Dini sceglie i nomi Di Pietro dice no di Sergio RomanoPaolo Guzzanti

Il premier forse crea un superdicastero economico. L'ex pm di Mani Pulite: «Non vado in politica» Il premier forse crea un superdicastero economico. L'ex pm di Mani Pulite: «Non vado in politica» Pini sceglie i nomi. Pi Pietro dice no Governo entro martedì, taglio dei ministeri: da 28 a 20 ITauma —■Wfl kTALEMA A CHE COSA SERVE LA TREGUA L j ITALIA era stanca e annoiata di vederli e sentirli discutere. Il 1994 è stato, dopo il 1948, l'anno più politicamente verboso e litigioso nella storia della Repubblica. Non passava giorno senza che i protagonisti della vita politica rilasciassero interviste o si lanciassero repliche o insulti. Per un anno intero, dalla caduta del governo Ciampi allo scioglimento della crisi provocata dalle dimissioni di Berlusconi, ogni questione è stata incandescente materia di battaglie politiche. Forse il merito maggiore del Presidente della Repubblica è stato quello di cogliere al volo il momento in cui ogni protagonista, e in particolare Berlusconi, ha compreso che la durezza della polemica poteva ritorcersi contro di lui e nuocere alla sua immagine di fronte al Paese. SE IL TECNICO DIVENTA LEADER «E adesso voglio VAssemblea Costituente» HA VINTO LA MEMORIA DI PRIMO LEVI L'idea del «governo di nessuno», che avevamo auspicato su questo giornale all'inizio della crisi, è nata quando i politici si sono accorti che stavano perdendo il contatto con la realtà nazionale, che stavano parlando a telespettatori stanchi o sconcertati. Vi è un momento al di là del quale la maggioranza della pubblica opinione respinge il linguaggio e la logica del diverbio politico, rifiuta di comprendere e volta le spalle. Il primo a farne le spese sarebbe stato Berlusconi, vale a dire un leader che ha dietro di sé un partito fragile, fatto di etere, di antenne televisive e di sondaggi. Ma anche gli altri uomini politici hanno corso lo stesso rischio. La televisione si trasforma, a un certo punto, in un boomerang. Dopo avere garantito al Sergio Romano CONTINUA A PAG. 8 PRIMA COLONNA LA straordinaria ascesa di Edouard Balladur può incuriosire il presidente del Consiglio Lamberto Dini, perché è una storia piena di imprevisti, e ricca di insegnamenti, e non solo politica ma anche psicologica. E' una storia che narra di passioni, e di ambizioni. Di amicizie politiche che sembravano forti, e invece a poco a poco si allentano. E' una storia che ruota attorno a una passione fondamentale dell'uomo, nonché del legislatore: la passione della fedeltà, e la passione del servizio. A chi conviene esser fedele? Chi si vuol servire? I due interrogativi sono diventati cruciali, nella campagna per le presidenziali francesi. Potrebbero diventar cruciali anche per il governo di tecnici guidato da Dini, e per i rapporti tra quest'ultimo e Berlusconi nonché il Polo. Anche Balladur, in principio, non era che un tecnico, ministro del Tesoro gollista nel primo governo di coabitazione fra l'86 e l'88. Mitterrand aveva dovuto prender atto che le destre moderate avevano la maggioranza in Parlamento, e aveva nominato Jacques Chirac, il suo vecchio rivale gollista, a dirigere il governo. Poi vi fu la seconda coabitazione, dopo la sconfitta socialista del '93, e Balladur divenne primo ministro ma restò pur sempre il tecnico che era stato tutta la vita. Anzi ì'ìntendant, come dicono i francesi, l'intendente che esegue gli ordini del capo politico, e non inarca i sopraccigli, e anche quando s'incaponisce non scalpita. D'altronde proprio per questo Chirac aveva scommesso su di lui: il tecnico Balladur avrebbe governato esemplarmente per due anni, e poi si sarebbe fatto da parte per Barbara Spinelli A I CONTINUA A PAG. 2 SECONDA COLONNA ROMA. Lamberto Dini sta scogliendo i nomi della sua squadra ma deve incassare il rifiuto di Antonio Di Pietro. L'ex pm di Mani Pulite ha infatti spiegato: «Con riferimento alle notizie su eventuali incarichi ministeriali che potrei essere chiamato a ricoprire, pur onorato per l'accostamento del mio nome ad altissime cariche, ribadisco che non intendo assumere alcun impegno politico». Dunque per il Viminale o per l'incarico di Guardasigilli Dini pensa ad altri nomi. In queste ore, invece, starebbe affrontando il nodo dei dicasteri economici. Il presidente del Consiglio incaricato sarebbe intenzionato a creare un super-dicastero economico. Se ne parla da anni, forse è la volta buona. Quasi sicuro, invece, il taglio del numero dei ministeri che dovrebbero scendere da ventotto a venti. La lista con i nomi dei ministri potrebbe essere presentata a Scalfaro già martedì. Amabile, Cerruti, Ceccarelli Meli, Rapisarda, Silipo e Zeni ALLE PAGINE 2, 3, 4, 5,6 E 7 Il presidente incaricato, Dini AUSCHWITZ 50 ANNI DOPO IL 27 gennaio 1945 i soldati dell'Armata Rossa, stupefatti e increduli prima ancora che percossi da ciò che si rivelava ai loro occhi, entravano nel campo di sterminio di Auschwitz e ne liberavano i settemila superstiti. Per la prima volta le macchine fotografiche ripresero quegli scheletri viventi, fissarono nella storia i volti dei bambini su cui Mengele aveva compiuto i suoi esperimenti. Circa un milione e mezzo di persone, ebrei, polacchi, prigionieri politici, omosessuali, zingari, erano stati qui sterminati sistematicamente dalle SS fin dall'aprile 1940, quando Heinrich Himmler aveva inaugurato il Campo. Trecentomila erano ebrei polacchi; 438 mila ebrei ungheresi. Fra i circa novemila ebrei italiani venne internato anche Primo Levi che scrivendo «Se questo è un uomo» ci consegnava l'unica possibile etica dell'Olocausto, ovvero quella degli infiniti punti interrogativi che Auschwitz poneva all'umanità, su Dio, sull'Uomo, e sulla possibilità di comunicare l'ineffabile e renderlo patrimonio comune. Auschwitz poteva, può essere trasmessa, seguitò sempre a chiedersi Primo Levi; la sua memoria e la sua esperienza possono diventare patrimonio dell'umanità.'' Oppure è realistico l'incubo del reduce che parla frasi incomprensibili a un orecchio insensibile? Oggi a cinquant'anni dalla liberazione di Auschwitz, con la cautela a cui una cosi grande domanda e una cosi terribile vicenda inducono, possiamo tuttavia rispondere che Primo Levi ha vinto. Ha vinto il suo incitamento a non dimenticare, e in fondo anche quello a ben ricordare. Non solo oggi la democrazia, il confronto delle idee, con la scolarizzazione di massa e la diffusione massiccia della tv, dei film, dei libri, degli articoli di giornale, ha Fatto si che, in sé e per sé la storia dello sterminio degli ebrei non sia più del tutto ignota quasi a nessuno e che sia la pietra di paragone e di svolta del ventesimo secolo; ma anche che le molteplici interpretazioni fallaci, i misfatti storici e ideologici volontari o involontari che si sono awicen- di Paolo Guzzanti A PAGINA 5

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