Reagan cronache dalla notte di Vittorio Zucconi

Va a cavallo, ma non riconosce gli amici né la foto di Gorbaciov Va a cavallo, ma non riconosce gli amici né la foto di Gorbaciov Reggali, (Tonache dalla notte Si annebbia la mente del grande leader DIVORATO DAL MORBO DI ALZHEIMER c WASHINGTON RONACHE da una mente che muore. Diario spaventoso di una guerra perduta in mille piccole battaglie quotidiane da un uomo che appena ieri teneva il dito sul bottone della guerra nucleare o oggi non riesce più a ricordare il suo nome. La malattia di Ronald Reagan si aggrava. La sua mente si spegne un poco di più ogni giorno, in quel lunghissimo tramonto della coscienza e della memoria chiamato «morbo di Alzheimer», ci dicono i rapporti dei rari visitatori che entrano nella sua stupenda casa Saint Cloud Street a Bel Air, sulle colline di Hollywood. Non c'è niente che nessuno possa fare, altro che assistere all'agonia di un uomo di 84 anni che ancora va a cavallo, che spacca la legna nel giardino ma è condannato a divenire un vigoroso, abbronzato «morto che cammina». Un mattino, forse tra quattro, cinque anni - il decorso può essere lunghissimo - Ronald Reagan si sveglierà, si guarderà allo specchio e griderà di paura. «Ai malati di Alzheimer negli stadi finali, capita di non riconoscere più neppure il proprio viso allo specchio» mi dice il dottor Zaven Kachaturian, specialista del morbo all'Istituto Nazionale della Salute, nei sobborghi di Washington. «A volte quando si vedono allo specchio gridano, perché credono ci sia un estraneo in casa». Se non è vero che gli Dei fanno morire giovani coloro che più amano, come si consolavano i Greci, certo qualche divinità crudele deve essersi presa gioco di Ronald Reagan salvandolo dai proiettili e dal cancro solo per condannarlo a una vecchiaia stordita nella notte della mente. Il cervello del Presidente più amato e più esecrato dell'America dopo Roosevelt è oggi una sorta di Cecenia dello spirito, devastata ogni giorno di più dal bombardamento di una malattia progressiva che distrugge strada dopo strada, ponte dopo ponto, cellula dopo cellula. «Ero nel suo ufficio, a Beverly Hills - ha raccontato questa settimana lo storico che sta scrivendo la sua biografia ufficiale, Emund Morris - e Reagan, come fa sempre, mi ha fatto vedere la sua collezione di soldatini di piombo, so- pra uno scaffale della libreria. Vedi, mi ha detto, per far posto alla collezione abbiamo dovuto spostare molti alberi. Alberi, mister President? Ma sì - con l'impazienza dei vecchi che non riescono a farsi capire - gli alberi, e indicò la raccolta rilagata dei documenti presidenziali». Libri che diventano alberi. Volti familiari che scompaiono nella nebbia. «Papà sono io Michael, tuo figlio» gli telefona il figlio maschio più grande, quarantaduenne, che ha un talk show radiofonico a Los Angeles. «Michael? Michael» annaspa la voce del padre «come vanno gli studi all'università? Studia, da bravo». Ci vuole pazienza, poi si ricorda, dice il figlio. Pensieri che si sbriciolano come castelli di sabbia. Memorie che affogano nella palude. Va a trovarlo Charlton Heston, il «Mose» delle Bibbie hollywoodiane, l'amico «Chuck» degli anni del cinema, ed esce dalla casa sconvolto. «Conosco Ronnie da: mezzo secolo e l'uomo che mi stava seduto davanti somigliava vagamente a lui, ma non era lui. Aveva accanto a sé il barattolo dei soliti jelly beans, dei confetti di gelatina che gli piacciono tanto, ma non era lui. Mi ha chiesto, Chuck, hai finito i Dieci Comandamenti? Gli ho risposto di sì. Come potevo dirgli che li avevo finiti trent'anni fa? Era così fragile, così... - Heston cerca la parola - ...perduto». Nancy, l'odiata «Zarina di Ferro» dei giorni del potere, l'arpia che i giornali liberal attaccavano per le sue smanie di nobildonna, per le sue spese pazze in servizi nuovi di porcellana e per la sua mania di interpellare l'astrologo prima di ogni gesto del Presidente, oggi si rivela per quello che è sempre stata, una buona compagna, una donna fanaticamente devota al marito e al suo buon nome. E' lei che controlla il calendario di Ronnie, come un tempo gli suggeriva le risposte ai giornalisti quando lui si smarriva. E' lei che sta studiando la letteratura medica sulla malattia per assisterlo meglio negli anni durissimi a venire. E' lei che centellina i visitatori, che controlla i comunicati stampa, che cerca - fino a quando ci riuscirà - di preservare l'immagine del suo uomo dalla devastazione di una malattia che espone anche al rischio del ridicolo. Il biografo Morris racconta che il Presidente gli ha fatto vedere il suo album di fotografie ricordo, dei viaggi di Stato e mentre le sfogliava fissava quei volti, Kohl, Mitterrand, Gorbaciov, Bush, «con la fronte aggrondata di chi cerca disperatamente di ricordare chi, dove, quando. Credo che non riconosca più neppure me, che conosce da anni, come io non riconosco più lui». «Come si chiamava questo qui