TOCQUEVILLE FA CENTRO di Sergio Romano
TOCQUEVILLE FA CENTRO TOCQUEVILLE FA CENTRO L'attualità di un liberale ziato sociale, deputato negli ultimi anni del regime orleanista, membro dell'Assemblea costituente dopo la rivoluzione del 1848 e ministro degli Esteri per alcuni mesi dopo l'elezione del principe presidente. Concluse la sua camera politica quando Luigi Napoleone - il tiranno di cui egli avevo, previsto l'avvento? - congedò bruscamente, alla vigilia del colpo di Stato, il governo di cui egli faceva parte e mandò lui, Tocqueville, nella fortezza di Vincennes. Per tracciare un quadro dell'avventura politica di Tocqueville Coldagelli ha raccolto in questo libro alcuni scritti e discorsi parlamentari sui grandi temi che la Francia dibattè in quegli anni: il problema religio- villc: scritti, discorsi e litui biografìa so e la libertà d'insegnamento, la riforma penitenziaria, la questione d'Oriente, l'abolizione della schiavitù nelle colonie francesi d'America, la colonizzazione dell'Algeria, l'indipendenza e il potere temporale del papa. Alcuni testi vanno letti nel particolare contesto storico in cui furono scritti, altri descrivono situazioni che diverranno ancor più attuali nel corso degli anni seguenti. Ne segnalo due. Nel primo Tocqueville si batte all'Assemblea per evitare che la Costituzione della Seconda Repubblica proclami il «diritto al lavoro». Teme che lo Stato cumuli nelle sue mani i capitali privati e divenga il «proprietario unico di ogni cosa», o interferisca nella vita economica sino ad assumere funzioni organizzatrici e rego¬ lamentari che gli appaiono intollerabilmente illiberali. Nel secondo testo Tocqueville parla di Abd el-Kader, capo di una sanguinosa rivolta che impegnò lungamente i francesi in Algeria, e dimostra di avere perfettamente compreso quale importanza, spesso strumentale, il sentimento religioso possa assumere nel nazionalismo arabo, quale uso i leader nazionalisti possano fare del Corano: «L'odio religioso che noi ispiriamo lo ha creato, lo ha ingrandito, lo mantiene; spegnerlo è rinunciare al potere». Congedato da Luigi Napoleone, Tocqueville tornò all'Accademia di scienze morali e politiche, di cui era membro, e pronunciò il 3 aprile 1852 uno dei suoi discorsi migliori. Nel corso di una implicita riflessione sulla sua personale esperienza sostenne che la scienza della politica e l'arte del governo erano «cose distinte». Vi erano nella vita politica francese molti eminenti intellettuali - Guizot, Thiers, Lamartine -, ma egli era giunto alla conclusione che i migliori avevano «brillato negli affari non perché erano autori illustri, ma benché lo fossero». Riconosceva di avere fallito lo scopo, di non essere riuscito a fondare il grande partito conservatore a cui aveva dedicato una parte della sua vita. Ma con uno scatto d'orgoglio rivendicò subito dopo il primato delle idee e il carattere profetico dell'intelligenza, sostenne che spettava agli studiosi del secolo precedente il merito, o la colavere rifatto il mondo. «Guardatevi attorno, vedete quei monumenti, vedete quelle rovine. Chi ha costruito i primi, chi ha fatto le altre?». Morì di tisi sette anni dopo, a Cannes. Se il lettore, dopo i discorsi politici, vorrà sapere come questo straordinario intellettuale abbia attraversato mezzo secolo di storia europea e americana, dal viaggio negli Stati Uniti alle riflessioni sull'Ancien Regime, troverà in libreria, finalmente apparsa in Italia presso Jaca Book, la bella biografia di André Jardin (pp, 526, L. 75.000). Letti insieme i due libri raccontano un grande passato e suggeriscono qualche chiave per la lettura del presente. pa, di Sergio Romano
Persone citate: André Jardin, Luigi Napoleone, Tocqueville, Tocqueville Coldagelli
Luoghi citati: Algeria, America, Cannes, Francia, Italia, Stati Uniti
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