Ma come parla togliattiano quel gentleman di D'Alema

Ma come parla togliaftiano quel gentleman di D'Alema DELLA CRISI Ma come parla togliaftiano quel gentleman di D'Alema SROMA INTOMATICHE lezioncine d'inglese in una sezione postcomunista. Dunque, agreement. Perché a metà del lungo intervento, D'Alema non resiste e butta lì la paroletta inglese: «Bisognerà trovare un agreement...». «Un che?» lo interrompono timidamente dalla platea strapiena di iscritti trasteverini. «Un agreement» ripete lui con un sorrisetto. Segue immediata traduzione, sotto lo sguardo comprensivo di Reichlin: «Un'intesa». Vedi l'idiomatica espressione «gentleman's agreement», intesa tra gentiluomini. Locuzione che cade a puntino, stasera, esprimendo abbastanza bene la disponibilità di D'Alema nei riguardi di chi - Dini, Pivetti, Scognamiglio, chiunque - prenderà il posto di Berlusconi. Al quale è dedicata la visita del segretario a Trastevere, tutta bianca e pulita, con l'emblema della quercia ridotto al minimo, a due passi da Me Donald. «Operazione verità» l'hanno chiamata, senza rendersi ben conto che messa così ricorda drammaticamente certe estemporanee, spumeggianti trovate di Occhetto. In effetti i manifesti annunciano: «La verità sulle bugie del Cavaliere». Che suona un po' troppo assoluta, oltre che impegnativa, questa verità destinata pregiudizialmente a trionfare sull'altrui menzogna, e tuttavia vale la pena di vedere e ascoltare l'unico leader di partito che in questi giorni ha scelto di uscire da un Palazzo sempre più nevrotico per misurarsi con un uditorio di compagni sì, ma soprattutto di non addetti alla crisi. Alle 18 D'Alema arriva imbacuccato e con un'aria per la verità un po' tetra che dipende forse dalla massiccia presenza di giornalisti, da lui non proprio adorati come categoria. Ligas e Velardi, due addetti stampa che più assortiti non potrebbero essere, l'uno sbrigativamente milanese, l'altro ammiccantemente napoletano, restano però nel buio di via San Crisostomo in attesa di evoluzioni che si attendono - dirà poi il segretario normalista, l'unico politico che non è mai stato beccato sul latino - ad horas. Dentro, a contatto con un pubblico molto più giovanile e femminile di quel che ci si potesse aspettare, D'Alema ha già dato inizio alla propria mutazione interiore. Nel senso che appare improvvisamente molto più disteso, sereno e anche affabile di quando, l'altra settimana, è comparso dietro il tavolo rosso delle consultazioni al Quirinale. Molto meno professorino, stavolta non si preme la lingua sotto la guancia con sguardo sprezzantello, non incrocia le braccine a marcare la lontananza, né la condizione lo costringe a quelle fredde messe a punto (esempio: «Se io dico un governo sganciato dai partiti, dico un governo sganciato dai partiti») che gli valgono l'Oscar dell'antipatia. Esordisce, invece, con ironia rarefatta rivolgendosi ai fotografi (pure loro mai desiderati) con una frase chiave del berlusconismo: «Lasciateci lavorare». L'uomo è infatti assai più spiritoso di quanto i suoi nemici possano sperare. A tratti è consapevolmente buffo e, quando è in buona, ma sempre in privato, ha quasi il piacere di regalar risate. L'ultima storiella, degna di Sturmtruppen, l'avrebbe visto telefonare al capo del spd, Scharping, per saggiarlo sugli effetti, lì in Germania, della crisi di governo italiana. Una volta rassicurato dal tedesco, D'Alema si sarebbe alzato dalla scrivania con aria decisamente stralunata gridando: «Ribaltonen! Ribaltonen!». In realtà, come si intuisce subito alla sezione di Trastevere, il segretario del pds non voleva né la crisi («E' venuta molto presto») né il ribaltone pasticciato che questa si trascinava appresso. Ora cerca di governare tutti e due