Un incisore della luce
Barbisan, maestro da scoprire Barbisan, maestro da scoprire Un incisore della luce | BOLOGNA I " HE cosa sia stata, di I stoltamente faziosa, di I i partigianamente diJyLI stratta oltre che miope e pigra la critica italiana, occupata a scimmiottare le mode d'Oltralpe, pur di pavidamente disconoscere la nostra miglior fioritura nativa, o di puntare sui cavallini fiacchi dell'astrattismo, lo dimostra nel suo piccolo questa pagina, che talvolta il lunedì, a rischio di ripetere monotonamente formule di rito, recupera e parzialmente tenta di risarcire tutti quei più o meno grandi maestri segreti, che la storiografia ufficiale ha protervamente snobbato e di cui conseguentemente non esiste traccia in nessun dizionario. Provate a cercare l'ombra di Giovanni Barbisan in questi impettiti testi sacri e magari andate simultaneamente a scoprire l'ampia retrospettiva dedicatagli nella sede di via Lenzi dalla bolognese Galleria Forni. E capirete perché si impone questo arcivescovile fervorino. Soprattutto perché Barbisan, vero maestro segreto, vissuto appartato e schivo nella sua Treviso, in una casamuseo ricchissima di quadri e di libri (basterebbe uno sguardo alla sua biblioteca per dedurne il livello di cultura), coccolatissimo nel suo Veneto ma colpevolmente trascurato altrove è - oltre che un maestro indiscusso dell'incisione italiana - anche un notevole ed intrigante pittore di gusto Novecento. Difficile da afferrare, da catalogare, e qui sta forse, oltre che il suo fascino, il motivo di sconcerto della critica ufficiale, che ha preferito pilatescamente scantonare. Che fosse un incisore abilissimo, al limite della visionarietà maniacale, degno di stare accanto a Bartolini, a Viviani, forse persino a Morandi, se ne accorsero in molti, ovviamente i più raffinati, da Soffi¬ ci («dopo lo acquaforti di Morandi lo sue sono a mio avviso tra le migliori che siano stato prodotte in questi tempi in Italia») a Marchiori (il paladino di Licini), da Giuffré a Tassi («Meravigliante la sua capacità di sottomettere la linea, il tocco, il sogno a tutte li; infinite variazioni di tono, di luce, di spessore. Credo che non esista nell'incisione contemporanea un esempio altrettanto complicato, dovizioso e perfetto»). E guarda caso, a sancire la sua statura (mentre la critica si impegnava con Top art o con quella minimalista) giunge una lettera di Morandi, umilmente disponibile a riconoscere il primato tecnico del suo «collega» di là di laguna. «Io sono nato nei musei, vengo di là», confidava il «manierista» moderno Barbisan, il conoscitore di Rembrandt e di Marco Ricci, che por tutta l'esistenza cantò le «arie», le nuvolose e raggomitolate atmosfere venete, pregne ancora di umidori giorgioneschi e di bianchi grigi contadini, degni del toscano Fattori. Modernissimo, ma intemporale, deciso caparbiamente, come un Mollet vernacolare, a «cimentarsi in un unico soggetto, sempre lo stesso, in una lunga serie di quadri che raccogliessero le sia pur minime variazioni: soltanto di luce». E' lui a parlare. Ma non lo si consideri soltanto come incisore. Si guardino con curiosità anche le sue prime pitturo Anni Trenta, interessantissime. E' stato proprio il devoto curatore della monografia Electa, Marco Goldin, a scoprire che negli Anni Quaranta, in uri caffé di Treviso, esposero alcuni rappresentanti della Scuola Romana, da Scipione a Mafai, da Cavalli a Capogrossi figurativo, artisti eccentrici che graffiarono il suo camaleontico talento d'una zampata di genio imprevedibile. Marco Vailora Un'incisione del 1937 di Giovanni Barbisan in mostra a Bologna
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