Colombo: Antonio sbaglia D'Ambrosio: e se si brucia?

Colombo: Antonio sbaglia D'Ambrosio: e se si brucia? Colombo: Antonio sbaglia D'Ambrosio: e se si brucia? DEL POOL MILANO A Cossiga? Con Casini e la Fumagalli Carulli? Pure Fini? Ma allora Di Pietro fa le consultazioni pure lui? Mi sa tanto che faccio la valigia e vado all'estero...». Ride (ma non troppo) Gerardo D'Ambrosio, procuratore aggiunto, ex collega dell'ex magistrato-simbolo sempre più sulla via di Roma e della politica. Ieri per Di Pietro è stata una giornata di «consultazioni». Di riflessioni, per D'Ambrosio e per gli altri ex colleghi di Di Pietro, del pool e del palazzo. Dice D'Ambrosio: «Sono ancora scosso dalle sue dimissioni: non pensavo che la politica lo tentasse con le sue lusinghe. Vuol dire che mi sono sbagliato». Chissà se si sono sbagliati tutti? Quando Di Pietro scriveva che lasciava la magistratura «con l'amaro nel cuore e senza nessuna prospettiva». Quando negava di essere pronto a scendere in campo. Quando affermava che «ognuno deve fare il suo mestiere». Lapidaria l'opinione di Gherardo Colombo: «Secondo me fa male. Non sento Antonio da prima di Natale ma escludo che possa avere avuto in mente di mettere in piedi un partito. Chissà, forse se lo chiamano...». Identico il pensiero del procuratore capo Borrelli: «Di Pietro ministro? Sono perplesso. Comunque voterei per lui». C'è attesa. Come per un'annunciazione tutta laica. Con l'ex operaio metallurgico in Germania, l'ex commissario di polizia, l'ex magistrato adesso docente universitario che si trova ad un passo dalla politica. «No, ministro della Giustizia non lo vedo proprio. Magari all'Interno, mi sembra che lì possa avere più capacità», azzarda Colombo. Poi spera: «Non credo che altri lo seguiranno. Le indagini vanno avanti, un magistrato di meno ci lascerebbe in braghe di tela. Ma non mitizziamo il lavoro fatto da Di Pietro». «Magari sarà un buon ministro. Magari saprà dimostrare la stessa capacità di lavoro che ha dimostrato con noi. E invece magari si brucia». Troppi «magari» nelle parole di D'Ambrosio, spiazzato da una cosa fin troppo evidente, studiata a tavolino, ultima puntata delle intense relazioni politiche del magistrato, partito da Bergamo con una solida amicizia con Ombretta Fumagalli Carulli e arrivato a Roma, palazzi Chigi, Viminale e Madama, dritto nelle braccia dell'ex presidente Cossi- Il toto-governo (e quindi ministro) è ancora aperto. Ma a palazzo di giustizia l'era Di Pietro si è già chiusa. C'è anche la data: 6 dicembre. E la frase storica: «Signor Presidente, mi consenta di far spegnere i computer ai miei collaboratori». Spenti. «Lo si sente nell'aria che senza Di Pietro è diverso», annusa Gaetano Pecorella, avvocato e Presidente degli avvocati penalisti. Spiega: «La mia impressione che gli altri magistrati del pool lavorino con più cautela, con più distacco. Non si è ogni volta investiti da una specie di camion come una volta...». Nell'ufficio di Di Pietro adesso c'è Piercamillo Davigo. Che ha ereditato tutto: squadra, computer, transenna invalicabile e carabinieri alla sbarra. Che fanno mille manfrine prima di farti passare. Alla fine del corridoio il numero (74) della stanza sulla porta è sempre quello. Ma manca qualcosa: la fila di politici, imprenditori, portaborse, faccendieri, boiardi di Stato, capitani d'industria. Che •volevano spiegare al dottor Di Pietro, confessare, avere un colloquio. Capire, tutto pur di non finire a San Vittore. Adesso no. L'attesa è solo per «la madre di tutte le richieste di rinvio a giudizio». Quella contro Silvio Berlusconi. Si sa che è in lavorazione, inanca solo la riunione plenaria per valutare tutti gli elementi contro l'ex presidente, della Fininvest e del Consiglio. «Se gliela mandiamo prima che si formi il governo diranno che abbiamo cercato di ostacolarlo. Se dopo, diranno invece che abbiamo aspettato», ripete il solito ritornello un magistrato del pool. Che poi chiede: «Ma quali sono le novità da Roma?». «Basta che non vada con Berlusconi», è il pensiero dei possibilisti, aperti a tutto. D'Ambrosio si accontenta di meno: «Speriamo che non sia lui a mettere la parola fine a Tangentopoli. Magari con un decreto. Mi sa che puntano a questo, a strumentalizzarlo. E con lui al governo il consenso è garantito». Fabio Poletti cutori non può essere considerata del tutto casuale. «Non risulta che Di Pietro abbia visto D'Alema», malignava ieri sera l'eterna «veli¬ avertre lui, per zo imanromza-pfarc'iflIlinN «Min oROMnaiscrino «sonso Un narmilpubre lperpitalo savvspiedenper Nella foto grande, il sostituto procuratore Gherardo Colombo. A lato, il procuratore capo, Francesco Saverio Borrelli

Luoghi citati: Bergamo, Germania, Milano, Roma