TATO' rifarò la Mondadori del vecchio Arnoldo

TATO TATO Rifarò la Mondadori del vecchio Arnoldo TMILANO UTTI lo cercano. Eccolo qui a Segrete Franco Tato, amministratore delegato Fininvest, sorriso e terminale accesi (gioca col mouse: «Vediamo un po' alla voce "Scalfaro" se ci sono notizie sul governo...»), occhiali e comoda poltrona rotante («Allora, parliamo solo della Mondadori, mi raccomando») sulla vastità dei pianeti suoi, prima di tutto questo quinto piano che domina gli artifici d'acqua e cemento dentro ai quali si macinano i 2 mila miliardi di fatturato. Da 72 ore (anche se manca la ratifica ufficiale) è di nuovo l'amministratore delegato della Mondadori e i giornali dicono che tra breve (qualche mese, magari anche prima) lascerà il vertice della Fininvest, tenendosi stretto solo questa poltrona rotante, che poi, dicono sempre i giornali, è la sua passione vera, affacciata com'è sulla sua doppia lettura preferita: i tabulati numerici dei bilanci e gli alfabeti in versione poetica, saggistica, narrativa. «Ma specie la poesia, mi creda, è la lettura che preferisco, gli inglesi, i tedeschi, i francesi...». Pausa: «Anche Prevert...», dice e guarda l'effetto che fa, disvelarsi romantico in fiore, lui che passa per metallico tagliatore di petali aziendali, anche quando hanno due gambe e un cravatta. «Ah, i giornali! - fa lui -. Li lasci dire...». Dire cosa? «Le inesattezze: punto uno, non ho mai smesso di occuparmi della Mondadori perciò il mio ritorno è in realtà un restare». E punto due? «Non mi risulta che lascerò la Fininvest. Si ricordi che la Fininvest è il mio azionista». Stop. Le voci correranno ancora e lui le lascerà correre. Perciò avanti sulla strada dritta dei libri. Quelli che Mondadori fa e farà. Quelli che piacciono a lui. Quelli che piacciono al mercato. E insomma farci spiegare come si muoveranno i molti pianeti della costellazione Mondadori (per esempio Einaudi, Comunità, Oscar, le librerie) in questo cielo perpetuamente cupo dove abbondano i libri, ma scarseggiano i lettori. Perché in verità Franco Tato, 62 anni, manager pluricorteggiato qui in Italia e in Europa, risanatore di bilanci, camminatore solitario, oggi è il più grande editore italiano. E la scarsità dei lettori, sarà, in primo luogo, affar suo. «Lei mi chiede qual è la mia filosofia. La casa editrice è un organismo vivente, ogni comparto, ogni sigla editoriale, ha una sua vita, una sua personalità che va rispettata. Ogni sigla, anzi ogni casa editrice, perché sigla mi sembra un po' troppo freddo come termine, deve svilupparsi in autonomia. A noi interessa armonizzare, razionalizzare, garantire servizi efficienti. E conti in regola per tutti». Non si scappa dai conti con Franco Tato («Ci mancherebbe!») perché qui ruota la sua filosofia, la sua vocazione, il suo perpetuo lavorare. «I miei modelli sono Arnoldo Mondadori e il cavalier Angelo Rizzoli. Qualcuno può negare che abbiano fatto cultura? Nessuno. E l'hanno fatta sempre tenendo d'occhio i bilanci, com'è giusto. Non scopro niente di nuovo». Scusi Tato, ma il perpetuo lamento degli autori che rimpiangono il tepore delle vecchie case editrici a misura d'uomo, a misura di ricerca e di sperimentazione... «Lamenti sì, e poi lacrime perché la gente non compra i libri, perché la vita ha leggi troppo dure. Conosco il genere e non condivido. Anche perché so che molte case editrici sono finite nei guai per autori che si facevano pagare profumatamente il loro dispiacere». Altro che Prevert, ecco Tato, il metallico: «Il mercato ha sempre ragione. Certo l'editoria ha margini di guadagno ristretti rispetto a altri business. Anzi, permetta il paradosso, se uno fosse solo ossessionato dal guadagno dovrebbe dedicarsi al mercato della