PROIBIZIONISMO la crociata della valchiria

Settantacinque anni fa l'America metteva al bando l'alcol: così una donna armata di ascia cambiò la storia del Paese Settantacinque anni fa l'America metteva al bando l'alcol: così una donna armata di ascia cambiò la storia del Paese PROIBIZIONISMO k amati Ma vàÉrn WASHINGTON DAL NOSTRO INVIATO Altissima e robusta nel suo metro e 83 di statura sorretto da quelle gambe dritte e massicce che gli americani chiamano, poco galantemente, «gambe da pianoforte a coda», la signora Carry Nation imbracciò la sua ascia da boscaiolo ed entrò nell'unico saloon del paese di Kiowa, il «Dobson's Bar & Saloon», per scrivere una pagina indimenticabile del XX secolo. Nessuno, in quel paesetto polveroso del Kansas odoroso di letame e di fieno, sospettava quali fossero le intenzioni di quel formidabile donnone, e meno di tutti poteva immaginarlo il povero Lou Dobson, il barista. Lou fece appena a tempo a mormorare un distratto «... Che posso fare per lei signora...», prima che la valchiria della prateria cominciasse a menare tremendi fendenti con la sua accetta contro gli scaffali delle bottiglie, il banco, i tavolini, i biliardi e le sedie. In un fuggi fuggi di clienti terrorizzati e barcollanti, Carry Nation distrusse in pochi attimi quel «luogo di perdizione», quel «vestibolo dell'inferno», quel «covo satanico» come andava gridando con tutta la forza dei suoi capaci polmoni. E quando l'ultima bottiglia fu ridotta in schegge, Carry Nation alzò l'accetta trionfale alta sopra la crocchia dei suoi capelli, come un Unno vittorioso, e proclamò ai paesani che avevano guardato la scena a prudente distanza: «Oggi il Kansas, domani l'America». Aveva ragione. Dai rottami del Dobson's Saloon in un villaggio della prateria partì quella fatale crociata che il mondo avrebbe imparato a conoscere e a temere come «proibizionismo». Tre anni, e decine di bar sfasciati più tardi, il XVIII Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti imposto a colpi d'accetta dalla signora Carry Nation, diventava legge, il 16 gennaio 1920. Settantacinque anni or sono esatti, in un gennaio come questo, l'America metteva al bando la produzione, il commercio e il consumo di bevande alcoliche, inaugurando un decennio di eccessi, violenze, corruzione, criminalità organizzata e soprattutto sbornie bibliche quale la nazione non aveva mai veduto prima nella sua storia. Un decennio che sarebbe passato nella memoria collettiva non già come la decade della Temperanza, secondo i disegni della valchiria con l'accetta, ma come gli «Anni Ruggenti». Ancora oggi, 75 anni dopo, sembra impossibile accettare l'idea che una donna sola, alla testa di un piccolo movimento di astemi, di moralisti, di piagnoni e soprattutto di donne abbia potuto cambiare la storia della società americana. Ma se l'esperimento di ingegneria comportamentistica fallì miserevolmente, producendo gli effetti contrari a quelli desiderati, esso riuscì invece a dimostrare mirabilmente il potere che una piccola, decisa lobby di militanti fanatici può esercitare su una nazione colossale e vacillante sopra i piedi d'argilla del suo puritanesimo. Soprattutto quando è una donna - una madre quella che impugna la frusta del senso di colpa. La storia del proibizionismo americano è dunque una magnifica lezione sulla minaccia che i benintenzionati, i crociati, i Savonarola di tutti i luoghi e i tempi rappresentano per una collettività. E' un esempio mirabile di come non vadano mai affrontati - a colpi di decreti e accetta - i mah sociali che affliggono una società. Certamente, il male - l'alcol - era enorme e la crociata della signora con l'ascia non era una lotta contro mulini a vento. Nell'America che stava completando la sua rivoluzione urbana e industriale, the booze, la bottiglia, era - come ancora oggi - il vero, Grande Satana di tutti i vizi, più della droga. Bottiglia e America erano stati sinonimi, compagni inseparabili, come il cowboy e U suo pony, come il predicatore e la sua bibbia. Alla fine del XDC secolo, il consumo medio per ogni americano adulto era arrivato a 7 galloni l'anno, 28 litri di alcol (oggi, che pure non si scherza, è di 10 litri). Whisky scozzese e whiskey bourbon, rum, gin, birra, vodka diffusa dai marinai russi in California, vino, moonshine (il tremendo «chiaro di luna» distillato illegalmente nelle valli dei monti Appalachiani) erano il carburante che alimentava la colonizzazione del continente, il lubrificante che oliava le ruote dei carri di pionieri, come scrisse Upton Sinclair. Ma se l'economia rurale e la cultura del nomadismo di frontiera potevano tollerare l'abuso dell'alcol («il peggio che può capitare a un contadino sbronzo è di cadere a faccia in avanti nella porcilaia» scherzava Mark Twain) la neonata economia della produzione di massa, dei trasporti di massa e della vita urbana non era così generosa. Un conducente di tramway ubriaco, un operaio ciucco alla catena di montaggio, un farmacista intossicato dal whisky rappresentavano rischi per la comunità intera, ben più tragici che una facciata nel liquame della porcilaia. Mentre l'urbanizzazione esacerbava gli effetti dell'alcolismo sulle famiglie. Non è un caso se il movimento per la Temperanza, guidato dalla sfascia- saloon Carry Nation, era formato in maggioranza da donne. Erano, come sempre sono, le donne, le madri, le mogli, le figlie, quelle chiamate a pagare il prezzo dell'ubriachezza del maritu-padre. Carry Nation, certamente una folle, figlia di una bizzarra