'anni a capo della diocesi di Ravenna -. Nel Vangelo c'è una risposta anche ai mali del nostro tempo. E tra i giovani la domanda di educazione prevale su quella di libertà. La nuova generazione vuole sapere dove sta il bene e dove il male. Amano la vita pulita: sì, ci sono i libertari: ma sono subito sazi. E vengono da noi. Io sono in corrispondenza con Marco Moschini, il giovane che con due amici ha ucciso una ragazza gettando sassi dall'autostrada. Sapesse il rimorso di Marco, e di quelli come lui, per non aver ricevuto il nostro aiuto, i nostri valori. Se un ragazzo mi confessa di avere rapporti occasionali per strada, non posso dirgli: usa il preservativo. Devo dirgli: sbagli. Non si rimedia a un deficit di moralità con le precauzioni sanitarie». E le gerarchie ecclesiastiche? «Senta, io mi batto da anni per i drogati, i malati i Aids, i deboh\ e non ho mai ricevuto, non dico un veto, ma un segnale negativo dal Vaticano. E' questo che fa rabbia, sentir dire: Gaillot era il vescovo degli esclusi, per questo l'hanno escluso. E' una visione antiquata, un pregiudizio: la Chiesa dalla parte dei forti, dell'ordine sociale, contro i devianti. Il Papa vuole che ci battiamo per gli ultimi. Io i drogati li ho accolti nel palazzo episcopale, e quando è venuto, il Santo Padre non mi ha rimproverato, anzi, ha celebrato in cattedrale una messa tutta per loro, "i tesori della diocesi di Ravenna". Ai ragazzi di don Picchi ha ceduto una tenuta di Castel Gandolfo. Adesso a Ravenna stiamo per aprire una casa per i malati di Aids, e il Vaticano ci incoraggia, ci invita a fare sempre di più. Di un medico radiato perché tniffatore, direste che l'hanno cacciato perché era il dottore dei poveri? No. Gaillot aveva mancato a un giuramento, quello che lega ogni ve¬ scovo alla dottrina degli Apostoli. Dice che nella Chiesa non c'è libertà di espressione. Ma per dire che cosa? Che sono maturi i tempi per la famiglia gay? Che i preti possono sposarsi? Ma queste rivendicazioni sono la spia di una decadenza dei costumi, che influenza anche la Chiesa, come negli Anni 70, quando i sacerdoti furono interpellati sull'opportunità del celibato, ma va respinta, superata». «Mi è capitato tante volte di chiedermi: sono ancora in linea con la Chiesa, con l'ortodossia?», confessa monsignor Antonio Riboldi, vescovo di Acerra. «Quando guidai i bambini del Belice a Roma, avevo paura di non essere capito. Ma Paolo VI mi disse che la mia battaglia era anche la sua. Quando andai a far visita in carcere ai terroristi pentiti, non tutti furono con me. Come quando, appena arrivato a Acerra, mi recai nei quartieri popolari a chiedere una casa per tutti. O ai tempi della prima marcia contro la camorra, nell'82. A volte si deve andare avanti da soli, per provocare una reazione. Poi bisogna fermarsi e aspettare gli altri, però. Probabilmente Gaillot aveva perso il contatto con i suoi fedeli. Non lo capivano più. Con la mia comunità io parlo poco di temi che a lui stavano a cuore, come la pornografia o i diritti dei gay, proprio per evitare di non essere capito. Leggo che ieri Gaillot ha guidato l'occupazione di case sfitte. Ma un vescovo può appoggiare, non sostituirsi ai protagonisti. Non deve fare il sindacalista, ma aiutare dall'esterno chi perde il lavoro, a costo di sentirsi dire: lei faccia il prete e non rompa le scatole. Basta sapersi fermare. Un vescovo è autonomo. Ma esercita un mandato che viene dall'alto». «Sono intervenuto sui temi sociali su tutti i giornali, Unità compresa - racconta monsignor Bartolomeo Santo Quadri, vescovo di Modena e presidente della Pastorale del lavoro della Cei -. Ho sempre cercato di tutelare i diritti dei deboli. E da Roma non è mai arrivata nessuna frenata, anzi. Certo, è accaduto che qualcuno non fosse d'accordo su qualche episodio del mio apostolato. Il giornale di Modena ha pubblicato le lettere di un fedele che criticava il mio requiem ai funerali del sindaco comunista. La folla, però, l'aveva applaudito». Aldo Cazzullo Monsignor Riboldi: l'importante è sapersi fermare in tempo «Sosteniamo Jacques Gaillot e domandiamo che venga reintegrato alla guida della diocesi», dice il cartello che i manifestanti affiggono davanti alla cattedrale di Lilla A sinistra, il cardinale Ersilio Tonini A sinistra Mons. Quadri Sopra Mons. Riboldi