Sculture antiche per oscurare la Venere

Sculture antiche per oscurare la Venere Al Museo Barbier-Mùller di Ginevra la più autorevole raccolta privata di reperti cicladici Sculture antiche per oscurare la Venere Snobbate da secoli, le rivalutarono gli artisti di Montmartre GINEVRA E' un aneddoto significativo, che misura la temperatura della sensibilità d'avanguardia inizio-secolo (sono gli anni delle Démoiselles d'Avignon, del culto esotico di Gauguin, delle scolpite donne-metopi di Modigliani). Vlaminck, che è forse il temperamento più avventuroso ed avventato del gruppo di Montmartre, ha acquistato in un caffè parigino una maschera africana e gira la città, ostentando teatralmente quel trofeo trasgressivo: «E' bella quasi come la Venere di Milo)), provoca gli amici più benpensanti. Ma s'imbatte presto in André Derain, che non ha dubbi. «Quasi? Altrettanto bella». Non hanno però fatto i conti con Picasso, che entra subito in scena, per superarli. (Altrettanto? Ma è più bella della Venere di Milo!)). E' stato necessario comunque attraversare questo filtro eversivo dell'essenzialismo novecentesco per accettare quelle che oggi ci paiono dei capolavori assoluti di purezza e di concentrazione espressiva, quelle magiche statuette cicladiche, d'epoca neolitica, a forma di violino o di idolo semplificato, che soltanto alla fine dell'Ottocento erano giudicate «goffe ed inespressive», oppure «particolarmente barbare», secondo Thiersch. E dire che quello dell'arte cicladica rappresenta forse in assoluto il primo «capitolo» della storia dell'archeologia: perché furono proprio gli ateniesi, nel 426 a.C, a scoprire questi radimentali simboli di devozione, e a tentare d'interpretarli, in base anche ai misteriosi corredi funerari trovati nelle tombe disseminate su queste isole poste in cerchio (kyfctos) intorno a Delo. Possiamo capire, nel 1770 winckelmanniano, le reazioni sconnesse di Pasch van Krienen, che si vede consegnare questi frammenti dai contadini locali e che si domanda se non si tratti di ciottoli levigati dal mare, quel pacifico Egeo su cui «i rematori battevano l'oro del mare in pieno crepuscolo», come canta Seferis. I musei li collezionano dal 1830, ma non li apprezzano. In una Storia dell'Arte dell'Antichità, 1894, si legge: «La fattura di questi idoli è di una pesantezza e di un'ingenuità che oggi fanno sorridere». Oggi, per fortuna, il gusto è mutato e si resta letteralmente incatenati di fronte al fascino ipnotico di questi piccoli, formidabili concentrati di tensione bianca e di lucentezza segreta. La giustamente celebre collezione del Museo BarbierMùller di Ginevra (ricca di arte africana, oceanica, d'Indonesia) può vantare la più autorevole raccolta privata d'arte cicladica, come rivela quest'eccezionale mostra che in febbraio raggiungerà StEtienne. Eccezionale mostra, perché insieme ai più noti esemplari di statuette a liuteria o alle Veneri dalle braccia conserte (ma teniamo conto che di alcuni prototipi non ne esistono al mondo che una scarsa decina di «pezzi») insegue pure l'ancor più raro universo di veneri steatopigie dell'Anatolia. Cioè quelle figure tozze, dall'adiposità abnorme di glutei e cosce, quasi prive di gambe, con i piedini incisi nella pietra subito a ridosso del pube ben triangolato, che rappresentano probabilmente degli idoli di fertilità. Grandi Madri simbolo dell'agricoltura che muore e rinasce. Ma basterebbero certi Bicchieri troncoconici di Samo, dalla purezza insuperabile e certi Kandila panciuti dalla misteriosa espressività d'un volto rostrato a dire il miracolo abbacinante di questa civiltà cicladica per noi davvero misteriosa (siamo tra il 4800 avanti Cristo e il 2000 del Medio Bronzo). Non sappiamo nemmeno la funzione di questi catafratti meteoriti dall'uso inesplicabile: non si può sapere con certezza se queste bambole di marmo erano dei giocattoli, come ritiene debolmente qualche etnologo, o idoli-amuleti, perché non sappiamo nemmeno se questi popoli pre-micenei, dediti forse alla pirateria, come vuole Tucidide, avessero una religione. Possedevano dei Re, degli eroi? (esistono an¬ che statuette maschili, nude ed armate). Forse dei demoni apotropaici, per propiziare il parto, forse dei compagni di viaggio, durante il trapasso (credevano nella reincarnazione?). E' mdubbio che certi segni geometrici, astratti, certe striature che fasciano il corpo delle statuette e che oggi c'incantano, oltre a far pensare a tatuaggi e scarificazioni, suggeriscono anche l'ipotesi di pieghe cutanee post-natali. Ma anche a costo d'esser redarguiti dall'egittologo Zimmermann che firma la monografia Armonie di marmo sono dettagli trascurabili, a fronte di un'ammirazione estetica che ha scarsi rivali. Si ha anzi l'impressione che l'arte moderna, dei Giacometti, dei Moore, dei Brancusi che adoravano queste opere, potrebbe anche non esistere, di fronte a simili assoluti risultati. E lo conferma Picasso stesso: «Certe volte mi capita di pensare che ci sia stato un piccolo maestro delle Cicladi. Più espressivo di Brancusi. Non abbiamo mai visto nulla di altrettanto ridotto all'essenziale». Marco Vallora Realizzate oltre 4000 anni prima di Cristo sono rarissime Due sculture cicladiche esposte al Musée BarbierMiiller di Ginevra: «Poèmes de marbré» a sinistra e, a destra, un volto

Luoghi citati: Anatolia, Ginevra, Indonesia, Milo