chiedendo instancabilmente quel governo di tregua che, fra il tutto e il nulla della formula, significa che Berlusconi se ne deve tornare a casa (e non più, come pretendeva improvvidamente in campagna elettorale, in esilio o a chieder l'elemosina). Sentimentalmente solidale con Scalfaro; generoso con il ppi, cui offre una conferma della residua proporzionale; cautamente puntuto con Rifondazione («Vedo riemergere la cultura della sconfitta e della fuga dalle proprie responsabilità»). E però, nonostante lo sguardo materno di Giglia Tedesco, quello pacioso dell'ex sindaco Ugo Vetere e quello incantato di Luciano Consoli, già manager editoriale della Voce di Montanelli, ^operazione verità» fatica a carburare. Troppe parole cripticamente desuete, specialistiche, «un processo di riforma relativo al quadro delle regole»: Dio ce ne scampi. E formulazioni troppo gravide d'incertezza, «Io non credo che una coalizione democratica non avrebbe la possibilità di vincere»: insomma, vince o non vince 'sta coalizione? Il Dottore, viene da pensare, la farà pure un po' troppo facile, ma in un minuto ti fa capire tutto. Poi, con il tempo e con un po' di pazienza, si capisce che proprio in quanto pre-televisivi e pre-berlusconiani i moduli - lui direbbe gli «stilemi» - del ragionamento e prima ancora dell'oratoria dalemiana hanno una loro antica risonanza, risentono di una «scuola politica», evocano una tradizione che nel bene o nel male si può far risalire a Togliatti. Quanto e come tale modello sia oggi persuasivo nei confronti dei non-comunisti è un'altra questione. E tuttavia, per tornare all'«operazione-verità», D'Alema risulta piuttosto convincente quando a quella scuola di cui è stato fin dalla più tenera età un primo della classe riesce ad aggiungere un che di fantasiosamente trasgressivo, osservando ad esempio che «le regole sono come gli scacchi: se io ti mangio la regina, tu non puoi mordermi una mano» o che «Berlusconi si serve del dottor Pilo, ma è più attendibile l'Istat». Togliattianissimo nell'invettiva fredda, con quel gusto raffinato di offendere che si ottiene con sapiente miscuglio di toni alti e bassi: «Come al solito le tragedie sono accompagnate da una serie di farse - declamava con aria contrita, per poi rianimarsi di scatto -. La farsa Pannella! Oppure la farsa Michelini! Ah, Michelini - continuava con una botta da vero teatro - la sua inelegante capriola, la sua faccia da pesce lesso...». Filippo Cec carelli Il leader pds dà lezioni d'Inglese ma attacca ancora alla vecchia moda pei ciosa promessa di chi già si prepara ad un'opposizione senza sconti: «In caso di ribaltone, lo scontro politico coinvolgerà anche Scalfaro». E' un Fini «pessimista», dice. «Se due più due fa quattro finirà col ribaltone. Una cosa è chiara: se Scalfaro darà l'incarico a un uomo del Polo diverso da Berlusconi, quest'uomo non avrà il sostegno del Polo. Neanche Monti o Scognamiglio, che comunque non sono disponibili. Ripeto: qualunque altro premier sarebbe un ribaltone». E qui Fini smonta uno per uno tutti i pretendenti. Irene Pivet¬ so, chissà cosa si direbbe se ci comportassimo allo stesso modo io o D'Alema... Certo, alla Camera ho detto che l'ho conosciuto anche in privato, ma non in senso intimo, ci mancherebbe altro. Comunque sì, mangia con la forchetta...». Roberto Maroni: «Lui e Bossi giocano al gatto e alla volpe». Romano Prodi: «Un uomo del ppi che si è dimesso dall'Iri il giorno dopo la fiducia a Berlusconi. Un suo governo cos'altro sarebbe se non il ribaltone?». Costanzo chiude il sipario: «Onorevole: adda passa 'a nuttata». Massimo D'Alema A sin. Alberto Michelini Gianni Pilo deputato di Forza Italia e «mago» dei sondaggi

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