UN GENIO MALEFICO SEDUCE SIMENON

UN GENIO MALEFICO SEDUCE SIMENON UN GENIO MALEFICO SEDUCE SIMENON «Il borgomastro diFurnes», tiranno di anime IL borgomastro di Furnes» è uno dei più cupi e amari romanzi di Simenon (ora da Adelphi, trad. di Tea Turolla, pp. 222, L. 25.000). E' ambientato in una cittadina fiamminga che non è la Furnes della realtà, ma un luogo inospitale, perennemente grigio di nebbia e lucido di pioggia, che lo scrittore ha assunto «come una sorta di motivo musicale», di basso continuo di freddezza e di desolazione. Ha per protagonista un personaggio che non potrebbe essere più altezzoso e sgradevole, Joris Terlinck, un piccolo ras locale che si sente così potente e sicuro da non preoccuparsi neppure più di nascondere la tracotanza dietro le maschere dell'ipocrisia e della buona educazione. E per comprimari ha una piccola folla grigia e subalterna che cova in silenzio le sue malevolenze e le sue invidie e affetta deferenza verso il Baas, l'incontrastato padrone che pretende ubbidienza assoluta e dispensa con lo stesso sovrano disprezzo sigari della sua manifattura e cocenti umiliazioni. A tutto e a tutti, in casa e fuori, Terlinck ha imposto l'ordine imperioso di un meticoloso e ripetitivo rituale, segno esteriore e tangibile di una raggiunta e non più modificabile perfezione, ma anche, più in profondità, simulacro di norma imposto a ciò che intollerabilmente le sfugge. Ad esso soggiaciono infatti tanto le vittime consenzienti - il pavido e infido segretario comunale, la moglie mesta e silenziosa, la serva-amante e la massa supina dei cittadini - quanto le refrattarie: la povera Emilia, la figlia pazza che tiene segregata in una stanza e circonda di cure tanto amorevoli quanto inadeguate, e il suo avversario po¬ litico Léonard Van Hamme. L'occasione di ridurre all'ubbidienza anche quest'ultimo giunge insperata una sera in cui un suo dipendente gli viene a chiedere un anticipo:, è fuori di sé, minaccia di uccidersi, ha messo incinta la figlia di Van Hamme, ha bisogno di denaro per farla abortire. Nulla che possa far derogare Terlinck dai suoi principi, ma quanto basterà a far scoppiare la tragedia e a gettare vergogna e discredito sulla famiglia del suo rivale. Ma, proprio nel momento in cui nulla sembra più opporsi al suo assoluto dominio, qualcosa in Terlinck si comincia ad incrinare. Un po' per curiosità, un po' per rimorso, prende a frequentare e a proteggere la figlia di Van Hamme, che, cacciata di casa, si è rifugiata ad Ostenda. E' una breve evasione, un temporaneo cedimento alle lusinghe dei sentimenti, ma questa nota di timida dolcezza che si è inopinatamente insinuata nell'uniforme grigiore della sua vita U fugadi be za Un piccolo ras locale, un Improvvisa tragedia, una folla grigia e subalterna che cova invidie e malevolenze ir ODORI, colori, umori...: quando si parla di Georges Simenon il richiamo immediato è alla sua straordinaria capacità di evocare senzazioni, di creare cornici suggestive e nel contempo materiali alle storie. Colpisce congiuntamente il suo linguaggio, dotato di una rara, quasi geometrica essenzialità, come è stato notato. Famoso come padre di Maigret, oggi Simenon gode di rinnovato interesse come ideatore di romanzi non polizieschi, e rivelatori quanto altri mai del suo immaginario. Seguire la vita di Simenon leggendo il volume di Patrick Marnham (L'uomo che non era Maigret-Ritratto di Georges Simenon, La Nuova Italia, pp. 386, L. 28.000) smentisce ancora una volta chi ritiene che i percorsi esistenziali di un autore siano ininfluenti sulla sua produzione letteraria. L'aneddotica aveva già rivelato alcuni aspetti di carattere quantomeno singolari. Spinto da una sorta di furore emotivo, Simenon scriveva in assoluto silenzio, inavvicinabile, quasi in «trance», con rituali inflessibili (inizio alle 6, tazzone di caffè, uso di matite appuntite o di macchina da scrivere sostituito talora da dattilografe professionali in difficoltà a seguire il fluire ininterrotto delle sue parole, corredo di cartine geografiche, piante urbane, guide telefoniche per costruire la mappa reale delle storie, assenza quasi completa di correzioni, interruzione del lavoro verso