Liuzzi e l'handicap di essere onesto; Consolo, il baratro e i talk show
Liuzzi e l'handicap di essere onesto; Consolo, il baratro e i talk show ■:■:■::■:•: : :■■■■,:■:« ^o.-^^orv:*: :•: :■ lettere AL GIORNALE Liuzzi e l'handicap di essere onesto; Consolo, il baratro e i talk show «Cambiare città non è lasciare l'Italia» Mi riferisco al Parolaio di Pierluigi Battista di lunedì 9 gennaio, dove sono chiamato in causa a proposito di un dibattito dal tema leggero «Se sia opportuno abbandonare la patria», ospitato da Sette. Voglio subito precisare che non mi sono mai sognato di bacchettare chicchessia (non sono mica un maestro, ohibò!) e meno che meno un signore come Arnoldo Foà. La signorina di Sette che mi ha interpellato (la sprovvedutezza, figlia della gentilezza o della vanità, ti porta qualche volta a rispondere al telefono a simili domande) non mi ha detto né di Foa né di altre persone, né di esili alle Seychelles o alle Bahamas, ma semplicemente se avevo intenzione - avendo io a suo tempo dichiarato che avrei abbandonato Milano in caso di vittoria alle elezioni comunali della Lega Nord (sia indulgente, egregio Battista, mi assolva dalla colpa di non aver messo in atto quel piano!) - di abbandonare questa Italia in cui i fascisti sono (erano) al governo. Ho risposto che non avevo quell'intenzione. Ho spiegato che per me abbandonare una città per trasferirsi in un'altra non è la stessa cosa che abbandonare il proprio Paese e andare all'estero. Fare una simile dichiarazione, ho aggiunto, mi sembrava retorico, visto che ancora, perbacco, in Italia non siamo alla dittatura, non siamo nella necessità di scappare. La signorina di Sette, poi, come si fa col gioco del Domino, ha «combinato» queste mie parole con quelle di Arnoldo Foà. E così il talk-show è stato approntato. Nel quale in coda è entrato anche Lei, egregio Battista. Lei che io non invidio, condannato com'è per il suo Parolaio a leggere e leggere rotocalchi e gazzette, a sorbirsi tutti i talk-show del mondo. Dei quali e dentro i quali, con più o meno eleganza, noi tutti parliamo distogliendo lo sguardo dal baratro dentro cui ogni giorno rischiamo di precipitare. Vincenzo Consolo Per un combattente la giustizia della storia Vi scrivo, a mano, per non lasciare arrugginire il mio cervello all'età di 88 anni. In merito al comportamento di Pietro Badoglio con gli ebrei, aggiungo, a quanto è stato già scritto, che nel suo curriculum vitae nell'esercito italiano, fu decisamente antisemita. Lo affermo a nome di Guido Liuzzi, ebreo, servitore dello Stato nell'esercito italiano, nella stessa epoca, negli stessi giorni di Pietro Badoglio. Liuzzi confidava la sua amarezza per l'antisemitismo di Badoglio alla moglie, e questa alla propria sorella mia madre, quindi le mie informazioni sono, direi, di prima mano, di piena fiducia. Inizio il curriculum vitae di Guido Liuzzi dal 1908, quando un brillante tenente di artiglieria, provvisto di una vasta cultura tecnico-scientifica e di un alto ingegno, prese 6/8 mesi di aspettativa dall'esercito, per provare una carriera diversa, nell'industria, nella Fiat, che sarebbe stata, per le sue qualità, di gran lunga più remunerativa di quella nell'esercito. Ma la carriera militare, che aveva scelto, lo affascinava, non gli importava il magro stipendio, e rimase nell'esercito. Partecipò da capitano alla guerra di Libia e, nella prima grande guerra mondiale, fu intendente nella invitta terza annata diventando il braccio destro del duca d'Aosta. L'immensa stima che questi gli tributò, anche a guerra finita, suscitò apprensione ed invidia nel collega Badoglio, che riuscì a contrapporre l'amicizia e l'appoggio del re Vittorio Emanuele III, non so con quali sottigliezze ed arti, complice, si diceva, la massoneria. Certamente per cultura ed intelligenza Liuzzi supe- rava di gran lunga Badoglio e lo si riconobbe con il comando, per alcuni anni, della Scuola di guerra di Torino, ma univa l'handicap di essere ebreo ad un carattere di assoluta onestà e dirittura morale. Badoglio, nella