Il Carroccio conta i fedelissimi

Ieri notte il Consiglio federale. Maroni: io non voterò per il governo del presidente Ieri notte il Consiglio federale. Maroni: io non voterò per il governo del presidente Il Carroccio conta i fedelissimi Ultimatum di Bossi ai dissidenti: vi espello ROMA. Alle tre del pomeriggio, quando s'incontrano a Montecilorio, Umberto Bossi perde calma e ottimismo. Brutto segno, pessima giornata in vista (e andrà proprio cosi). «Roberto, guarda che non è possibile continuare così, il tempo è scaduto e non possiamo lasciare Scalfaro nell'incertezza». Roberto Maroni lo sa, eccome se lo sa. Alle sette del mattino l'aveva svegliato proprio Scalfaro: «Caro ministro, ho letto i giornali e c'è qualcosa che non mi torna...». E sono i numeri, i «dissidenti», i «maroniani». Per cominciare, si può sapere una volta per tutte quanti sono? Per finire, come diavolo voteranno? Scalfaro e Bossi, stessa preoccupazione, se non peggio. E Bossi con una gran fretta addosso. «Basta Roberto. Tu continui a mediare, a discutere, a tenerli insieme. Ma il tempo è scaduto e io sono il segretario della Lega. 0 con me o con Berlusconi. O con il governo dei Presidente o fuori dalla Lega. Siamo un partito, mica un club di liberi pensatori». Maroni ascolta, si tortura un minuscolo Albertino da Giussano d'argento che si è messo all'occhiello: «Umberto, l'altra sera in tv hai detto che la Lega compatta avrebbe votato il governo del Presidente, hai detto che l'avrei votato anch'io e hai sbagliato». In questa mezz'ora, a Montecitorio, la Lega si è giocata buo- na parte del futuro. Maroni spiega, media ancora una volta e forse sarà l'ultima. «Riunisco i dissidenti in serata. Dopo averti visto in tv mi hanno telefonato. Aspettiamo questa riunione e vedremo cosa succede». Ma Bossi non ci sta, non ci può stare: «Non c'è tempo, non c'è tempo». La riunione è anticipata alle cinque del pomeriggio, ma a Bossi non basta. «Guarda che per stasera ho convocato il Consiglio federale. Dirò che chi non vota il governo del Presidente, chi non rispetta impegni, statuto, programmi e linea politica lo sbatto fuori!». Alle cinque del pomeriggio i «dissidenti» arrivano all'ex Albergo Bologna e scoprono che la riunione è stata spostata al Palazzo dei Beni Spagnoli, dove hanno gli uffici i senatori leghisti. Arrivano e già sanno. Marcello Lazzati, deputato di Legnano: «Sbatterci fuori? Sicuri che sia nei poteri del segretario e del consiglio federale?». Romano Filippi, manager vicentino: «Se Bossi ha queste intenzioni vuol dire che non ha più argomenti politici». Arriva Enrico Serra, sindaco mancato di Genova: «Tanto io non ho problemi, ho sempre vissuto del mio e mal che vada torno a fare il presidente del circolo velico». Chi fa la faccia feroce, come il sottosegretario Mauro Polli: «Ma non l'avete ancora capito che Bossi è uscito di senno?». Resistenza. Chi entra con un sorriso e senza una parola, come Luigi Negri, il portavoce dei «dissidenti», da tre giorni ex segretario della Lega Lombarda. Anche Maroni entra senza una parola, e senza un sorriso, e alle cinque e mezzo la riunione può cominciare. Umberto Bossi, da Montecitorio, aspetta notizie, un segnale, una telefonata. Passa un'ora e niente, due ore e niente, e così fino alle nove di sera. Quando Bossi dà il primo colpo: «La Lega è contraria a chi strizza l'occhiolino a Berlusconi!». Mezz'ora più tardi, dal Palazzo dei Beni Spagnoli, esce Luigi Negri, il portavoce: «Abbiamo riconfermato la nostra fiducia in Roberto Maroni, non abbiamo preso nessuna decisione e ci siamo riconvocati». Per oggi pomeriggio, altra riunione alle 17. Erano 21 deputati e 15 senatori. Ancora Negri: «Abbiamo considerato tutte le ipotesi, senza tuttavia arrivare ad una espressione di voto. Sarebbe stato vel¬ leitario su ipotesi incerte. Aspettiamo novità da Maroni». Conclusione: «Ora Bossi e Scalfaro sanno quanti siamo. Le posizioni tra noi sono diverse e Maroni rappresenta tutti». Resistenza continua. Mandato avanti Negri, Maroni se n'era uscito dalla porta carraia. Silenzio. Eppure, in mattinata, con una certa sicurezza aveva previsto un finale ben diverso: «Questo è il momento delle decisioni e delle posizioni chiare e nette, non è il momento degli equilibrismi». Cos'abbia mutato il corso maroniano della giornata non si sa. A meno di dar credito alla voce, smentita («Un bluff») dal capogruppo Petrini, di 30 fax leghisti inviati al Quirinale. Testo presunto: noi non voteremo il governo del Presidente. «Impossibile - contesta il deputato Maurizio Menegon - li ho contati io i 70 fax con il sì!». Alle dieci di sera, con calma. Bossi torna a Montecitorio reduce da una comparsata su Te- lemontecarlo. Calma, ma senza più ottimismo. Al Quirinale Scalfaro ha incontrato Pivetti e Scognamiglio, il rinvio del governo Berlusconi alle Camere «è una delle ipotesi». Petrini ci prova: «E' un bluff!?». Ma Bossi comincia a pensare che sia l'ipotesi, l'unica, la peggiore. Lo aspettano i generali del Consiglio Federale. «Roberto si è fatto sentire?», domanda alla segretaria. No, manco una telefonata. Quando Bossi chiude il Consiglio Federale è mezzanotte. Maroni non ha chiamato. «Chi non vota è fuori dalla Lega». Leghisti avvisati... Giovanni Cerniti A lato, il ministro dell'Interno Roberto Maroni, capo dell'ala dissidente della Lega. A destra, il segretario del Carroccio, Umberto Bossi

Luoghi citati: Bologna, Genova, Giussano, Legnano, Roma