L'inconfondibile «imprinting» dello scuola di Bankitalia

L'inconfondibile «imprinting» dello scuola di Bankitalia L'inconfondibile «imprinting» dello scuola di Bankitalia patti sociali di sorta attraverso il disavanzo. Ciò non significa che non mi stiano a cuore, e molto, i doveri di solidarietà». Dicono che Dini trescasse con Andreotti e col Caf morente, cosa che a Palazzo Koch non era considerata tra le più commendevoli. Lui risponde - e non fa una grinza che se lo avesse fatto sarebbe stato nominato governatore. E poi Guido Carli, l'uomo che ha fatto della Banca la più autorevole tecnostruttura del Paese, non è stato forse, nell'ultima parte della sua vita, SATIRA E POLITICA IN platea Michelini, D'Onofrio, Pilo, Sgarbi, quelli veri, ospite d'onore Previti, coordinatore di Forza Italia. Sul palco i politici della Seconda Repubblica, i sosia. E un grande equivoco: Berlusconi continuamente chiamato «presidente», e Dini nominato soltanto in chiusura, quando Valeria Marini gli ha offerto un'ideale coppa di champagne. Pingitore e compagni dalla Rai sono passati alla Fininvest, ma la musica non cambia. Il debutto al Salone Margherita di «Champagne!» - show di satira politica erede di «Biberon», «Crème caramel», «Saluti e baci» e «Bucce di banana» - è sempre un inno al governo, non importa se in carica o dimissionario. Solo che ora non sono gli Andreotti. gli Altissimo, gli Intini a battere le mani ai loro sosia sul palco, ma gli uomini di Forza Italia, in grande spiegamento, con il corteo Fininvest a dar man forte. ministro del Tesoro di Andreotti? Tema ostico quello dei rapporti tra Via Nazionale e la politica, che costò quasi la galera a un gentiluomo come Paolo Baffi, il governatore forse meno dialogante. «Lui era timidissimo - ha raccontato Carli -, temeva il contatto con i politici. Io, invece, quando mi scontravo con loro, avevo sempre salutari alterchi liberatori. Baffi introiettava le offese, le pressioni indebite, le minacce». Dini giudicava piagnucolosi, incompetenti e provinciali i politici della Prima Repubblica, ma ra non è che mitizzi adesso quelli della Seconda e lo si vedrà di certo nella scelta dei ministri: «La battaglia politica c'è in tutti i Paesi - ci disse alla fine dell'estate scorsa, quando il governo già arrancava e i rapporti riservati della Banca d'affari internazionale Warburg preconizzavano che sarebbe stato lui il prossimo premier di un governo di tecnici -, ma certo da noi se ne dicono talmente tante di cose che non stanno né in cielo né in terra!» Ce l'aveva, per esempio, con le baggianate sui poteri forti, i complotti, vece, per chi sia transitato a Palazzo Koch, assorbendo gli umori culturali un po' calvinisti, nel senso del lavoro ben fatto, che vi si respirano? Si direbbe di si, se sempre più spesso quel Palazzo diventa vivaio di statisti. Dini, si sa, non apprezza tutto quello che lece il governo Ciampi, pur osservando che dovette confrontarsi con un'economia in recessione, ma, nonostante i fatti personali che sono intercorsi tra loro, giudica eccessiva e sbagliata la criminalizzazione del suo predecessore che hanno tentato i perfidi gnomi della finanza, tanto che, in stile Bankitalia, fece una lezioncina ai suoi colleghi di governo, spiegando che sui mercati ci stavano rovinando le parole al vento. A Berlusconi attribuisce grandi qualità, ma anche tanti errori, perdonabili - diceva già nei primi mesi di governo - soltanto perché sta imparando un nuovo mestiere e lui stesso si è reso conto che fare il capo dell'Esecutivo è molto più difficile che fondare e dirigere una grande impresa. E' forse più facile governare, in-