«Ero il notaio che gestiva i fondi neri di De Lorenzo»

«Ero il notaio che gestiva «Ero il notaio che gestiva i fondi neri di De Lorenzo» UN «PENTITO» ALLA RIBALTA INAPOLI L Grande Accusatore parla con tono pacato e ha una memoria di l'erro. E' lui la «voce di dentro» della Malasanità, il depositario di segreti inconfessabili, il contabile delle tangenti, l'uomo di fiducia per gli affari sporchi, quello che un giorno ha detto basta e ha deciso di vuotare il sacco. E ora Giovanni Marone, ex segretario particolare di Francesco De Lorenzo, siede davanti ai giudici, testimone e protagonista della spartizione di mazzette miliardarie. Il suo racconto è un attacco diretto contro l'ex ministro che proprio ieri ha dovuto incassare un altro colpo: il tribunale che lo sta processando ha accolto la richiesta delle parti civili e ha deciso di sequestrargli tutti i beni immobili, 20 tra ville e appartamenti, 23 terreni per oltre 200 ettari. Ma l'udienza è tutta dedicata a Giovanni Marone, che con il memoriale consegnato ai magistrati nel maggio del '93 ha dato il via all'inchiesta. Quando arriva davanti all'aula-bunker di Poggioreale, si difende a stento dall'assalto di fotografi e cronisti. Non vuole le telecamere, tace davanti a microfoni e taccuini, ma risponde, eccome, alle domande dei p.m. E' la prima volta che compare al processo ed è subito chiaro che non ha nessuna intenzione di ritrattare. La prima puntata della sua testimonianza racconta della metamorfosi di un assicuratore per tradizione familiare, oggi quasi cinquantenne, che l'ambizione mise al servizio di un uomo potente. Voleva diventare ricco e famoso e, invece, nel marzo del 1993 si ritrovò nel mirino degli inquirenti. «Quando ero agli arresti domiciliari - spiega ai giudici - ho avu- to tempo per riflettere. De Lorenzo non andava dai magistrati per assumersi la sua fetta di responsabilità e ho capito che la nostra amicizia si era rotta. Mi sono sentito tradito: in fondo, ero stato arrestato per lui e invece venivo abbandonato. Non potevo essere io il capro espiatorio della sanità. Ho capito che la verità è un fatto evangelico: o è tutta o è niente». E allora Marone collabora, anche per non correre il rischio di essere rincorso dalle Procure di mezza Italia. «Se non avessi preso quella strada sarei stato chiuso in qualche carcere, sarei morto soffocato con un sacchetto di plastica, avrei finito per uccidermi, se avessi continuato con l'omertà». Parte da lontano la storia di Giovanni Marone, da quando nel 1983 tenta di conquistare con il pli una poltrona in consiglio co¬ munale, viene trombato, ma incontra Francesco De Lorenzo «attraverso Renato Altissimo, amico di mio fratello». Lui lo nota a una riunione di partito, gli chiede di dargli una mano a mettere in sesto la macchina organizzativa, poi lo chiama al ministero dell'Ambiente e quindi a quello della Sanità, dove c'era già un «ufficio raccomandazioni», persino per «tumulazioni privilegiate», onorificenze e interventi negli ospedali. Marone e De Lorenzo diventano amici («A Roma abitavamo insieme, come due scapoli») e l'avventura comincia. «Lì potevo fare conoscenze, stavolta alla grande: imprenditori, politici. E c'erano anche l'ambizione, il fascino del potere, le aspettative economiche: mica potevo vivere con due milioni al mese... Speravo di partecipare a grandi con¬ tratti assicurativi, ci riuscii solo con l'Eni e le Ferrovie dello Stato». E' proprio allora, però, che Giovanni Marone diventa il contabile delle tangenti, che lui chiama solo «dazioni»: roba per nove miliardi e mezzo. «Fuori la porta ce n'erano di persone che volevano dare soldi, ma dovevano essere affidabili, occorreva che fossero accreditate con il sistema, con De Lorenzo: a pagare non poteva essere un illustre sconosciuto, quei contratti erano sulla parola. L'offerta dipendeva dal grado di sfrontatezza, di amicizia. Io ero l'amministratore dei fondi occulti, li incassavo, registravo nomi e dati. Ero una specie di notaio per dimostrare nel pli che i soldi non erano per De Lorenzo». Marone annota tutto, gestisce gli affari correnti, mentre per quelli più delicati, per le dazioni più importanti, aspetta direttive da De Lorenzo. E i rendiconti «dall'88 al '92, dettagliati, con le pezze d'appoggio» finiscono nelle casseforti del pli o in quella del ministero. Quando il vento cambia, però, le carte vengono nascoste nell'armadio blindato di casa De Lorenzo: bisogna distruggerle. «C'erano la moglie, uno dei figli, il fratello Renato. I rendiconti furono bruciati nel famoso pentolone e le ceneri gettate nel water». E' la fine. Ma già prima Giovanni Marone aveva lasciato il suo incarico di segretario particolare: «Avevo la mia morale, ognuno ce l'ha, alta o bassa che sia. Mi occupavo di finanziamenti illeciti, trascuravo la famiglia e poi... non mi divertivo più». Mariella Cirillo Il tribunale ordina il sequestro dei beni dell'ex parlamentare: 20 ville e terreni Francesco De Lorenzo Sotto: Giovanni Marone

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