La «sparizione» di Irene ultimo enigma del Palazzo di Filippo Ceccarelli

i volti La «sparizione» di ultimo enigma del Irene Palazzo i volti DELLA CRISI La Pivetti cerca di restare estranea Ma il suo pallore tradisce la tensione PROMA 01 ci sarebbe anche la Pivetti. Ci sarebbe, al condizionale d'obbligo, se fin dall'inizio della crisi non avesse fatto di tutto pei- passare inosservata. E c'è quasi riuscita, pur andando su e giù per ìe scale del Quirinale, ma a occhi bassi, mozziconi di frasi, pallore, tensione, concentrazione. Anche ieri, a tarda sera, e sfilata velocemente nella galleria della Vetrata insieme con uno Scognamiglio molto più disponibile. Tra i due, per dirla in modo civile, non c'era - e non c'è - intesa. Lui, detta in modo meno civile, sta con Berlusconi. Lei è con Scalfaro. Ma prima ancora cerca disperatamente di reslare estranea. Vero è che la memoria, in questi tempi convulsi, corre sempre più in fretta, quasi annullandosi nel «sempre uguale». E tuttavia sarebbe ingiusto trascurare che senza la Pivetti, oggi, senza la sua attiva e fattiva volontà, non si parlerebbe di «ribaltone». Non è un dato solo linguistico, o formale. Il primo, vero, effettivo e non ancora (del tutto) dimenticato rovesciamento - ribaltamento - delia maggioranza avvenne infatti in un baccano anch'esso difficile da scordare, nell'aula di Montecitorio il giorno i4 dicembre. Quando con un provvedimento decisamente simbolico sia per la materia sia per i personaggi che coinvolgeva, la presidente della Camera sfilò la questione televisiva dalle competenze riservate a una commissione parlamentare - invero piuttosto agitata - guidata da Vittorio Sgarbi. Una vicenda che virò immediatamente in politica. A poco servirono i meticolosi dossier preparati dagli uffici della Camera secondo cui nel passato (più o meno consociativo) s'erano registrati ben 70 casi di competenze sottratte. I precedenti non tenevano conto della personalità di Sgarbi, che in quei tempi aveva calamitato su di sé una mole non più tanto sostenibile di critiche. Né potevano considerare, sempre quei benedetti dossier, che così la Pivetti impartiva una lezione al più schierato dei tele-predicatori berlusconiani. E che su quel provvedimento si formava per la prima volta una nuova maggioranza. La maggioranza detta appunto del «ribaltone». Ecco, a quel punto, la presi¬ dente della Camera, giovane, bella, perigliosamente mediagenica, cattolica, leghista per incarico al di sopra delle beghe interne, già fautrice di un «governo costituente», in ottimi rapporti con Scalfaro e recentemente scoperta e apprezzata da tutta una sinistra post-comunista e liberaleggiante alla Micromega, ecco, a quel punto la Pivetti raggiungeva probabilmente l'apice del suo successo politico, ma intensificava - per quanto possibile - lo sforzo di sottrarsi, celarsi: non una parola, non un sospiro, niente. Sparire bene, come si sa, è un'arte. A questo veniva da pensare ieri sera, al Quirinale, osservando ancora una volta l'aspetto aggraziato e ascoltando le sue puntute messe a punto. I democristiani più illustri e avveduti, da Andreotti, a Fanfani, da Forlani a Cossiga, hanno sempre coltivato con successo l'arte di inguattarsi, per poi riemergere, come se niente fosse, al momento opportuno. E tuttavia, come confermavano quelle impercettibili indecisioni della voce, l'auto-nascondimento è specialità più da vecchi volponi della Prima Repubblica che da ardenti presidentesse della Seconda. Fermo restando che un po' di buio e di silenzio, tra i flash e gli strepiti di una politica che non è mai stata così esagerata, non guasta mai, più che un'astuta ì tecnica la scomparsa di Irene ! sembra in realtà una scelta obi bligata. E forse anche un inve¬ stimento. Nessuno più di lei - che pure a volte si è trovata a sacrificare un ruolo super partes - sperimenta giorno dopo giorno quanto la nuova politica ha dissolto il mito delle figure arbitrali o di garanzia. Nessuno più di lei, perciò, si trova a camminare, come inesperta acrobata delle istituzioni, su un filo, senza rete e senza nulla alle spalle. Ma soprattutto nessuno più della Pivetti ha quest'arma terribile a doppio taglio che è la popolarità. E' qui, probabilmente, che vanno cercate le ragioni profonde di quell'eclissi, di quell'auto-occultamento che, contro ogni previsione, finisce tuttavia per alimentare la fiammella delia diversità di un nuovo personag¬ gio di cui, con un certo margine di sicurezza, si continuerà a parlare a lungo. Pur dedicando estrema attenzione all'identità - così si chiama la sua rivista - la Pivetti ha e ancora di più è «vissuta» dai media come un personaggio politico che presenta dei problemi di identità. Figlia sicuramente del suo tempo, la collocazione del presidente della Camera prescinde dai vecchi schemi, senza rientrare nei nuovi. Promuove Amato all'anti-trust, attacca la gestione della Rai, però difende il fascismo nei confronti della donna, ce l'ha con il femminismo e via disorientando. Ispira film, la Pivetti, e le dedicano rose, la trovi su Time e sulle riviste di moda, con foto vere e fotomontaggi. Per lanciare libro e disco, Ambra ha spiegato furbetta: «Mi ispiro a lei perché è l'unica donna più famosa di me». Per dire gli effetti bizzarri, nello stesso giorno, tempo fa, L'opinione è uscito annunciando «L'uomo segreto della Pivetti» ed Epoca «la messa segreta», sempre della Pivetti. Mai come nel suo caso la dissoluzione della sfera pubblica è evidente. Tra mariti, separazioni, mamme, papà, vacanze, il «privato» rischia ogni giorno di mangiarsi «il pubblico». Il «governo costituente», a 31 anni, è cosa anche rinviabile. Più difficile è imparare a stare sotto i raggi laser della popolarità. Filippo Ceccarelli i l e l : o . e , e o g Irene Pivetti, presidente della Camera. Sopra. Vittorio Sgarbi, presidente della commissione cultura di Montecitorio Sotto. Ambra Angiolini e l'ex presidente del Consiglio Giuliano Amato