Coppi ultimo tradimento di Giorgio Calcagno

Gaffes e tappe inesistenti nel libro che ispira il film in tv Gaffes e tappe inesistenti nel libro che ispira il film in tv Coppi, ultimo tradimento Una biografia fatta di errori f*\OME E' bello, si toma a I 'parlare di Coppi. Com'è I brutto, non si ricorda li quasi più niente di lui. AdJ Scrivere di Coppi è sempre bene, per le generazioni che non lo hanno conosciuto. Sbagliare su Coppi è sempre male, per tutti. Il campionissimo ha avuto tanta sfortuna, in vita, che avrebbe diritto almeno a un poco di rispetto, post mortem. A Castellarmi, dove non vive quasi più nessuno con il suo cognome, arrivano ancora i grandi del pedale, depositano sulla sua tomba maghe rosa, gialle, iridate. Ma nella storia del ciclismo, dove vive a grandi lettere il suo nome, i nuovi biografi sono meno interessati ad avventurarsi. A loro interessa la dama bianca, il fumetto sentimentale che ha coinvolto, e sbriciolato, due famiglie nel triangolo fra Tortona, Novi e Varese. Mentre tutti ricordiamo, a 35 anni di distanza, quel triste gennaio 1960, quando il quarantenne corridore morì per una malaria non diagnosticata, la tv annuncia il film «Il grande Fausto», di Alberto Sironi, con la sceneggiatura di Giuseppe Domatore. Sappiamo che il protagonista sarà Sergio Castellino, accanto a Omelia Muti, nel molo della povera Giulia Occhini. E non sappiamo quasi altro. Nell'attesa del programma gli appassionati di ciclismo non hanno pregiudizi e quindi temono il peggio - la Eri, editrice della Rai, ci offre un antipasto con un libro che dovrebbe suggerirne il percorso. Si intitola «Il grande airone», lo ha scritto Giancarlo Governi, «consulente storico» del regista e già autore di testi su Tòtò, Sordi, Anna Magnani, Stantio e Ollio. L'immagine dell'airone è ripresa da Orio Vergarli, che iniziò il necrologio di Coppi con la frase «Il grande airone ha chiuso le ali». Ma la poesia si ferma lì. Nella prima pagina, anziché l'uomo che vola, c'è già la signora Occhini, che fa il gesto dell'ombrello a Fiorenzo Magni in corsa, e provoca un furioso inseguimento a Fausto Coppi in fuga. fino a fargli perdere l'ultima sua grande possibilità di vittoria: il Giro di Lombardia 1956, a 37 anni. L'episodio probabilmente è vero anche perché attestato da altre fonti. Ma non sappiamo se credere a tutti i racconti successivi, infiorati come sono da una incredibile serie di errori. Si direbbe che questo libro non lo abbia letto nessuno, prima di mandarlo alla stampa, nemmeno l'autore. Altrimenti non ambienterebbe tre volte lo stesso episodio in tre luoghi diversi, sbagliandoli tutti e tre: come la famosa crisi del Tour 1951, dove Fausto, distratto nel morale dalla perdita del fratello Serse, subì la più pesante sconfitta da Hugo Koblet. A pagina 148 si parla di una tappa con arrivo a Montpellier, che a pagina 153 diventa Briancon e a pagina 198 SaintMalo. La tappa era in effetti la Carcassonne-MontpeUier, ma non era la prima di montagna, come l'autore scrive. Veniva dopo i Pirenei ed era considerata di trasferimento verso le Alpi, con qualche saliscendi, divenuto fatale al nostro campione. Anche su Briangon le idee non sono molto chiare: a pagina 149 è luogo di vittoria, quattro pagine dopo di sconfitta. Fu vittoria, non sfolgorante; ormai Coppi era fuori classifica, nessuno voleva infierire su lui, rubandogli quella soddisfazione. Non sono gli errori più gravi del libro. Nella ricapitolazione finale i lettori possono apprendere, esterrefatti, che Fiorenzo Magni vinse il Giro d'Italia 1948 perché «spinto sulle salite dei Pirenei». Era il Pordoi, come abbiamo letto a pagina 118. Alcune gaffes sono divertenti: come il dialogo fra Bartali e il suo gregario Corrieri nel Giro d'Italia 1946. Un dialogo che non si potè svolgere perché Corrieri, quell'anno, era gregario di Bizzi, nella Viscontea. Per fortuna degli sceneggiatori televisivi, arriva il mondiale del 1953, a Lugano, con la dama bianca che è già in attesa sul podio e Coppi che s'invola sulla sa¬ lita della Cresperà: luogo diventato mitico, quasi come il Pordoi, per gli amanti del ciclismo; che sobbalzeranno un po', qui, leggendolo scritto due volte «Crespare ». Non sappiamo, davvero, cosa potrà uscire fuori dal film. Nell'incertezza, grazie a chi ha voluto ristampare, quattordici anni dopo, «Coppi e il diavolo», di Gianni Brera (Baldini e Castoldi). Lì c'è Brera, con tutti i suoi vezzi, i suoi grumi linguistici, la sua passione padana. Ma c'è, vivo, dalle dure origini contadine al finale tragico in ospedale, il vero Coppi. Giorgio Calcagno Poco interesse per il ciclismo e molto per la Dama Bianca, per il fumetto sentimentale che sbriciolò due famiglie Fausto Coppi in gara sfodera la sua mitica pedalata Sotto il titolo il «campionissimo» con la Dama Bianca. Sotto Fiorenzo Magni

Luoghi citati: Castellarmi, Italia, Lombardia, Lugano, Ome, Varese