Khasbulatov: gli errori del mio nemico Boris di Giulietto Chiesa
Khasbulatov: gli errori del mio nemico Boris Khasbulatov: gli errori del mio nemico Boris IL GOLPISTA VENUTO DALLA CECENIA CMOSCA OME uscirne? Dopo questo disastro, mettere in piedi a Grozny un governo fantoccio formato a Mosca significa avere contro tutti i ceceni. La verità è che il Cremlino ha scelto la guerra. Allora vadano fino in fondo, istituiscano un'amministrazione militare provvisoria, chiedano scusa per quello che hanno fatto e organizzino entro due o tre mesi elezioni democratiche, con la partecipazione di osservatori internazionali e da tutte le altre repubbliche del Caucaso». Il ceceno Ruslan Khasbulatov, l'ex presidente del Soviet Supremo, l'ex recluso di Lefortovo, riemerge dal silenzio con la sua proposta. Mi riceve nel suo sontuoso appartamento sulla via Shuseva, che ha una sala riunioni per trenta persone, mobili di betulla, aria condizionata, ma dove aleggia un profumo di cibi caucasici assieme all'aroma del tè. Il tutto per il padrone di casa e lo stuolo degli aiutanti. Alle sue spalle un grande ritratto, molto somigliante, con la pipa in mano. Ma è una proposta realistica? «Lo sarebbe se al Cremlino ci fosse gente realistica. Temo che, invece, si rischi una metastasi di guerre partigiane in molte zone del Caucaso» E l'idea di interrompere subito le operazioni militari e ritirare le truppe per avviare un negoziato? Ruslan Imranovic non è di questo avviso. «Dico sì all'interruzione dei combattimenti. Altrettanto ai negoziati, anche se non solo con Dudaev ma con tutti, inclusi i comandanti locali. Il ritiro delle truppe non è realistico». Khasbulatov non lo dice mai, ma si capisce benissimo che lui - come Eltsin, come gran parte dei parlamentari della Duma - vuole la Cecenia dentro la Federazione Russa. Il problema è come tenercela. E che ne pensa delle posizioni critiche di Gaidar, Javlinskij, Kovaliov, dei radicai-democratici? «La saluto con favore. Meglio tardi che mai. Ma io sapevo fin da agosto che il Cremlino pianificava l'intervento militare. Sapevo che c'era una lotta furibonda attorno a Eltsin. Andai in Cecenia proprio per scongiurare la scelta militare. E invitai i deputati della Duma a venire a vedere con i loro occhi. Ne arrivò uno solo, del partito di Zhirinovskij. Adesso alcuni giocano abbastanza cinicamente le loro carte sul fallimento di questa operazione. Rispetto il coraggio di Kovaliov, ma vorrei ricordare che il plenipotenziario per i diritti umani fu uno di quelli che incoraggiò Eltsin a liquidare il Parlamento legittimo nel settembre 1993. Costoro dovrebbero finalmente capire che tutto ciò che loro non piace oggi, e che li preoccupa giustamente, prese avvio allora». Ma perché, dopo tre anni, questa guerra? C'è una spiegazione moscovita, o una spiegazione cecena? «Hanno giocato diversi fattori. Ma uno è stato determinante: il Cremlino voleva dimostrare la sua forza, proprio mentre diventava sempre più debole nel Paese. Certo che hanno sbagliato i calcoli. Pensavano di vincere in pochi giorni e con poche perdite. Il loro comportamento dimostra che non conoscono il Paese che pretendono di governare». Cosa può fare la Duma? «Poco, perché non ha poteri. La Costituzione non odora di democrazia. E' un delirio autoritario. Non l'ho fatta io. Trovo soltanto immorale che il Parlamento sia rimasto in ferie mentre Eltsin scatenava la guerra». Dunque lei è pessimista sull'esito di questa crisi? Ritiene che si vada verso una fase autoritaria aperta? «Temo proprio che andrà così. Il regime autoritario finirà per uscirne rafforzato, anche perché tutti quelli che gli si oppongono, pur maggioritari, non sono organizzati, né uniti, né hanno un programma chiaro. Ma sarà una svolta autoritaria a tempo definito. Poiché si accompagnerà a una forte destabilizzazione sociale, economica, nazional-territoriale. La disintegrazione della Russia si accentuerà. Conservare a lungo il potere in queste condizioni sarà impossibile». E se Eltsin uscisse di scena, come chiede Javlinskij, lei ritiene che la tenuta del Paese sarebbe in pericolo? «Non lo credo affatto. La disintegrazione della Russia è il diretto risultato della politica di Boris Eltsin. Se si dimettesse non farebbe certo più danno di quanto ne fa restando». Giulietto Chiesa «Rischiamo una metastasi di guerre partigiane nel Caucaso» Sopra, una bimba cecena coperta di sangue; a fianco Khasbulatov
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