Lamberto, fiorentino di ferro

Lamberto, fiorentino di ferro Lamberto, fiorentino di ferro Un primo della classe, dagli Usa a Palazzo Chigi IL NUOVO PREMIER E' l'uomo che ha evitato il ribaltone. E' un uomo che saprà evitare le luci della ribalta, a differenza del suo predecessore. Cambia, anche nei metodi, il copione di palazzo Chigi. Lamberto Dini, di certo, non gradisce le lunghe apparizioni in tv. Ma non per questo è un timido, il nuovo premier. Anzi. E' uomo che sa dosare le parole. E, soprattutto, sa far valere l'arma del silenzio in un Paese in cui tutti (o quasi) amano gridare per farsi sentire. Un uomo di poche, efficaci parole e di tanti, ancor più efficaci silenzi, dunque, capace di star zitto anche nei momenti dell'amarezza. Come accadde, ad esempio, il 4 maggio del '93. Pochi, anche nel mondo ovattato delle grandi banche, avrebbero saputo incassare, senza una smorfia, una giornata così. Quella mattina, infatti, le agenzie batterono la notizia più attesa nelle stanze di via Nazionale: la nomina del nuovo governatore. Una doccia gelida per il direttore generale, naturale successore di Carlo Azeglio Ciampi dopo 14 anni di convivenza educata, anche se mai affettuosa: il nuovo governatore di via Nazionale, recitava l'agenzia, sarebbe stato Antonio Fazio, vicedirettore della Banca, fino allora un gradino sotto Dini reo, secondo il tam tam romano, di un'eccessiva familiarità con Giulio Andreotti. Un sorpasso, insomma, di quelli che, di solito, in Italia, si accompagnano a furibonde polemiche. Ma non è stato il caso di Lamberto Dini, banchiere di lungo corso, fiorentino, come Machiavelli, e servitore dello Stato come quelli che solo via Nazionale sembra saper forgiare nella penisola delle grida. Come Carli. Come Ciampi. E nel destino di Lamberto Dini c'è, da sempre, il confronto con Ciampi, il collega (mai troppo amato) di via Nazionale. L'ex governatore di Banca d'Italia ha accontentato quasi tutti a Palazzo Chigi: Borsa, stranieri, industriali e sindacati. Ora tocca a Dini che eredita una situazione, se possibile, ancor più difficile. Pochi mesi fa, del resto, il nuovo premier si concesse una battuta velenosa, ricordando ai banchieri di aver trovato al Tesoro una situazione meno brillante del prevedibile. E si riferiva alla gestione Ciampi. Ma chi conosce Dini sa che, a parte quella debolezza, le polemiche sono accantonate da tempo. Non è più, del resto, il tempo delle chiacchiere. E' l'ora di operare presto, anzi subito, sui guai dell'azienda Italia. E i mercati ci credono. Eccome. Basti ricordare quel che è successo ieri: lira e Borsa più forti nel giro di pochi minuti. Per gli operatori finanziari, italiani e, soprattutto, stranieri il nuovo premier è una garanzia. Del resto, a Washington come a Londra o a Basilea, il «fiorentino di ferro» come lo chiamavano in Banca d'Italia lo conoscono bene e da tanti anni. Lamberto Dini è da anni uno dei protagonisti della scena monetaria italiana ed internazionale. Il suo e un curriculum impressionante, da primo della classe. L'impronta più forte sulla sua formazione l'ha ricevuta dai suoi studi negli Stati Uniti: nelle università del Minnesota e del Michigan, fr-c- quentatc dopo la Laurea in Economia e Commercio presa a Firenze. Negli Usa il giovane Dini ci andò già con l'«imprimatur» di Bankitalia che gli assegnò la sua più ambita Borsa di studio, quella intitolata a Bonaldo Stringher. Era il passaporto per un ingresso trionfale nel tempio della finanza pubblica. Ma Dini preferì restare in Usa. Ben presto il primo incarico professionale, subito di prestigio: il Fondo monetario internazionale, quando si dice cominciare bene. Vi entra nel maggio 1959, fa carriera, sale di gradino in gradino. La preparazione ce l'ha, non gli manca la grinta. Diventa nel '75 condirettore centrale porgli affari africani. E' a quel punto che scatta il primo incarico «italiano»: rappresentare il Paese nel comitato esecutivo del Fmi. Il rientro in Italia, direttamente in via Nazionale, cade nel '79, ed è un fatto inconsueto per la tradi- zione dell'istituto: raramente un direttore generale viene individuato dall'esterno. E qui il banchiere dimostra di avere qualità politiche: riesce a stemperare gli inevitabili malumori interni con capacità professionale e diplomatica. Il tandem con Ciampi, destinato a durare 14 anni, funziona quasi alla perfezione. Le polemiche, se ci sono, non filtrano mai all'esterno. La Banca, anzi, accentua la sua tradizionale compattezza, fa scuola, sforna talenti: Rai- ner Masera, Baino Bianchi. L'istituto riesce ad agganciare l'Italia al treno dell'Europa e, soprattutto, a evitare l'abbraccio mortale della partitocrazia. Quando nell'aprile del '93 il governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi viene chiamato a guidare l'ultimo governo della «prima Repubblica», si apre la fase più delicata, tesa e forse amara per la carriera di Dini: l'attesa di una nomina che non arriverà, la prospettiva di una pensione indesiderata. Dini riesce a dissimulare il di¬ sappunto. Il mattino successivo alla nomina è al suo posto come sempre, alla solita ora, con il solito aplomb. Raramente lo si sente esprimere opinioni sull'operaio del governo Ciampi, e mai in pubblico. Quelle poche, manifestate in privato, non sono lusinghiere. Ma non oltrepassano mai il limite della critica «tecnica». 