Casavola: «Non prendiamo gli ordini dai partiti»

Casavola: «Non prendiamo ali ordini dai partiti» Casavola: «Non prendiamo ali ordini dai partiti» IL PRESIDENTE SFIDA LE CRITICHE ■ROMA L ciclone di critiche che si è abbattuto sulla Corte Costituzionale per la bocciatura dei referendum elettorali è rimasto fuori del Palazzo della Consulta. Il dayafìer della lunga maratona è trascorso nella calma più assoluta. I giudici al gran completo hanno lavorato fino a tarda sera in camera di consiglio per decidere altre questioni di legittimità. Poco prima delle 20 dal grande portone che si affaccia sulla animatissima piazza Quirinale, sono uscite le prime auto grigie. Francesco Paolo Casavola, il presidente che a febbraio lascerà il suo incarico, è rimasto seduto alla sua scrivania, ed ha accettato di rispondere, senza far polemiche, alle domande del cronista. Alle critiche, alle ingiurie, alle accuse che da una determinata parte politica sono piovute sulla Corte ha risposto con le motivazioni delle tredici sentenze nelle quali sono spiegati per filo e per segno i motivi che hanno portato a quelle decisioni. Presidente, perché alcuni politici accusano la Corte di essere un'istituzione della Prima Repubblica? «Già nella preparazione della Carta costituzionale, la Corte incontrò l'opposizione di illustri Padri Costituenti: grandi vecchi liberali e leader della sinistra». Perché? «Si riteneva che un piccolo sinedrio di privati non potesse giudicare leggi prodotte da rappresentanti eletti dal popolo. Già allora, come vede, si provava insofferenza». Ma la Corte esiste da quasi quarant'anni ormai. Eppure... «L'esperienza recente del maggioritario esalta l'investitura popolare e porta a considerare un impaccio il controllo della Corte. Ma la democrazia liberale riposa tutta sull'equilibrio di freni e di contrappesi. Della grande e vitale eredità liberale dello Stato di diritto va accettato anche questo aspetto della duplice investitura, popolare e di competenza». La Corte alimenta polemica solo per i referendum e per i conflitti di potere, mai quando risolve questioni private. «Eppure il lavoro della Corte riguarda soprattutto queste ultime, che però fanno meno notizia delle vicende politiche che stanno sullo sfondo dei referendum o dei conflitti di potere». In orìgine, la Costituzione prevedeva che da referendum fossero escluse le leggi tributarie, quelle di amnistie e indulto e quelle di ratifica di trattati internazionali. Poi la Corte ha allargato questa forbice. Perché? «Nel 1978 la Corte ha indicato dei criteri di chiarezza, completezza, univocità dei quesiti referendari in assenza dei quali l'esercizio della sovranità popolare nella funzione legislativa negativa non è garantito da consapevolezza e libera scelta, ma può essere esposto all'inganno della propaganda prò e contro l'abrogazione». Nel '92 lei propose l'introduzione del referendum propositivo: in sostituzione o in ag¬ giunta a quello abrogativo? «In aggiunta: lo strumento di democrazia diretta va usato quando occorre e non entro strategie puramente distruttive». Ma la Corte è davvero indipendente e imparziale? La scelta dei suoi giudici non presuppone a volte valutazioni di ordine politico? «Quella della natura partitocratica della Corte è una favola. Chiunque ha avuto l'onore di servire la Repubblica in questo Palazzo sa che le richieste dei partiti sono rimaste fuori del portone. Il metodo di lavoro, che prevede la discussione di ciascuno dei quindici giudici, dal più giovane al più anziano, su ogni questione, ha sempre impedito che il relatore diventasse dominus della decisione. La prova dell'indipendenza della Corte sta nell'imponente collezione delle sue deci¬ sioni di un quarantennio dove è introvabile una sola sentenza sospettabile di partigianeria per qualunque ideologia o parte politica». L'indipendenza della Corte è garantita dalla incompatibilità con l'attività politica durante il mandato dei giudici. Non sarebbe meglio prevedere anche l'astensione da candidature politiche o istittizio- nali anche dopo? «Il modello ideale è quello del giudice vitalizio, non a termine. Tuttavia se si prescinde dalla Corte Suprema americana, da quella argentina, dalla Camera dei Lords, le Corti europee hanno giudici che in media durano nove anni. Ciò garantisce un ricambio che concorda con il mutare delle condizioni generazionali, culturali e politiche». Oggi quale sistema è auspicabile? «In una società che si organizzi politicamente su due fronti programmatici, di conservazione o di progresso, può apparire più idoneo il giudice vitalizio. Nel sistema vigente mi sembra ingiusto condannare il giudice uscito dal mandato a non esercitare i diritti di partecipazione politica sul mero sospetto che egli condizioni il comportamento durante il mandato a eventi futuri del tutto ipotetici». Non è un paradosso esaltare come fonte di ogni legittimazione il suffragio popolare e poi temere la parzialità di organi derivanti direttamente dal potere rappresentativo? «Lo è nella misura in cui si alternano nel dibattito tra le parti esaltazione dell'investitura parlamentare sana a deprecazione di quella corrotta». In ultima analisi il popolo è sovrano nel voto, nel Parlamento, ma lo è anche nelle aule dei Tribunali e nelle sentenze della Consulta? «Il popolo è sempre la radice della sovranità. Ma il popolo esercita il potere sia con l'investitura tecnica o di competenza come nel pubblico concorso che abilita all'esercizio della giurisdizione. Le sentenze sono rese nel nome del popolo italiano perché i giudici sono investiti anch'essi di sovranità popolare nell'accertamento della loro competenza tecnica» Lei ritiene che la crisi della legalità e della rappresentanza sia influenzata dal fatto che spesso soggetti politici e istituzionali usano i mass media per parlare tra loro? «E' un mio antico convincimento che il parlarsi a distanza a platee di milioni di telespettatori avrebbe fatto cadere quelle regole di compostezza e di dialogo rispettoso e ordinato imposto dal colloquio faccia a faccia. In più il medium è gestito da professionisti non sempre neutrali. Ciò aumenta la conflitti vita politica. Spegnere questa conflittività è oggi per tutti il primo dei doveri, per ricondurre la politica al fine aristotelico di far vivere agli uomini una vita buona. E non di spingerli in un'arena dove abbattere gli avversari». Roberto Martinelli «Il nostro lavoro ha provocato insofferenza fin dai tempi dell'Assemblea Costituente Già allora liberali e sinistre non volevano un controllo all'attività dei parlamentari» mere e che l'esercizio del potere di scioglimento anticipato da parte del Presidente della Repubblica non può subire impedimenti». i Invece dalla vittoria dei sì, J| proposta dai due referen- || dum, con eliminazione del meccanismo proporzionale volto ad attribuire il 25% dei seggi, «sarebbe scaturito un sistema elettorale che in assenza di legge non poteva funzionare». La Consulta ha, poi, respinto tutte le tesi difensi¬ zione) determinerebbe «la crisi del sistema di democrazia rappresentativa». SINDACI. La Corte ha ammesso il referendum per abolire il doppio turno per l'elezione dei sindaci nelle città con più di 15 mila abitanti, in quanto il sì determinerebbe l'unificazione della disciplina delle modalità elettorali senza far venir meno «in nessun momento lo strumento elettorale necessario per il rinnovo delle amministrazioni locali». Francesco Paolo Casavola presidente delia Corte Costituzionale Sotto: Marco Pannella

Persone citate: Casavola, Francesco Paolo Casavola, Marco Pannella, Roberto Martinelli

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