famiglia dove la madre si credeva la Regina Vittoria e imponeva alla servitù di vestirsi come i famigli della Corte di San Giacomo e dove il fratello voleva lanciare un movimento politico per obbligare gli esseri umani a camminare a quattro zampe per estirpare il mal di schiena, aveva sperimentato su se stessa gli effetti della ubriachezza. Il suo primo marito era un alcolista duro, che si presentò all'altare ciucco perso e le svenne in braccio. Il secondo marito era un bevitore occasionale ma temibile, perché quando beveva, menava. Per lei, l'alcol era la radice di tutti i mali, la fonte satanica di ogni infelicità e di ogni sofferenza collettiva. Soltanto a New York, dove si era trasferita dal natio Kentucky e'poi dal Kansa:;, sfasciò da sola 49 saloon. L'emendamento alla Costituzione passò con l'opposizione di due soli Stati. Il regolamento di applicazione entrò in vigore il 16 gennaio 1920. Ma la sete di booze non si spense per legge e il disastro cominciò subito. La fuma del presidente McKinley non era ancora asciutta che già il fiume dell'alcol «proibito» sgorgava. Due anni dopo la legge, nel 1922, a New York funzionavano già 38 mila bar illegali detti speakeasy, «parla piano», per l'apparente clandestinità dell'impresa: erano esattamente il doppio dei bar legali chiusi il 16 gennaio 1920. Nelle grandi città, piccole bande di malviventi italiani, irlandesi, ebrei, che vivacchiavano di estorsioni, cavalcarono l'onda del contrabbando di alcol proibito per diventare mafie, crimine organizzato. Un bullo di paese come Al Capone, che si era fatto le ossa rubando l'elemosina nelle chiese di Chicago, arrivò a guadagnare grazie al controllo del liquore, fino a 60 milioni di dollari l'anno. Una cifra prodigiosa, se si tien conto che una buona villa con giardino costava, in quegli anni, sui 5 mila dollari. La legge aveva eliminato il commercio legale di alcol, ma non la voglia di bere. E la marea di liquore spinta dai bootìegger, i contrabbandieri, cosiddetti perché usavano nascondere le marce nei boots, negli stivali, sommerse la politica, la polizia, i tribunali, minacciò di affogare la democrazia americana in un oceano di bustarelle. Alla fine del decennio, nel 1929, l'Fbi calcolò in uno studio riservato che due terzi dei giudici locali, dei sindaci, dei poliziotti di città, fossero al soldo dei gangster. Come sta accadendo oggi con gli stupefacenti, l'immensa quantità di danaro generata dal commercio clandestino corrompeva la democrazia, insanguinava le strade, rendeva le città invivibili. Fu la Strage di San Valentino, il 15 febbraio 1929, a far dire basta. Di fronte alla violenza ormai sfron¬ tata dei gangster in guerra per il controllo del contrabbando, la maggioranza si ribellò alla Proibizione. Nella sua campagna elettorale vincente, nel 1932, Franklin Roosevelt promise il ritiro dell'emendamento numero XVII e nel 1933, quando fu insediato alla Casa Bianca, mantenne la promessa. Ma era ormai troppo tardi per disfare quel che 13 anni di repressione avevano fatto. Il crimine organizzato, l'unica eredità stabile di quella follia collettiva, aveva messo radici troppo profonde per essere più sradicato. E ci sarebbero state altre sostanze proibite da contrabbandare, altri vizi da soddisfare, capaci di farlo prosperare. Carry Nation fece in tempo a veder morire la sua speranza di un'America astemia e temperante, ma non era tipo da arrendersi. Nel 1935, due anni dopo il ritorno della legalità alcolica, entrando nella hall dell'Albergo Victoria a New York - curiosa coincidenza, Victoria come la regina che la madre pazza impersonava - notò una statua di Diana cacciatrice nuda, con il polposo sedere liberty esposto al vento. Informò subito il direttore che quelle natiche femminili bronzee offendevano il suo pudore di donna e che avrebbe immediatamente abbattuto quella porcheria a colpi di accetta se non fosse stata coperta. Il direttore si affrettò a provvedere, coprendo il deretano della dea con mi drappeggio. Poco dopo Carry Nation morì. Ma non morì, non potrà mai morire, sino a quando un solo figlio d'America resterà vivo, la «cultura del proibizionismo», quella periodica, puritana, ossessiva voglia di crociate «a fin di bene» che afferra ogni generazione nel nome del nuovo «Demonio», sia esso l'alcol, il sesso, il tabacco, il grasso, l'inquinamento, secondo le angosce del momento. «Opposti puritanesimi», maschilisti e femministi, conservatori e progressisti si alzano e si scontrano per impugnare l'accetta caduta dalle mani di Carry e per sfasciare i simboli dei vizi altrui. E' quello stalinismo della virtù che nella storia americana ha sempre preso il posto e surrogato lo stalinismo politico, che nella democrazia yankee non poteva attecchire. Ispirato non da manifesti o da ideologi, ma dal volto corrucciato del «padre puritano» in cappello a cilindro e scarpe a fibbia che si tormenta, la sera prima di addormentarsi, al pensiero insopportabile che qualcuno, da qualche parte, si sta divertendo. Vittorio Zucconi Un piccolo movimento diastemi, moralisti e piagnoni in guerra contro il Grande Satana Decine di bar sfasciati poi la vittoria: s'iniziò un decennio di eccessi, violenze, corruzione, criminalità organizzata e sbornie mai viste Agenti federali rovesciano bottiglie di whisky in un bar clandestino (Atlanta 1928). Sopra Franklin Delano Roosevelt: nel 1933, appena insediato alla Casa Bianca, ritirò l'emendamento XVII alla costituzione Usa che aveva introdotto il proibizionismo. In basso Al Capone