Debito pubblico ed evasione i problemi del nuovo governo di Mario Salvatorelli

Debito pubblico ed evasione i problemi del nuovo governo IL PUNTO Debito pubblico ed evasione i problemi del nuovo governo O conservato un ar, ticolo apparso su «La Stampa» più di 10 anni fu, nel quale un addetto ai lavori dell'epoca stimava l'evasione fiscale sui 100 mila miliardi di lire l'anno. In tale ipotesi, limitandosi agli ultimi 20 anni, si ottengono i 2 milioni di miliardi ai quali il debito pubblico oggi sarebbe arrivato. Ma equivarrebbe anche a dire che prima non c'era evasione, il che non è assolutamente vero. Questo è il problema, comunque, più grave che abbiamo. Questo è quello che pensavo e sul quale ero assolutamente sicuro fino a pochi giorni fa, quandc in un'accalorata discussione sull'argomento, alcuni amici mi hanno messo una pulce nell'orecchio». Chi scrive è l'ingegner Giovanni Bordoni, di Torino. Sentiamo, dunque, qual è «la pulce». 1«Un amico - racconta il lettore - sosteneva che il debito pubblico non è affatto una cosa negativa, in quanto, essendo in gran parte composto da titoli di Stato e dai relativi interessi, permette a molte famiglie un tenore di vita più elevato, quindi maggiori consumi e più produzione (per rispondere alla maggior domanda, appunto, di consumi n.d.r.). Un altro ribadiva, addirittura, che l'evasione fiscale era stata (ma l'evasione continua ancora, n.d.r.) una cosa oltremodo positiva, perché aveva sottratto risorse al "calderone pubblico", risorse destinate poi a investimenti produttivi, con conseguenti nuovi posti di lavoro, e un impatto positivo sull'economia. Le sarei grato se potesse chiarirmi questi dubbi». Ci proverò, precisando subito, però, che quando l'evasione fiscale era stimata «più di 10 anni fa» (diciamo nel 1980) in 100 mila miliardi l'anno, il nostro debito pubblico era pari al 60% del pro¬ dotto interno lordo di quell'anno, esattamente, cioè, il rapporto raccomandato dall'accordo di Maastricht per poter passare alla nuova fase dell'Unione monetaria europea. 2Questo significa che, nella discussione tra amici di cui parla il nostro lettore, in teoria ha ragione il primo interlocutore quando afferma che il debito pubblico in sé può non essere una cosa negativa, perché le famiglie che possiedono i suoi titoli hanno maggiori risorse, quindi stimolano la domanda di beni di consumo, favorendo le aziende che li producono e che assumono occupati per produrli. In pratica, però, si dimentica che, oltre un certo livello (e il nostro attualmente è esattamente il doppio di quello richiesto da Maastricht nel rapporto con il prodotto interno lorod), il debito diventa un problema. E le famiglie che, grazie ai titoli di Stato godono di un tenor di vita più elevato, potrebbero goderne egualmente se, anziché titoli di Stato, investissero i loro risparmi in altre attività finanziarie, come facevano negli Anni Settanta o Sessanta. Quando il debito pubblico era, infatti, tra il 30 e il 50 per cento del «Pil», le famiglie avevano titoli di Stato in quantità poco più che trascurabile e l'Italia viveva il suo «miracolo economico». Quanto all'elogio che l'altro interlocutore tesse del¬ l'evasione fiscale, può essere accettato per la sua carica ironica nei confronti del calderone pubblico. Non può, invece, essere condiviso, sia per il suo aspetto morale, anzi "amorale", sia per il disprezzo della nostra Costituzione da parte degli evasori, come sottolinea lo stesso signor Bordoni, sia, infine, per i danni al bilancio pubblico che tale comportamento provoca. C'è soltanto d'augurarsi che il nuovo Governo, se sarà, come pare, guidato da un economista di livello internazionale, possa imboccare, al più presto, la lunga strada che porta al rientro del debito pubblico verso rapporti più «europei». 3«Non c'è alternativa: i nostri comportamenti devono divenire più coerenti con le scelte fondamentali europee che noi stessi abbiamo fatto. Il settore pubblico, innanzi tutto, deve perseguire con determinazione il programma di risanamento delle sue finanze. Le imprese devono avere chiaro che la competitività deve essere ottenuta contenendo i costi, non puntando passivamente sulla svalutazione della lira. 1 lavoratori devono raggiungere la consapevolezza profonda che le retribuzioni reali e i livelli di occupazione si conquistano e si difendono con rivendicazioni salariali in linea con le possibilità produttive del sistema economico in condizioni di stabilità dei prezzi». E' il programma di governo che Lamberto Dini sta mettendo giù in queste ore ? No, è la conclusione di un suo intervento di quattro anni fa, a un Seminario internazionale a New York, il 5 dicembre 1990, nella sua qualità di Direttore Generale della Banca d'Italia. Mario Salvatorelli elli

Persone citate: Bordoni, Giovanni Bordoni, Lamberto Dini

Luoghi citati: Italia, New York, Torino