Il sogno di Ghali «Vorrei una Cnn» di Jacques Amalric

Il sogno di Ghali «Vorrei una Gin» Il sogno di Ghali «Vorrei una Gin» IL SEGRETARIO GENERALE CNEW YORK INQUANT'ANNI dopo San Francisco, le Nazioni Unite attraversano una grave crisi di credibilità. Perché? «Una risposta facile sarebbe che l'Onu dipende dalla volontà degli Stati membri. Sono loro a decidere, o a non decidere. La comunità internazionale era riuscita a trovare delle formule per gestire la guerra fredda. Ma ci siamo trovati in una situazione nuova, il post-guerra fredda, di cui non conosciamo ancora bene tutti gli clementi. Aggiungerei che la guerra del Golfo ha dato all'Onu una credibilità eccessiva, a cui ó seguita una crisi di fiducia quando ci si è resi conto che non eravamo in grado di risolvere tutti i problemi. In verità le Nazioni Unite se la sono cavata fin troppo hene: in quattro o cinque anni le operazioni di pace sono passate da due o tre a 1718, e il loro bilancio da 300 milioni a 3 miliardi e 200 milioni di dollari. E abbiamo avuto successo nel Salvador, in Mozambico, in Cambogia...». Ma spesso l'Onu sembra incapace di agire, per esempio in Cecenia. «Indipendentemente dai sentimenti che si possono provare davanti a quella tragedia, noi operiamo nel quadro della nostra Carta e non possiamo intervenire negli affari interni di uno Stato se non dietro sua richiesta». La preoccupa l'ostilità verso le Nazioni Unite della nuova maggioranza parlamentare americana? «La nuova maggioranza in Congresso è isolazionista. Nostro dovere è di metterci in contatto con i singoli membri del Congresso e discutere con loro, per cercare di spiegare quale sia il costo delle operazioni di pace che intraprendiamo, e di rammentare quanto sia grande l'interesse degli Stati Uniti al loro successo. Gli Usa sono un grande Paese, ma ci sono altri 184 membri e su 17 operazioni di mantenimento della pace ce ne sono una decina e più alle quali gli americani non partecipano: fra esse Mozambico, Angola, Cambogia e anche un Paese così importante per gli Stati Uniti come il Salvador. E gli Stati Uniti non avrebbero potuto intervenire in Iraq senza l'accordo del Consiglio di sicurezza. Idem a Haiti. L'Onu rappresenta una forza politica e morale che non va sottovalutata». E se gli americani rifiutassero di pagare? «Pagano sempre. In ritardo, ma pagano. Non si può permettere che le Nazioni Unite falliscano. Si tratta di un bilancio di 5 miliardi di dollari, appena l'uno per cento del budget della Difesa americana. I nostri problemi finanziari sembrano enormi, ma le somme in gioco sono minime». Lei è favorevole a una riforma della composizione del Consiglio di sicurezza, con l'inclusione di Germania e Giappone? «Sì, attraverso il Consiglio di sicurezza questi due Paesi potrebbero recitare un ruolo internazionale più importante. Sono il primo a essere favorevole». Quale dovrebbe essere il criterio di ammissione al Consiglio di sicurezza come membro permanente? «Io ho un punto di vista personale, che non corrisponde del tutto al testo della Carta: il criterio fondamentale dovrebbe essere la forte volontà politica di interessarsi degli affari internazionali. Tutto qui». Questa riforma del Consiglio non rischia di aprire un vaso di Pandora? «Certo se ammettiamo la Germania e il Giappone, perché non l'India e l'Indonesia? E perché non il Brasile, l'Argentina, il Messico o altri Stati europei? Starà ai diplomatici risolvere questi problemi. Certo non saranno risolti nel 1995». Che cosa pensa dell'idea di seggi permanenti senza diritto di veto? «L'importanza del veto è stata esagerata. L'importante non è adottare le sanzioni, ma applicarle. Se non c'è l'accordo delle grandi potenze, quelle che dispongono dei mezzi per applicare le risoluzioni, tutto diventa inutile, veto o non veto». Ma per evitare certi veti, si è arrivati a risoluzioni che sono ambigue fino all'inapplicabilità, come quelle sulla Bosnia. «In Bosnia il mandato era chiaro, all'inizio. E' quando lo si è volu- to trasformare che sono cominciate le difficoltà. Nell'ex Jugoslavia avevamo avuto mandato di mantenere la pace, e non di fare la guerra. Ma non ci hanno dato i mezzi per applicare quel mandato. E questo a causa dell'incapacità degli Stati membri di mettersi d'accordo su cosa fare nell'ex Jugoslavia». Lei è personalmente favorevole all'idea di una forza militare permanente dell'Onu, una Legione straniera di Caschi blu? «E' una cosa che gli Stati membri non accetteranno mai. S'immagini quanto costerebbe mante¬ nere una forza del genere sempre sul piede di guerra». La Carta delle Nazioni Unite dovrà essere riscritta per risolvere tutti questi problemi? «No. La Carta deve essere emendata per permettere delle riforme». Al suo arrivo nel 1991 lei disse che si doveva ridurre il personale delle Nazioni Unite. «Ho già tagliato i burocrati del 30 per cento. Non posso andare oltre, perché i nostri compiti si sono moltiplicati per dieci e il numero dei nostri funzionari è già fin troppo limitato: 30 mila, meno di un piccolo Stato americano». Quali priorità si pone? «Cambiare la politica dell'informazione delle Nazioni Unite. Se l'Onu avesse la sua Cnn, sicuramente saprebbe presentare di sé un'immagine più giusta». Jacques Amalric Patrick Sabatier Copyright «Liberation» e per l'Italia «La Stampa» «L'Organizzazione lavora bene I nostri problemi sono il denaro e l'immagine» Qui accanto Boutros Ghali A destra un Casco blu con la bandiera dell'Onu in Bosnia

Persone citate: Boutros Ghali, Ghali, Patrick Sabatier