DE LUCA: COLLOQUI CON GLI ANTENATI di Enzo Bianchi

DE LUCA: COLLOQUI CON GLI ANTENATI DE LUCA: COLLOQUI CON GLI ANTENATI trovato la pietas di un figlio che fa «uscire il padre dal dolore delle ossa»; nella voce del padre il cui «corpo ora si asciuga in un cimitero di paese» sotto un piede di rosmarino ho trovato il senso di questo libro: «correggere il passato, dargli una presenza di spirito che allora non ebbe, dargli un'altra possibilità». Dare un'altra possibilità al passato è altra cosa dal rimpianto nostalgico, non significa un banale rifare la storia con i se, bensì imparare ad «amare un poco di più il proprio tempo» riconciliandosi con un passato che ci ha plasmato. Sì, questi racconti sono intrisi di «pietas», di devoto rispetto per la sacralità di chi è stato prima di noi e all'origine di noi, sono stati scritti pensando non ai posteri e neppure ai contemporanei ma a quanti ci hanno preceduto: «se non si scrive per essere letti dagli antenati, non resta impresso niente sulla carta». I personaggi allora possono variare, risultare più o meno autobiografici - dal ragazzino che scopre la libertà nel recinto di uno zoo («Libertà era entrare in un giardino chiuso, o in un'isola d'estate: rasentare reclusioni») all'operaio calato in «una specie di trincea» che va «con un piccone a bussare alla propria fossa sperando che non sia ancora pronta»; dai due amici ebrei, disposti al sacrificio pur di essere contemporanei del Messia tanto atteso, al giovane poeta-soldato austriaco, capace di prestare parole e pensieri al coetaneo e nemico che, ignaro, «avanza verso» di lui e verso la morte che lui gli darà senza mai «avanzare contro» - ma appaiono sempre animati dall'urgenza di testimoniare qualcosa di intimo all'autore. Come variano i personaggi, così mutano gli scenari: il mare si spalanca ai piedi delle montagne, il chiuso di una stanza si dilata a universo, la città si sfoga nel profilo dei campi ma il sentimento che pervade questa molteplicità è sempre una passione per l'umanità. Umanità intesa come ciò che rende l'uomo degno di questo nome, umanità la cui ricchezza è data dallo spessore più che dall'estensione, umanità che De Luca fa emergere in tutta la sua dignità, non legata al ceto o alla professione ma alla responsabilità di chi «intende l'ora e il luogo in cui si trova», allo spogliamento di chi sa cogliere nell'altro, nel diverso, un maestro. Certo non tutte le pagine sono di eguale valore: alcune paiono frettolose, non tanto nello stile sempre curato, intessuto di un italiano essenziale, capace di cambiare registro con una sola parola - ma forse nel dipanarsi del pensiero. Altre restano enigmatiche e faticano ad aprirsi al mistero che ogni enigma racchiude. Di altre ancora - come lo stupendo racconto «Primizia» ci si rallegra che possano ora trovare un pubblico più vasto di quello della loro prima pubblicazione. A quanti fossero tentati di scartare alcune pagine di questo libro e di trattenere solo le più riuscite, vorrei consigliare di non farlo prima di aver meditato il lascito che il padre morente offre al figlio nell'ultimo racconto: «I libri sono un carattere ereditario e credo di avertelo trasmesso. Non li ami come me, sei esigente, cerchi tra essi le pagine che restano incise nella memoria, infilzate come farfalle. Ma non dire che le altre, le dimenticate, sono da non leggere. Molto è portato via dal caso, quello che resta è appunto solo questo, un resto che non dimostra e non sostituisce niente di quello che si è perduto. Ami le pagine assolute, le necessarie, al riparo dai gusti. Ma i libri siamo noi, gente che si ammala, si sfilaccia, ingiallisce e viene dimenticata. Sono a immagine della nostra vita». Enzo Bianchi

Persone citate: De Luca