calvo?». «Gobarciov, mister President». «Già, yood fcllow, un uomo per bene». Una rete televisiva via cavo ili «tutta commedia», la Comedy Central, ha tentato di far dello spirito sul «rincoglionimento» del vecchio Ronnie ed è stata subito zittita dai critici e dal pubblico. Da quando Reagan annunciò in una lettera aperta, il 6 novembre scorso, che per lui era cominciato «il cammino sul viale del tramonto», le controversie su Reagan e sul Reaganismo si sono taciute. Non tutti amano il vecchio «Robin Hood alla rovescia» come lo chiamavano i critici, il Presidente che «rubava ai poveri per regalare ai ricchi», ma tutti lo rispettano. L'America rispetta sempre chi ha il coraggio della verità e della con¬ fessione pubblica, specialmente quando una confessione può aiutare altri a sopportare e a soffrire;. Ci sono 4 milioni di americani ufficialmente diagnosticati con il morbo di Alzheimer. E milioni di coniugi, di familiari che li devono assistere, «36 ore al giorno» come dice il titolo eloquente di un manuale per accudire i malati. Nessuno ride più, nessuno in America ha voglia di ridere attorno all'agonia di un Presidente che pure aveva fatto sorridere come nessun altro, quando era alla Casa Bianca. Il suo ciuffo demodé impastato di Brylcreem e di coloranti, il suo cerone di scena, le pause e la tecnica della battuta imparate sulle tavole dei set, la sua leggendaria smomoratezza enino buffe, ed erano insieme astuti trucchi politici. Quando lasciò la Casa Bianca, molto recalcitrante, nel gennaio del 1989, i segni del suo «rimbambimento» divennero più evidenti, come il grigio nei capelli non più tinti dal barbiere della Ca¬ sa Bianca. A un banchetto ufficiale per Margaret Thatcher, nel 1991, arrivò alla metà del discorso che stava leggendo, perse il filo e ricominciò a leggere da capo, fra l'imbarazzo dei presenti. Ma nessuno degli ospiti, non la Thatcher, non Bush, neppure gli avversari politici presunti dissero una parola. Solo un cameriere ruppe la congiura della benevolenza e della tenerezza attorno al vecchio che perdeva i colpi. Anche Clinton, che fece tutta la sua campagna elettorale contro «i disastri» del Reaganismo, ha taciuto fino a oggi la storia del primo colloquio con Reagan, dopo il suo insediamento. «Il Presidente aveva cominciato a raccontarmi come sarebbe stata la mia vita a Washington, si interruppe e disse, maledizione, mi sono dimenticato tutto quel che stavo dicendo. Di che stavamo parlando, Bill?». La differenza fra una persona normale e distratta e un malato di Alzheimer, spiega ancora il dottor Kachaturian, «è che una persona nonnaie si dimentica di dove ha parcheggiato la macchina, un malato di Alzheimer non ricorda più come è anivato lì». 1 figli e le figlie dei suoi due matrimoni, quei ragazzi e quelle ragazze che per tanti anni fecero disperare il padre, riaffiorano dalle loro vite lontane e cercano di stargli vicino. Maureen, la più vecchia, a 53 anni, visita spesso la casa del padre. Ronnie jr, aspirante attore c ballerino senza talento né speranza, ma che era sempre stato il «cocco» del Presidente, trascorre ore con lui ad ascoltarlo parlare: «Perde spesso il filo, dimentica quel che stava dicendo, va a avanti e indietro con il racconto, ma io lo ascolto e questo gli basta». Persino Patti, che a 42 anni ha posato nuda su Playboy, per la disperazione della matrigna Nancy e dei lettori, telefona spesso e il padre non la rimprovera più. L'amnesia ha le sue piccole benedizioni. Le segretarie che lavorano con lui nell'ufficio del grattacielo di Century City, a Beverly Hills, lo difendono. «Non è certo quello di una volta - dice una di loro, Katy Bush - ma viene a lavorare tutti i giorni, scrupolosamente». «Sono stato con lui sette ore - interviene l'amico Charles Wick, al quale Reagan presidente affidò l'Usis e l'apparato di propaganda americana - e abbiamo parlato di tutto, di politica, di affari internazionali. Mi è sembrato lucido». Certo, ammettono anche gli amici, ha preso l'abitudine curiosa di interrompersi, e di fissare punti lontani, come facevano i cow boys dei filmacci nei quali recitava da giovane. E' ossessionato dai panorami, dice Charlton Heston, dalle vedute lunghe, dal cielo grandi! della California che circonda il suo ufficio al 35° piano del grattacielo. Mentri; i visitatori gli parlano di politica, di amici, di ricordi comuni, lui guarda lontano e indica l'oceano a Ovest, le colline di Hollywood, i grattacieli del centro di Los Angeles, il profilo innevato della Sierra a Oriente, nelle giornate trasparenti d'inverno. «E' bella la California, eh?». Bellissima, si raschiano la gola gli ospiti. «Sai, un giorno voglio tornare definitivamente in California a morire», ha detto a Charlton Heston, poco prima di Natale. Ci riuscirai, ci riuscirai, gli ha risposto «Mose» con il magone. Vittorio Zucconi Charlton Heston «Mi ha chiesto se avevo finito di girare i 10 Comandamenti» EsteVa a cavallReggSi ann