Les italiens in marcia su Parigi
Il «Gruppo dei Sette» da Severini e Campigli a De Chirico e Savinio Il «Gruppo dei Sette» da Severini e Campigli a De Chirico e Savinio Les italiens in marcia su Parigi Emigrati Anni 20 in cerca d'avanguardie IBOLOGNA A Galleria Forni presenta fino al 4 febbraio una mostra, con materiali di 1 bella qualità, dedicata agli «Italiens de Paris», cioè a quel composito «Group de Sept», così denominato dal corifeo critico Waldemar George presentandoli all'inizio del 1930 alla Galleria Milano di Milano: in ordine generazionale Severini, Tozzi, i fratelli De Chirico e Savinio, Campigli e De Pisis; manca, per ragioni dichiarate in catalogo «organizzative», l'unico ancora meritevole di approfondimento (e raro), René Paresce, che fu anche corrispondente d'arte e di cultura varia della Stampa sostituito da Magnelli, rientrante definitivamente a Parigi nel 1931 e in quell'anno loro compagno di sala alla prima Quadriennale romana. E' un ben singolare fenomeno questo degli italiani a Parigi nell'ambito di quello generale del ritorno all'ordine europeo degli Anni 20 - compresi massimi calibri delle avanguardie da Picasso a Matisse - che vede però anche in parallelo la nascita del Surrealismo; singolare soprattutto per la grande ambiguità ideologica fra dichiarazioni d'intenti di artisti e supporter critici - George, Eugenio D'Ors - e la realtà complessa del loro immaginario, per cui la scelta migratoria a Parigi non è per nulla secondaria. In Italia, Ojetti sta già affermando l'incompatibilità fra l'internazionalità «meticcia» dell'Ecole de Paris e la tradizione nazionale italiana, Soffici e Carrà tracciano la mappa delle forme solide primitivistiche da Giotto a Masaccio; più prudente la Sarfatti, ma è anche la prima a celebrare la ri¬ nascita fascista del genio nazionale. Tozzi, vera anima organizzativa del gruppo, parla nello stesso tempo di un'arte italiana in marcia - ed è quindi perfettamente su una linea nazionale che culminerà nel 1933 con l'estensione a Parigi del sindacato fascista - e di un'Italia che «prende parte alle competizioni tumultuose dell'Ecole de Paris». Come suo solito, ben più chiaro e drastico De Chirico: «Il n'y a pas en Italia de mouvement d'art moderne... La peinture italienne moderne n'existe pas. Il y a Modigliani et moi, mais nous sommes presque Frangais». E certo, il clima, culturale, di costume, mercantile entro cui vivevano presso Léonce Rosenberg un De Chirico o un Severini era ben diverso da quello fra primitivistico, neoclassico, nei casi pittoricamente più validi neocézanniano di cui si nutrivano i sogni di primato latino del '900 italiano. Il classicismo mitico dei Chevaux effrayés par le bruit des vagues di De Chirico 1926, già di Paul Guillaume, con un fondo cupamente scenografico di rocce che apre la strada alla pittura del fratello Savinio, è ben nutrito di una surrealtà tutta parigina. E lo stesso clima si estremizza, con la suprema ironia di un Olimpo con i colori di caramella che sbeffeggia con un anticipo di cinquant'anni ogni forma di citazionismo neoclassico, nel capolavoro di Savinio 1929 II sogno di Achille, che mi conferma ancora una volta una statura pittorica superiore a quella del fratello. Affini e pur diverse, ancor più biologicamente parigine, sono le fantasie «classiche», anzi pompeiane nel senso picassiano - con a latere Braque come modello di nature morte -, di Severini. La Natura morta con ruderi, piccione e statua, una delle varianti della gran serie 1929-31, mescola sul fondo scenico frammenti di architettura romana e misteriose, ricorrenti porte monolitiche di evidente riferimento fra freudiano e surreale. Marco Rosei ì Alberto Magnelli, un altro dei 7 italiani nella Parigi Anni Venti, in mostra a Bologna: qui il suo «Paysage à la meule», 1927
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