droga, che da quel punto di vista è im battibile. Ma per l'appunto facciamo libri, con tutti i rischi e le debolezze del mercato. Il mio compito è fare bene questo mestiere. Che vuol dire avere utili, pochi o tanti, purché utili, e produrre un catalogo equilibrato, libri lenti e libri veloci, successi ad alto reddito e investimenti culturali». Dice: «Questa filosofia non l'ha mica inventata il gnor Tato, semmai l'ha ereditata da uomini come Arnoldo che facevano poche stupidaggini». Digressione sui tempi andati che quei nomi evocano. Anno 1956, Tato, laurea in Filosofia, entra in Olivetti, il suo primo lavoro. Sono gli ultimi anni di Adriano, gli uffici del gruppo di Ivrea pieni di intellettuali (Pampaloni, Giudici, Fortini, Volponi) spiega: «Quando nel 1984 sono arrivato per la prima volta in Mondadori i giornali hanno scritto: Tato scopre la passione per i libri. Errore. La passione è cominciata molto prima, in gioventù. Ma è stato decisivo l'incontro con l'Olivetti che pubblicava le Edizioni di Comunità». Tra le mani si rigira proprio il nuovo catalogo di Comunità, e si vede che gli fa piacere: «In quegli anni Comunità ha fatto libri importantissimi. Oggi, tra l'indifferenza di molti, abbiamo ripreso quella strada». Scorre l'indice dei paperback: i 5 volumi Economia e società di Max Weber; La divisione del lavoro sociale di Durkheim; ZI sistema sociale di Talcot Parson. E poi: «Guardi qui: Idee e forme del federalismo di Daniel Elazar. Non male, no?». Torniamo agli autori. Dirgli che alcuni - viste le dimensioni della Costellazione - temono di diventare ingranaggi della macchina ione... erché erché Conoo. Ane ediautori fumaato, il empre margietto a etta il lo osvrebbe droga, è im a il ri mi. e Il manager filosofo alla guida dì Segrate: «Conti in regola se si vuole essere autonomi. Svilupperemo le librerie anche senza la Festa» to a un pubblico molto ristretto...». E poi aggiunge, in puro stile manager: «Non avevo grandi obiettivi diffusionali». Scriverà di nuovo? «Solo quando mi ritirerò in pensione». Un romanzo? «Temo di non avere propensioni letterarie... No, sarà ancora un saggio». Già che siamo sul personale, il suo autore preferito? «Ah, come si fa a dire? Goethe, Celan... Ma insomma mi sembra un po' ridicolo elencare i grandi classici... Sono un lettore onnivoro». Ultime cose lette? «Ho appena finito Panta Rei di De Crescenzo, l'inchiesta sui Clinton scritta da Woodward e le Poesie d'amore di Hikmet. Leggo sempre almeno tre libri alla volta». E trova il tempo? «Alla sera e nei week-end». Pausa che chiude la parentesi personale. Poi: «Dicevamo degli autori: essere una casa editrice grande non significa affatto cancellarli». Parliamo di futuro. Lui è ottimista, dice che il peggio (il 1994) è passato, che la Mondadori è pron ta, che la Einaudi ha un program ma «fortissimo», che verrà rafforzata e innovata la catena delle li brerie. «Le librerie sono una delle chiavi per allargare 0 mercato. Abbiamo capito che funzionano o quelle molto specializzate o quelle che offrono grandi superfici orga- impersonale, gli fa scuotere la testa: «Ma no. A cominciare da Leonardo Mondadori, il presidente, tutti i dirigenti si occupano degli autori, ci mancherebbe. C'è Gian Arturo Ferrari, il direttore editoriale, i responsabili delle collane, e se permette io sono amico di molti autori». E' vero come dicono i vecchi navigatori d'editoria che gli autori sono infrequentabili due mesi prima dell'uscita del libro e due mesi dopo? «Dipende dai caratteri, l'ansia la vivono tutti e io li capisco perfettamente». Li capisce perché anche lei ha pubblicato due anni fa il saggio Autunno tedescol «Oh, era un saggio destina¬

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