DIARIO DI MOSCA «scusi i diritti umani? e il presidente sorrise»

=1 DIARIO DI MOSCA =1 «Semi, i diritti umani?» e il Presidente sorrise MOSCA ^/ ERGHEI Kovaliov forse prenderà il premio Nobel per quello che ha fatto in Cecenia per difendere i diritti umani. Non credo che gliene importi molto. Ha l'aria malinconica e desolata di chi vede l'evidenza ma si accorge di vivere in mezzo alla menzogna. Nella breve conferenza stampa ha detto ai giornalisti che Graciov, il ministro della Difesa, è «una canaglia». Poi, rendendosi conto che quell'aggettivo poteva essere urbanamente censurato dagli astanti, li ha esortati a non farlo: «Vi prego, riferite che ho proprio detto così: una canaglia». Non l'ho più visto da allora. Ho saputo che, dopo l'incontro con il Presidente, è tornato a Grozny, per fare da bersaglio alle bombe russe insieme ai ceceni. Ma il suo racconto dell'incontro con Eltsin mi è rimasto impresso. Per la laconica, raffinata e insieme desolata precisione con cui ha descritto quei 49 minuti di colloquio. Anzi, di «quasi monologo». Ha forse schiacciato - intuisco - il tasto del cronometro. La faccenda gli dev'essere sembrata importante, ai fini della storia. Ogni secondo muore qualcuno, laggiù. Ha parlato quasi sempre lui. Aveva di fronte, si evince, una maschera. Infatti ha riferito ai giornalisti quasi soltanto il mutare dell'espressione del viso del Presidente. Che era, dice Kovaliov, «a tratti inquietante». E quando gli ha detto che l'informazione ufficiale è «una bugia, dalla prima all'ultima parola»? L'espressione della maschera è parsa «molto scontenta». E qual era l'umore del Presidente mentre si sentiva raccontare che gli acrei russi bombardano la popolazione civile anche dopo le ripetute e solenni dichiarazioni del Presidente che i bombardamenti dovevano cessare? «L'umore era pessimo». E l'espressione del viso? «Meditabonda e irritata». Se fosse irritata per il contenuto delle cose che gli diceva Kovaliov, o per l'insofferenza di sentirsele dire, non è stalo chiarito. Serghei Kovaliov non poteva saperlo. La maschera non sarebbe tale se esplicitasse il significato delle sue smorfie. Ma l'essenziale del racconto è appunto la maschera. Il Presidente avrebbe potuto scegliere di accogliere a male parole il suo «plenipotenziario per i diritti umani». Avrebbe potuto investirlo con le ferree ragioni della politica, della salvaguardia dell'integrità dello Stato. Avrebbe potuto tuonare in nome della patria in pericolo, accusarlo di disfattismo. Avrebbe infine potuto battere il pugno sul tavolo e mandarlo a quel paese in nome della realpolitik, che non ha nulla a che fare con i nervi deboli, i sentimentalismi, le pruderie garantiste. Avrebbe infine potuto ripetergli in faccia quello che aveva già detto durante una riunione del Consiglio di Sicurezza; «Ma cosa vuole ora da me, signor Kovaliov, visto che lei ha taciuto per tante altre violazioni dei diritti umani che sono stato costretto a compiere in questi anni? Anzi lei ha perfino applaudito quando, per esempio, ho bombardato il Soviet Supremo». Niente di tutto questo. Eltsin ha soltanto messo in moto, a tratti, alcuni muscoli della sua faccia. Alla fine ha ringraziato. Ha detto a Kovaliov, congedandolo, al quarantanovesimo minuto, che «il suo punto di vista era stato compreso e sarebbe stato utilizzato». Compreso non significa condiviso. Utilizzato non significa attuato. Anche gli oracoli dell'antica Grecia usavano gli stessi sistemi. Alludevano, lasciando aperto il campo alle interpretazioni, rispondevano alle domande con indovinelli, tendevano - come la Sfinge - tranelli mortali. L'ambiguità era il loro segreto Giuliette Chiesa ìsaj

Persone citate: Eltsin, Giuliette Chiesa, Graciov, Kovaliov, Serghei Kovaliov

Luoghi citati: Cecenia, Grecia, Grozny, Mosca