le 9) e i risultati produttivi sono stati torrenziali. Non solo 76 romanzi con Maigret avrà per lui effetti devastanti. Simenon è maestro ineguagliabile nel rappresentare personaggi a nudo, esistenze appagate che d'un tratto si trovano a tu per tu con i compromessi, gli equivoci, le menzogne su cui fino a quel momento si erano rette. In questo romanzo però, senza forzare i toni, senza fare la più piccola deroga ai suoi principi di parsimonia espressiva, semplicemente dipingendo nero su nero, tocca un vertice assoluto. La grande trovata del romanziere è di aver fatto di Furnes e del suo borgomastro un'unica, mostruosa, consustanziale entità. Poi gli basta ritrarre il personaggio con la sua abituale perizia nel coglierne un gesto, una parola, un tic significativo e affidare la descrizione del paesaggio circostante ai soliti rapidi ma incisivi dettagli: ci penserà il lettore a sommare il nero del quadro al nero della cornice, l'ostilità alla grettezza, la desolazione all'arroganza, fino al limite della tollerabilità. Un solo esempio. E' sera, siamo nella birreria del Vieux Beffroi, ai tavoli si gio¬ ca a whist o a dama, Terlinck, seduto accanto al camino, beve la sua birra: «Tutto era pesante, l'aria, i gesti, la luce che filtrava a fatica attraverso lo strato di fumo ormai divenuto coltre; e fuori, quell'altra coltre di umidità fluida, miliardi di goccioline invisibili sospese sopra la città e i campi. Pesanti le pedine della scacchiera, e pesanti le carte dai rozzi disegni, e pesanti le oleografie, pesante il caldo, pesante perfino il titolo del giornale locale ancora stampato in caratteri gotici». Il lettore, travolto da questo accumulo di notazioni dello stesso segno, si trova coinvolto nell'atmosfera oppressiva e non si chiede più se sia la presenza di Terlinck a rendere così soffocante lo spazio circostante o non sia invece quell'aria greve a rendere intollerabili i suoi sguardi, i suoi gesti, le sue rare parole. Avverte che tra quel luogo e quella persona c'è una profonda e misteriosa complicità, che gli arredi, le strade, la nebbia sono naturali espansioni di Terlinck e insieme che quell'uomo scostante è la vivente incarnazione del malefico genio del luogo. E non si sorprende poi se, contro ogni convenzione romanzesca e morale, la fugace apparizione di una luce di bene - i viaggi ad Ostenda, la spensierata freschezza di Tina Van Hamme, il vago miraggio di una nuova, festosa esistenza - non risulta salvifica ma perturbatrice; nel mondo chiuso di Simenon non si sfugge al proprio destino, chi si azzarda anche solo a sognare una vita diversa può soltanto perdere il dominio, laboriosamente raggiunto, di quella a cui era e resta condannato. Giovanni Bogliolo tutti, essenziale ed assorbente, il rapporto con le donne. Le donne per Simenon sono anime dannate, insostituibili, ossessionanti, laceranti e pur sempre determinanti per l'uomo. Compaiono nei romanzi le figure femminili reali della sua vita, dalle mogli partecipi a pieno titolo della sua fortuna, alle cameriere-segretarie amanti fedeli anche negli spostamenti, agli innumerevoli e disseminati intermezzi più erotici che galanti, alla fondamentale madre, lontana e silenziosa ma onnipresente. Singolare è che il Nostro decida di smettere di scrivere nel 1972, poco dopo la morte della madre, quasi i fantasmi del passato fossero spariti, come nota Marnham. Leggendo Marnham si apprende della straordinaria irrequietudine dell'uomo, che ha cambiato casa 33 volte, è vissuto anni in barca percorrendo canali di Francia, Belgio ed Olanda, ha viaggiato per il mondo, è stato per 10 anni circa a vagabondare in America. Sembra la sua una continua fuga da qualcosa o qualcuno, un esilio permanente. Quando quei pochi, ma asfissianti pesi del passato lo lasceranno, quando smetterà improvvisamente di scrivere 16 anni prima di morire, il Nostro si ritirerà nel paese asettico per eccellenza, la Svizzera, spogliandosi dei ricordi, dei libri, dei quadri, dei fasti, quasi cancellando del tutto le radici. Morirà a Losanna, ricchissimo, famosissimo, in un modesto alloggio con le finestre prospicienti un supermarket. Gli era a fianco una donna. Fulvio Già nana Alberto Mittone