11 fascino della politica attiva non sembra contagiare il direttore generale di Bankitalia. «Resto al mio posto», manda a dire quando lo sondano sulla possibilità di una sua uscita brusca da via Nazionale - si parla di incarichi di alto livello in organismi internazionali -, ripeti! sempre che la direzione generale dell'istituto d'emissione resta comunque una responsabilità, e un ruolo, cui non intende rinunciare. Quando il clima politico si riscalda, e la vittoria dei progressisti alle amministrative di fino '93 fa pensare ad un «bis» nelle imminenti elezioni politiche, la neutralità di Dini non cambia. Ma, quando Berlusconi, nel mese di gennaio, scende in campo personal mente qualcuno si ricorda che il patron della Fininvest ha un buon rapporto col direttore generale di Bankitalia. Ma lui, al solito, non concedè commenti. La convocazione - quella da non rifiutare arriva quando Scalfaro dà l'incarico a Berlusconi. Nel governo dei nuovi politici si sente la necessità di un solido «baricentro» economico. Dini si «accontenta» della delega al Tesoro, contraria mente a quanti ipotizzavano per lui un ruolo da «superrninist.ro dell'economia». Ma la sostanza cambia poco: il neo-ministro del Tesoro e di gran lunga il capo della «troika» economica che compone con Pagliarini e Tremoliti. Il resto i: cronaca recente. La finanziaria che Dini prepara insieme a Berlusconi ed agli altri ministri economici nasce moderata nell'obiettivo finale (sono molti a considerare scarsi i 50 mila miliardi di peso complessivo) ma ambiziosa nelle strategie di fondo: innanzitutto riformare radicalmente il sistema previdenziale italiano. E sulla riforma delle pensioni la sua linea personale non cambierà più: neanche quando la pressione sociale farà breccia sul governo e lo indurrà, con lo «stralcio» di novembre, al rinvio. Le trattative con i sindacati, il lunghissimo «braccio di ferro», saranno gestite soprattutto dal premier e dal ministro del Lavoro. L'avversario vittoroso, il capo dello schieramento sindacale Sergio Cofferati, all'indomani della vittoria renderà a Dini l'onore delle armi: «E' stato il nostro interlocutore più coerente». Oggi, ironia della sorte, Dini guida un governo che il pds - partito di riferimento della Cgil di Cofferati - si accinge a sostenere in Parlamento. Un governo che, certamente entro giugno, dovrà varare la riforma previdenziale appena «stralciata» dalla finanziaria '95. E sarà sullo scoglio delle pensioni che ancora una volta Dini dovrà mettere a prova quell'insieme di durezza e di diplomazia su cui ha costniito tutta la sua carriera. Ugo Bertone Sergio Luciano Un anno fa la doccia fredda per la mancata nomina a Governatore di Bankitalia Poi la chiamata al ministero del Tesoro Con Ciampi 14 anni di convivenza difficile ma un'unica frecciata «Non mi ha lasciato un'eredità brillante» consultaartiti ma non sce, ma solo egno vero estazione sentare a lla previ. Permetni anticierano an o durerà no invece economica, trasformare in legge gli accordi sulla previdenza, la riforma elettorale per le Regioni per votare in primavera con un sistema come quello nazionale, la disciplina, «se si vuole, anche di carattere transitorio», dell'uso dei mezzi di comunicazione, per mettere tutti alla pari. «E' un governo pre-elettorale», è l'interpretazione di Fini, capo di An. «Scalfaro ha detto a Dini che doveva giurargli che non sarà un governo elettorale», e popolari potranno far politica fianco a fianco per costruire «un grande schie¬ In cambio il segretario dei poplari ha assicurato a Berluscoche rinuncia alla minacciata aleanza elettorale per le politichcon D'Alema: «Si sgonfia quespericolo e diventa meno plausbile questa necessità». E, probbilmente, gli promette anchl'assenso allo scioglimento delCamere, magari quando sastata approvata la riforma eletorale che introduce il doppturno. Non certo subito, vische se cadesse Dini ci sarebbUn anno fa la doccia fredda per la mancata nomina a Governatore di Bankitalia Poi la chiamata al ministero del Tesoro