Dini prove «tecniche» da premier

Prime consulta2ioni del presidente incaricato: governo entro martedì, taglio dei ministeri Prime consulta2ioni del presidente incaricato: governo entro martedì, taglio dei ministeri Dini, prove «tecniche» da premier Letta e Ferrara soddisfatti: di lui ci si può fidare naca politica italiana. La giornata di Dini si snoda tra ministero e casa, tra colloqui, incontri e riunioni. Vuole procedere in fretta: intende presentarsi da Scalfaro già martedì. Nel suo ufficio a via XX Settembre, il presidente del Consiglio incaricato scorre le notizie d'agenzia sul computer. I telefoni squillano in continuazione. Sulla scrivania gli occhiali, i giornali e i primi appunti del programma di governo. Il presidente del Consiglio incaricato chiama l'amico Rainer Maria Masera, direttore generale dell'Imi e Guido Salerno, vice direttore generale di palazzo Chigi. A quest'ultimo offre il Bilancio. Poi una telefonata al vecchio amico Filippo Mancuso, ex procuratore generale di Roma, ora in pensione, che Dini vorrebbe portare alla Giustizia. La mattinata sta per finire. Dini, per mettere a punto il programma, ha riunito i collaboratori. Tra di loro, il direttore generale del ministero, Francesco Giavazzi. Toccherà a lui il Tesoro, se il presidente del Consiglio incaricato non prenderà l'interim. Quindi, i colloqui più politici: Dini chiama Letta e Giuliano Ferrara per fissare un appuntamento per il pomeriggio. Si è fatta ora di pranzo, e anche se è una giornata particolare, il presidente del Consiglio incaricato torna a casa. Ma pure lì i telefoni squillano in continuazione: non c'è tempo per il riposo. Né per le amate letture. Quelle, adesso, sembrano ricordi d'altri tempi, co¬ CROMA OM'E' riduttiva e sostanzialmente fuorviante la definizione di «Ciampi di destra» che più d'uno ha voluto attribuire al presidente del Consiglio incaricato. Non che Lamberto Dini sia di sinistra - non bestemmiamo -, ma intanto chi ha detto che Ciampi lo è? E chi può catalogare a destra o a sinistra Menichella, Carli, Baffi? E dove batterà mai il cuore di Fazio? Chissà. Il fatto è che l'imprinting della Banca d'Italia, la scuola ài Palazzo Koch, nutrita insieme di competenza, tecnica e senso dello Stato - merci purtroppo rare nel nostro Paese - sfugge a classificazioni troppo strette. D'altra parte, è forse classificabile di destra o di sinistra la tentazione che tutti i potenti della storia hanno avuto - come diceva Carli - di finanziare le proprie guerre e i propri fasti stampando cartamoneta? Dini, è vero, non nasce alla scuola di Palazzo Koch, vi si è iscritto soltanto tre lustri fa, proveniente dal Fondo Monetario Internazionale, altra università non da poco, e forse non ne è stato mai cooptato totalmente, come dimostra anche la diatriba sulla nomina del suo successore alla direzione generale. Ma il tipo antropologico - il ragionare e il parlare geometrico, l'aplomb, persino le movenze - non si discosta molto da quello coltivato in Via Nazionale, dove si contempla persino che i banchieri centrali abbiano un'anima. Per difendersi dall'accusa di aver fatto una politica lassista nei primi Anni Settanta, favorendo lo scialacquamento democristiano, Guido Carli diceva che l'Io cartesiano, solipsistico, del puro monetarista vive in un vuoto di storia e materia, ma al tempo stesso pretende che il banchiere centrale assuma comportamenti eroici: se il suo grafico gl'impone di bloccare la crescita della moneta, egli deve farlo, anche se ciò provoca un milione di disoccupati e se le Brigate rosse sparano per le strade. Ma come non lo sono stati Menichella - che pure metteva a posto i politici con la formula: «Cheste so' 'e ccarte» - né Carli, e non lo è Fazio, cattolico e assai sensibile ai temi sociali, anche Dini è tutt'altro che un monetarista duro e puro, se non negli incubi tardo comunisti di Fausto Bertinotti. Quando da ministro del Tesoro presentò la sua riforma delle pensioni, ci disse di essere addolorato - e non mentiva perché le vignette lo rappresentavano come un aguzzino e il leader della Cgil Cofferati lo definiva un ministro disumano: «Cofferati deve sapere - ci confidò col suo tono pacato e civile - che la mia umanità non è inferiore alla sua e il rispetto delle persone anziane neanche. Non sono un disumano aguzzino, ma con il debito pubblico che abbiamo non possiamo più finanziare me le partite a ramino e a gin rummy con Andreotti e Pazzi. A Fontanella Borghese va a trovarlo Giuseppe Guarino. Lui e Dini si conoscono bene: il professore era avvocato di Bankitalia. La pausa - se di pausa si può parlare - non dura molto. Nel pomeriggio il presidente del Consiglio incaricato torna in via XX Settembre. Lì incontra Letta e Ferrara. Si discute del governo. L'ex portavoce di Palazzo Chigi gli spiega che «i ministri devono essere assolutamente tecnici». «Su questo punto - dice - non devi transigere». Dini concorda: Tremonti può restare alle Finanze, ma dovrà dimettersi da parlamentare. Con Letta, invece, si parla anche della possibilità che il sottosegretario di Berlusconi faccia parte del nuovo governo. Sarebbe un segno di continuità che al Cavaliere non dispiacerebbe. Come non gli dispiacerebbe se rimanesse, nello stesso ruolo che ricopriva con lui, Jas Gawronski. Gli uomini di Berlusconi escono sorridenti. Sulle elezioni pensano - il presidente del Consiglio incaricato non giocherà brutti scherzi. E poi, se in corso d'opera si formasse una nuova maggioranza, con il ppi dentro, la legislatura potrebbe proseguire ancora un po'. Insomma, di Dini si fidano. Del resto, lui, la settimana scorsa, confidava ad alcuni amici: «Potrei accettare di guidare un esecutivo solo se c'è il sì di Silvio. D'altra parte, comunque vada a finire, se ci saranno le elezioni, penso di presentarmi come indipendente con Forza Italia». Già, Dini e Berlusconi si conoscono da anni. Con il capo dello Stato, invece, i rapporti non sempre sono stati idilliaci, da quando Scalfaro impose al governo di scorporare la riforma delle pensioni dalla Finanziaria. Quella decisione, all'allora ministro del Tesoro non andò giù. Cala la sera, e nel suo studio, Dini continua le sue consultazioni informali. Ufficialmente non sente i partiti. Ma in realtà lo chiamano esponenti di tutte le forze politiche. Anche perché tra i tecnici ce ne saranno alcuni d'area. E in qualche modo, bisognerà inserire anche qualcuno che proviene dalla sinistra. Possibilmente non gli amici di quel Ciampi di cui il presidente del Consiglio incaricato disse: «A lui si deve il peggioramento dei conti pubblici rispetto ad Amato». Nemmeno Luigi Spaventa, quindi, il cui nome era circolato l'altro ieri. Spaventa no, soprattutto per un altro motivo: era l'avversario diretto di Berlusconi nelle elezioni del 27 marzo. E allora? Venerdì, con i suoi più stretti collaboratori, Dini ha accennato a Gustavo Minervini. Le consultazioni, comunque, proseguono anche oggi. I! tempo stringe e qualche «no», il presidente del Consiglio lo ha già ricevuto: non tutti accettano il rischio di entrare in un governo che potrebbe durare solo qualche mese. Maria Teresa Meli

Luoghi citati: Roma