«Noi continuiamo a lavorare con Eltsin» «Christopher: perchè stiamo con lui»

«e' importante sostenere le riforme e i riformisti in Russia, confrontandosi sulle divergenze» IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO «e' importante sostenere le riforme e i riformisti in Russia, confrontandosi sulle divergenze» «Noi continuiamo a lavorare con Eltsin» Christopher: perché stiamo con lui Signor Christopher che cosa risponde a chi dice che l'Amministrazione Clinton sia ormai un'«anatra zoppa» (slang: impossibilitata ad agire) dopo la disfatta del partito democratico alle elezioni parlamentari, e che pertanto sul piano internazionale, specie in Medio Oriente, la sua azione diventerà irrilevante? «La mia risposta è che il presidente Clinton resterà in carica per altri due anni. In passato egli ha già dimostrato straordinarie capacità di recupero. Quando gli parlo lo trovo fiducioso e pieno di iniziativa. Ma la cosa che tengo in particolare a sottolineare, la più importante di tutte, è che in Usa il sostegno politico riguardo a grandi questioni com il processo di pace in Medio Oriente è bipartitico. Il sostegno a Israele è bipartitico. Perciò ò fuori questione che Clinton sia una "anatra zoppa". Non colgo alcun calo di interesse in America verso la pace in Medio Oriente a seguito delle elezioni di novembre. E' capitato di frequente che il partito al potere venisse penalizzato dalle elezioni di medio termine». Ha una strategia per conseguire un accordo fra Israele e Siria prima delle elezioni che si terranno tanto in America quanto in Israele nel 1996? «Le due scadenze elettorali sono sufficientemente lontane. Credo che il 1995 sarà un ottimo anno per i negoziati». Che impressione le ha fatto il presidente Assad? «E' un uomo molto intelligente, abilissimo, una specie di laser nel penetrare le questioni che affronta. Lo conosco so- prattutto come controparte negoziale, sedendo a un tavolo davanti a lui quattro-cinque ore per volta. Conosco le sue qualità. E so che è seriamente impegnato nel processo di pace». Da quando Arafat ha firmato la dichiarazione di princìpi con Israele nel settembre 1993 alla Casa Bianca, come le sembra che sia cambiato, come leader e come essere umano? «Si è reso conto che la leadership richiede una costante attenzione al dovere. Ha capito che deve imparare a delegare di più, e che bisogna prestare attenzione a quello che dicono le istituzioni finanziarie occidentali. Quando era solo un leader rivoluzionario non doveva seguire tutte le convenzioni e le procedure comunemente accettate a livello di stati, mentre ora si trova a essere il capo di un'entità in cerca di prestiti dalle istituzioni internazionali, per cui deve rendere conto delle sue iniziative finanziarie. Il bisogno di posti di lavoro a Gaza e a Gerico ha fatto capire ad Arafat che gli serve il sostegno dell'Occidente, per cui nomina alle posizioni di responsabilità persone idonee a trattare con i banchieri». Passiamo a un'altra crisi. Mentre è in corso la guerra in Cecenia, come valuta le relazioni russo-americane? «I nostri rapporti con Mosca sono ad ampio raggio e assai complessi. Guardiamo alle tante questioni riguardo alle quali abbiamo lavorato insieme: ad esempio il ritiro delle truppe russe dal Baltico, che è avvenuto nei tempi previsti e con la mediazione americana, l'accordo trilaterale Usa-RussiaUcraina per smantellare le atomiche di Kiev e la politica di pace in Medio Oriente. E' importantissimo sostenere le riforme e i riformisti in Russia. A Mosca c'è un governo con cui gli Stati Uniti hanno la possibilità di lavorare, confrontandosi sui temi su cui ci sono divergenze, e perseguiamo questa politica con vigore». Come valuta i progressi della Russia di Boris Eltsin verso l'economia di mercato? Crede che la fase peggiore della transizione sia ormai alle spalle? «Continuiamo a lavorare per integrare la Russia nelle strutture del mercato globale. Il processo di riforma in Russia è a lungo termine, e ci saranno dei temporanei passi indietro lungo la strada. Il successo dipenderà in ultima analisi dagli sforzi del popolo russo stesso. Ma noi americani e il resto della comunità internazionale dobbiamo fare quel che possiamo per aiutarlo. E' perciò che abbiamo mobilitato la comunità internazionale per intraprendere un vasto sforzo di assistenza alla Russia. Assieme ai partner del G-7 abbiamo ri¬ scadenzato il pagamento dei debiti di Mosca, cosicché le riforme non vengano schiacciate dal peso del debito sovietico; abbiamo creato una nuova linea di credito del Fondo monetario internazionale specificamente pensata per sostenere i Paesi in transizione; e finanziato un fondo di 3 miliardi di dollari, il Programma speciale per la privatizzazione, per sostenere la transizione economica a livello di impresa». Un'altra crisi: la Bosnia. Quali conseguenze avrà sul futuro dell'Alleanza atlantica? «La crisi bosniaca riguarda la Bosnia, ma la Nato è qualcosa di molto più rilevante e duraturo della crisi bosniaca. Credo che la Nato sopravviverà a questo problema e che si dimostrerà ancora vigorosa e utile in futuro». Ma perché la Nato si è mostrata così inefficace nel fermare l'aggressione alla Bosnia? «La ragione fondamentale è che la Nato non è libera di intraprendere le azioni che vuole. Agisce solo quando glielo chiedono le Nazioni Unite. E il comando militare dell'Onu si preoccupa soprattutto dell'incolumità delle truppe al suolo. La Nato si è comportata in modo superbo ogni volta che le è stato chiesto di fare qualcosa imporre la zona di esclusione aerea, verificare il rispetto dell'embargo, condurre attacchi aerei quando necessario. Ma il fatto è che può agire solo dietro richiesta». Trude B. Feldman Copyright «Trude B. FeldmanInternational Press Syndicate» e per l'Italia «La Stampa» «Certo ci saranno temporanei passi indietro sulla strada dell'integrazione» «Ma dobbiamo aiutare il popolo russo per questo abbiamo mobilitato il mondo» A sinistra il segretario di Stato americano Warren Christopher durante un intervento al Senato Qui accanto un incontro tra Clinton e Eltsin