Quel super-magistrato che torna dalla preistoria di Filippo Ceccarelli

Quel super-magistrato che torna dalla preistoria DELLA CRIS Quel super-magistrato che torna dalla preistoria ROMA A Ferri chi, quello dei 110 all'ora? E no, per favore, è sempre socialdemocratico, ma non è quello dei 110. Quello ha la barba e si chiama Enrico. Questo si chiama Mauro e ha i baffi. 0 almeno: li aveva, i baffi. Sì, due baffetti neri neri alla D'Alema. Chissà se ce li ha ancora, saranno passati vent'anni, anche più... Peccato che ieri, in un accesso di severità prussiana, o di fobia pannelliana, al palazzo della Consulta non abbiano lasciato entrare i giornalisti. Avrebbero potuto verificare, se non altro, questo particolare dei baffi di Ferri. Per cui adesso è difficile, molto difficile anche soltanto immaginare il volto del giudice incaricato di svolgere la relazione sull'ammissibilità del referendum più importante che richiede l'abolizione della quota proporzionale nelle elezioni alla Camera. Che non è, appunto Enrico, «quello dei 110», bensì Mauro Ferri, classe 1920, il cui aspetto dimenticato tanti e tanti anni orsono riemerge a fatica - e a sorpresa, pure - dalla polvere dell'archivio fotografico, da una vecchia edizione della «Navicella)) 1972 e a quel punto, forse, anche dal sottofondo della memoria. Bene, con tutto che l'iconografia è ben ferma a un signore accigliato e ancora bruno, sulla cinquantina, vale giusto la pena di osservare che se la crisi di governo si scioglie o s'avvita, se le elezioni slitteranno o meno, dipende anche un po' dall'impostazione dell'illustre relatore su quel referendum. Cosa pensi a riguardo Ferri non è dato di sapere. Il personaggio, riconoscono quasi tutti, è equilibrato. Né, d'altra parte, sarebbe giusto attribuirgli a priori - e neppure a posteriori - la responsabilità di una scelta che riguarda la Corte Costituzionale nella sua interezza. Quel che può determinare, semmai, un certo struggimento è l'anacronismo, l'a-temporalità, la sospensione nel vuoto con cui la Corte affronta le sue questioni, che poi non sono soltanto le sue. Perché magari Pannella esagera, con le sue reiterate virulenze sui giudici liberticidi, sulla Consulta «cupola mafiosa del sistema partitocratico». E tuttavia, senza mancare di rispetto, la presenza di Ferri, il suo ruolo, il saporino di questa inconfondibile madelainette da Prima Repubblica, danno la misura di come procede a rilento il cambiamento. E di quanto, pur attraversata da mille contraddizioni, la società politica sia parecchio più avanti della Corte, ferma alle soglie della notte arcaica. Non pare infatti un semplice caso di longevità politica. Il punto è che con Ferri siamo un po' oltre al classico: «Toh, guarda chi si rivede!». Sul serio il personaggio ha dato il meglio di se stesso alla metà degli anni Sessanta. A parte i vecchi archivi e le «Navicelleii sgualcite, senza considerare il fatto che i giudici della Consulta non sono mai dei ragazzini e nonostante l'inesistenza di soluzioni e procedure alternative, ecco, fa comunque impressione pensare che l'ex segretario del psu (poi psdi) e altri come lui abbiano voce in capitolo su una richiesta che vorrebbe mettere una pietra sulla più consolidata abitudine elettorale degli italiani: la proporzionale. Avvocato, funzionario di partito ad Arezzo negli anni morandiani, Ferri si è conquistato qualche paragrafo nella storia del movimento socialista. Fu infatti alla guida del psi all'indomani dell'unificazione. Condizionata da Tanassi e Mancini, la sua maggioranza disponeva di un misero 53 per cento che non gli permise neanche di impostare una leadership. E nel luglio del 1969, dopo la sconfitta elettorale, all'apice della guerriglia interna, contribuì a liquidare con l'ennesima scissione «quel mostruoso organismo bicefalo - così lo storico Arfè - retto dalla legge della reciproca diffidenza». Da socialista che era, come Pietro Longo, si fece socialdemocratico. Per il psdi fu anche, brevemente, ministro dell'Industria. E forse se lo sarebbe pure risparmiato se appena si considerano i guai giudiziari nei quali Ferri - poi del tutto assolto nonostante gli sforzi del suo attuale collega alla corte Ugo Spagnoli - inciampò ai tempi del primo, preistorico scandalo dei petroli, quando gli italiani cominciarono a sentirsi anche un po' presi in giro da quei bizzarri nomi di conti correnti: «Carrozzone», «Pupetta», «Mariolina», «Nanda». Un incidente che in ogni caso non gli impedì di diventare prima membro del Csm e poi, su nomina di Cossiga, garante di una complicatissima lottizzazione (alla Corte scadeva La Pergola, e al Csm sempre per il psdi bussava Reggiani) alla Consulta. Ancora: il personaggio non è peggio di tanti altri. Però non è mica facile da spiegare a uno che venisse dall'estero perché proprio lui, ancora oggi, è a quel posto. Ferri chi? Ci si chiedeva ieri in sala stampa. Ed escluso che si trattasse di «quello dei 110», a qualcuno pareva di ricordare che era una poetica vittima di Fortebraccio. Questo sì un titolo di merito. Poiché, scriveva il corsivista dell'Unità «non si può mai dire che cosa sia capace di fare, preso dall'entusiasmo, l'on. Mauro Ferri, gran fritto mare». Forse proprio per via della faccia. Fortebraccio l'accostava, meglio l'abbinava ossessivamente al cibo. «L'cn. Ferri, che salutiamo anche per espresso mandato di tutti i salumai d'Italia», «Ieri ho visto Ferri, seminascosto da una porzione d'abbacchio», oppure «trifolato», «abbronzato, addirittura negronetto». «Quest'uomo che con la sua incessante domanda fa rincarare il vitellone», «questo socialdemocratico sulla cui bandiera invece del sole nascente splende una mortadella». «Lasciate, compagni che Fortebraccio saluti con emozione il rientro fra i tegami dell'on. Ferri, cuscus». Filippo Ceccarelli Il relatore è Mauro Ferri ex segretario psdi vittima di Fortebraccio A destra: il giudice costituzionale Mauro Ferri A sinistra: Marco Pannella

Luoghi citati: Arezzo, Italia, Roma