sua rozzezza, conosceva tutte le astuzie del contadino ed aveva la flessibilità dell'uomo politico. Nella lotta con Liuzzi vinse la partita. Quando Liuzzi ottenne il comando del corpo d'armata di Padova il duca d'Aosta gli telegrafò «Plaude e gode l'amico Emanuele Filiberto». Poche parole ma, per chi le sa intendere e le colloca nel regime fascista del momento, dicono moltissimo. Quel comando fu, per Liuzzi, l'ultimo gradino della sua carriera. L'antisemitismo di Badoglio e dell'esercito italiano raggiunsero l'apice con le leggi razziali e l'espulsione guarda caso, con molti altri, del maggiore Giorgio Liuzzi, figlio di Guido. Quando la seconda grande guerra mondiale arrivò in Italia, Giorgio Liuzzi, attraversando la linea gotica, andò a combattere nelle file dell'esercito alleato anglo-americano. A guerra finita fu reintegrato con tutti gli onori nell'esercito italiano ed in quello salì tutti i gradini fino a diventare capo di stato maggiore dell'esercito. Giustizia della storia! Toccò a lui la carriera che era stata negata a suo padre! ing. Mario Bassani, Moncalieri Scelte sbagliate dove nasce il Tanaro Abito ad Ormea, un Comune di montagna del Basso Cuneese ove, tra l'altro, nasce il Tanaro. Anche noi siamo stati interessati, benché in modo meno tragico delle località più a valle, dall'alluvione. Ho notato nell'occasione, che l'assetto urbanistico del vecchio Comune, rispettoso delle distanze dal fiume, non ha subito alcun danno, mentre le case costruite in area alluvionale ed in tempi recenti sono state danneggiate, perché raggiunte dall'acqua. In particolare la casa della cooperativa, costruita sul terreno che mi era stato espropriato, è stata allagata. Me ne dispiace per gli abitanti anche se io certe cose le avevo dette. Non voglio però personalizzare una vicenda ma solo avanzare delle preoccupazioni per l'avvenire, che possono essere comuni a molte città. A questo punto dovrebbero essere bloccati tutti i piani regolatori che prevedano l'attuazione, in aree alluvionali, di insediamenti abitativi o produttivi. Ad esempio nel mio Comune è prevista, nella zona invasa dalle acque, la realizzazione di due strade e di un insediamento artigianale. Sia chiaro che in molti casi certe scelte sono state fatte nell'interesse dell'economia dei paese ma, visto quello che è accaduto, mi pare che il governo dovrebbe intervenire per controllare il futuro, in quanto è meglio prevenire che reprimere. Queste indagini eviterebbero, per il futuro appunto, tutti quei danni che, in ultima analisi, si ripercuotono anche sull'economia nazionale, oltre ai disagi mdividuali. Lydia Masenti, Ormea L'ispirazione cristiana del Csi Su La Stampa di ieri appare un servizio dal titolo «Ai partiti denaro dal Coni», che contiene una scheda in cui viene citato il nostro Ente di promozione sportiva. A tale riguardo desideriamo segnalare una imprecisione in cui è incorso l'estensore della scheda stessa. In questa, infatti, è scritto testualmente: «Csi - Centro Sportivo Italiano, Opus Dei...». Non sappiamo se l'Opus Dei venga posta come area di appartenenza o semplice riferimento ma, per amore di chiarezza e pur con tutto il rispetto per questa benemerita Opera, desideriamo precisare che la dichiarazione non corrisponde a verità sia nell'uno e sia nell'altro caso. Le chiediamo quindi che questa dichiarazione sia rettificata secondo l'esatta collocazione del Centro Sportivo Italiano che è un'Associazione di ispirazione cristiana nata per volontà della Gioventù Italiana di Azione Cattolica. Santo Gagliano Vicepresidente Nazionale Csi CI, la fede e lo sport In merito alla scheda riportata a pagina 4 de La Stampa in data 11.1.1995, facciamo presente che Comunione e Liberazione è un movimento ecclesiale di educazione alla fede che non ha nulla a che fare con iniziative partitiche e, nel caso, sportive. La citazione del Movimento è gravemente falsa e indebita. Alberto Savorana, Milano Ufficio stampa Comunione e Liberazione
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