Procure in guerra sui pentiti

«Averli in casa spesso rende, è come vincere la lotteria di Capodanno» «Averli in casa spesso rende, è come vincere la lotteria di Capodanno» Procure in guerra sili pentiti Vigna: uno scandalo come i falsi invalidi ROMA. A sentire il procuratore di Firenze, Piero Luigi Vigna, il fenomeno dei pentiti rischia di diventare ben presto qualcosa di simile alla scandalo dei falsi invalidi. «In Campania - dice il magistrato - si è arrivati a chiedere la protezione per 140 familiari di un collaboratore. In certi casi avere un pentito in casa è una Befana, è come vincere la lotteria di Capodanno. Si tratta di cifrette minime per una persona, ma che moltiplicate per cinque o sei persone diventano superiori al mio stipendio». Anche per questo, e per evitare degenerazioni, spiega Vigna, è necessario quel decreto ministeriale che introduce nuove regole nella «gestione» dei pentiti, decreto firmato dal ministro dell'Interno al quale lo stesso procuratore di Firenze ha collaborato. Ribatte il procuratore aggiunto di Napoli Paolo Mancuso, responsabile della Direzione distrettuale antimafia, inviato dal procuratore Cordova a spiegare presunte illegittimità e severe critiche del decreto: «Il caso citato dal collega Vigna riguarda un collaboratore di primario rilievo, cui sono stati già uccisi la madre, una sorella, due cognati ed altri parenti meno vicini. Che dovevamo fare? Noi ci limitiamo ad inviare alla commissione competente l'elenco dei congiunti, non possiamo non segnalare un pericolo concreto; spetta ad al- tri valutare se e chi proteggere. La verità è che questo nuovo regolamento è destinato a creare dei veri e propri sconquassi, conflitti insanabili e dannosissimi tra autorità giudiziaria e pubblica amministrazione. Per di più è illegittimo, e noi non l'applicheremo». Il botta e risposta avviene durante le cinque ore di audizione sul nuovo regolamento in materia di «collaboratori di giustizia» davanti alla Com¬ missione Antimafia, interventi a catena dei magistrati più impegnati nella lotta alle cosche convocati perché dicessero la loro su una normativa voluta dal nuovo governo e fonte di contrasti, si scopre ora, anche tra gli stessi magistrati. Il punto più controverso è la cosiddetta «dichiarazione d'intenti» con la quale il pentito, per ottenere la protezione, deve comunicare alla commissione ministeriale di che cosa in¬ tende parlare, quello che sa sui fatti «di maggiore gravità e allarme sociale» e sui latitanti da arrestare. Ma un giudice come Vigna non ci sta a prendersi la paternità di un «decreto ammazzapentiti», e replica: «Polizia, carabinieri e Dia erano d'accordo, e né loro né i magistrati che vi hanno collaborarlo, hanno voluto fare un decreto ammazza-pentiti. I problemi esistono e non riguardano solo città co- me Napoli o Palermo. I programmi di protezione sono stati richiesti anche dal procuratore di Pordenone per uno che spacciava 25 grammi di hashish e che ba parlato di altri due spacciatori. E' mai possibile?». Rispondono - «senza contrapposizione e con spirito costruttivo», ci tengono a sottolineare per evitare che si parli di contrasti tra procure - i magistrati di Palermo, con il procu¬ ratore Caselli, l'aggiunto Lo Forte e il sostituto Ingroia: «La "dichiarazione d'intenti" è inutile e dannosa. Ci sono concreti rischi che il nuovo regolamento provochi contraccolpi negativi sul fenomeno della dissociazione. Agli occhi dei collaboratori e di coloro che oggi stanno valutando l'eventualità di una dissociazione da Cosa Nostra, la sua applicazione può rendere il futuro più incerto e la collaborazione meno allettante e più irta di difficoltà». Insomma, finiranno i pentiti, e con loro sarà spuntata la principale arma per lo scardinamento definitivo della mafia. Sembrano pensarla così anche i giudici di Torino e Milano. Il procuratore aggiunto torinese Marcello Maddalena spiega che se non si decide di potenziare il Servizio centrale di protezione, «non ci sarà bisogno d'altro per estinguere il pentitismo». E il responsabile dell'Antimafia a Milano, il procuratore aggiunto Minale, annuncia che pure il suo ufficio non obbedirà ai dettami del nuovo regolamento. Per il procuratore di Caltanissetta, Tinebra, invece, grossi problemi non ce ne sono, un'idea condivisa dal Superprocuratore Siclari, che però annuncia: «Per ora si continuerà come prima, poi vedremo se è il caso di fare delle modifiche». Giovanni Bianconi Cordova: il decreto è illegittimo. Viola il segreto d'indagine Non lo applicheremo Il magistrato capo di Napoli: pochi mafiosi saranno disposti a collaborare ancora in futuro Il giudice fiorentino: il regolamento serve anche a evitare infiltrazioni di emissari di Cosa Nostra A sinistra, Piero Luigi Vigna Accanto, Agostino Cordova