«Soste obbligate» nell'orrore

«Soste obbligate» nell'orrore LETTERE AL GIORNALE: IL LUNEDI' DI O.d.B. «Soste obbligate» nell'orrore Un favore possibile Caro Del Buono, innanzitutto Buon 1995 e complimenti per la sua quotidiana fatica, impregnata di tanta pazienza. Le chiedo un favore. Il 2 gennaio lei ha pubblicato su La Stampa la lettera di un reduce del lager Dora. Vorrei avere il suo indirizzo perché nella guida telefonica non c'è. lo sono stato qualche mese fa a Dora, in Tunngia, e sto preparando qualcosa di scritto proprio su quel terribile campo con le gallerie sotterranee. La testimonianza e il contatto con quel sopravvissuto mi servirebbero. Ancora, lo so che lei ha avuto, giovanissimo, una dura esperienza come lavoratore coatto. Non ho mai trovato ciò che lei ha scritto in proposito. Mi può aiutare? Se non le faccio perdere tempo prezioso mi può dire dove posso trovare notizie sulla sua, diciamo così, «sosta obbligata» in Germania, un'esperienza per la quale porto profondo rispetto? La ringrazio cordialmente, suo Ricciotti Lazzero, Argegno Gentile signor Lazzero, apprez- zando molto i suoi libri di ricerca e documentazione del passato, sono ben felice di poterle fare il favore che mi chiede. Lasciamo perdere per il momento la mia «sosta obbligata»; è stata un'avventura di gioventù che allora mi parve durissima, ma che ora che sono gravato di acciacchi effettivi mi balena quasi come il miglior periodo della mia vita, quello in cui ho imparato a contare solo su me stesso, a essere autosufficiente. Un minimo rito di passaggio. Ben altra cosa è stata certo Dora. Io non ho l'indirizzo del reduce da Dora, so solo che sta ad Alessandria, ma posso segnalargli il suo indirizzo (via Valle d'Intelvi, Argegno - Como) e invitarlo a metterei in contatto con lei. Proprio oggi mi è pervenuta un'altra lettera da Alessandria, [o.d.b.] Ancora qualcosa su Dora Egr. sig. OdB, anzitutto chiedo scusa per averla inclusa nel gruppo di ufficiali internati a Wietzendorf. Il fatto è che lei scrisse, tempo addietro, su La Stampa articoli che nominavano Nino Guareschi e Guareschi era uno degli ufficiali internati a Wietzendorf. Con la presente mi permetto di aggiungere ancora qualcosa su Dora. Quando il generale Dornberger, direttore generale del programma A4 (Razzi V), Werner von Braun, direttore scientifico, e Helmut Grottrup, direttore esecutivo, arrivarono a Dora da Peenemùnde e si impadronirono delle officine sotterranee Mittel-Werk, il ritmo di lavoro, che già era durissimo, divenne infernale. Bastava che un deportato fosse sorpreso fuori dal posto di lavoro per essere accusato di sabotaggio. A coloro che venivano condannati toccava l'impiccagione alle gru e ai montacarichi posti nel tunnel. Il boia li targava sul torace con un cartello che conteneva la parola: Sabotage. Il lager di Dora era, ed è ancora, segreto, in quanto, avendo sfogliato tre enciclopedie, anche se esistono nomi di tanti lager Dora non esiste. Ho letto due libri. Nel primo, di Gerald Reitlinger, nella quarantina di pagine sui lager. Dora è solo indicata nell'elenco dei campi. Nel secondo libro lo scrittore ebreo Michel Bar-Zoar dice di aver visto, indagato e interrogato, ma non spende neppure una parola sui deportati. Scrive testualmente: «I sicari di Kammler stavano scavando con la dinamite enormi gallerie nella montagna». Era una collina al massimo alta 300-400 metri. Bar-Zoar ignora la verità sui minatori, giudica uomini vestiti di stracci a righe quelli che incontrarono il comandante americano che per primo mise piede nel tunnel delle meraviglie. Meraviglie? Tunnel della morte, dico io. Su La Stampa l'articolo di Von Braun del 26/4/1977 e quello di Giancarlo Buffetta del 13/7/1994 mi hanno colpito. Soprattutto quest'ultimo con relativo schema di come era la VI. Mi ha fatto un certo effetto rivedere quelle sfere di metallo alle quali dovevo piombare il biellismo e caricarle di aria compressa fino a 250 atmosfere l'una. Ma non è stato fatto nessun cenno sulla deportazione. Nel 1968 venne celebrato un processo contro alcuni caporioni SS del campo Dora. La Francia chiese agli Stati Uniti che mandassero Von Braun in Germania, ma la richiesta venne respinta. Così (Von Braun negli Stati Uniti venne glorificato, Dornberger, anche lui, in Usa divenne vicepresidente della Bell Aircraft Comp, Grottrup, consegnatosi ai russi, divenne capo della ricerca missilistica sovietica, Kammler capo costruttore di Dora scomparve) il silenzio inghiottì Dora. Francesco Ghisiglieri P.S.: Alla presente allego una pagina di un libro che mi fu donato durante una mia visita al Memoriale della Deportazione a Parigi, e le segnalo che la grafia esatta del mio cognome è: 03187 Dora Mittelbau, Bergen Belsen, Francesco Ghisiglieri e non Ghislieri come scritto su Lo Stampa. Gentile Signor Ghisiglieri, la colpa non è della Stampa, ma mia che non ho saputo decifrare bene la sua firma. La ringrazio per l'allegato di cui trascrivo qui qualche dato. [o.d.b.] Dora in breve Il campo di Dora è stato creato nel settembre 1943, evacuato con i suoi kommandos a cominciare dal 4 aprile 1945 e liberato con qualche malato restato sul posto l'il aprile 1945 dall'esercito americano. Dal settembre 1943 all'ottobre 1944 Dora dipese dal campo di Buchenwald. A partire dall'ottobre 1944 Dora diventò un campo indipendente, i primi arrivi furono 105 provenienti da Buchenwald e vennero presto rinforzati da altri convogli. Alla data del 28 ottobre 1944 una statistica di Buchenwald denuncia la cifra di 25.944 deportati, 32.831 includendo una parte dei kommandos. Dopo la distruzione nell'agosto 1943 della base segreta di Peenemùnde dove si fabbricavano la VI e la V2, fu decis^ di creare immediatamente un nuovo centro di fabbricazione al riparo dai bombardamenti e totalmente segreto. Per sei mesi, dall'ottobre 1943 all'aprile 1944, i deportati non videro più la luce del giorno per scavare chilometri di gallerie con una mortalità spaventosa. Von Braun, il direttore scientifico, fu il principale responsabile delle cadenze infernali e delle condizioni imposte ai deportati. Un poco più di 10.000 francesi passarono per Dora. Pare che i superstiti fossero un poco meno di 2500, ma una gran parte ne morì subito dopo il ritorno in Francia. Gentile signor Ghisiglieri, si ricordi di scrivere a Ricciotti Lazzero, via Valle d'Intelvi, Argegno, Como. Grazie. [o.d.b.]